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Donne curvy in bikini

Io amo il mare, anche se ultimamente mi è capitato poco di andarci. Mi è capitato poco, ma quando ci sono andata mi sono sempre messa in bikini, il costume intero quasi non so che sia. Mi piace prendere il sole, e prenderlo sulla pancia è bellissimo. Col costume intero, tornare a casa, spogliarsi e vedere arti abbronzati e pancia bianchiccia non fa un grande effetto.

Farsi il bagno e continuare ad avere la sensazione di bagnato sulla pancia, che invece nuda si asciuga immediatamente, non è una bella sensazione, e io al mare ci vado per stare bene.

Portavo il bikini, molto pudìco per la verità, quando ero adolescente prima e giovane donna poi con un fisico da paura. Lo metto adesso, che ho lo stesso un fisico da paura ma in un altro senso, fa paura a me, al dietologo, al medico di base. Paura per le articolazioni che ne soffrono, ne soffre cuore, la respirazione, e non parliamo del colesterolo…

Ma del giudizio della gente no, non me ne è mai importato un accidente, io vado al mare per prendere il sole, e ne ho pieno diritto.

Vado al mare, mi tolgo il coprcostume, mi sdraio e mi abbronzo.

Se vado al bar mi copro, lo facevo da giovane e magra e lo faccio adesso, è una questione di buon senso e di buon gusto, non di ciccia.

Io sono la persona che sono, contenuta nel corpo che ho. Potevo avere un altro corpo, ed essere comunque la stessa persona.

Io vado al mare.

In bikini.

E mi abbronzo.

E me la godo.

Vi racconto una storia.

Ero in piscina, e a un certo punto vedo una ragazza piuttosto robusta che tenta di mettersi un pareo, o telo da mare, non ricordo, ma una roba di un pesante che non vi dico. Si stava mettendo non so quanti strati l’uno sull’altro, e poi alla fine ha iniziato a camminare tenendoli su con molta fatica e fermandosi ogni tanto per riassestare il tutto che tendeva a cadere. Chiaramente con tutto questo traffico sì che si era fatta notare, mentre probabilmente alla mole non avrebbe prestato attenzione nessuno.

Accanto a me una ragazza, ugualmente ben piazzata, e guardandola bene ho notato che le mancava un braccio, che passava totalmente inosservata. Vi dirò che io personalmente l’ho notata soltanto perché, essendo io in carne e vedendo tutto il traffico fatto dalla ragazza dai mille parei, a un certo punto ho avuto la curiosità di dare un’occhiata in giro per vedere se c’erano altre donne curvy e come si stavano regolando, altrimenti, pure che era grossa, pure che le mancava in braccio, pure che era in bikini e sotto l’ombrellone accanto al mio, non l’avrei minimamente notata.

Insomma, meno complessi e godiamoci l’estate, il problema della “prova costume” se lo pongano quelle che vogliono rimorchiare, non quelle che vanno a prendersi il sole e a godersi una bella giornata all’aria aperta!

Genitori e figli, le violenze silenti

bambino fragile

Cari amici, avete letto il mio articolo precedente, simile ad altri, su quello che poi sono una forma di violenza domestica, la sottrazione del tempo e dello spazio, sottrazione delle proprie cose e della propria casa, che si trasformano in una forma di abbrutimento, ma anche i genitori in quanto a violenze nel confronti dei figli non scherzano!

Non parlo di anime prave, di quelli che violentano i figli, li drogano, vendono, annegano, e chi più ne ha più ne metta, parlo di genitori “normali”, che agiscono “per il bene del figlio”, di fatto negando la loro personalità e obbligandoli ad essere altro da sé: e questa secondo voi non è violenza?

Mi ricordo di un mio vicino, costretto dal padre a studi che non voleva compiere: non ricordo neanche come andò a finire, se abbandonò o se fu comunque tutta la vita condannato a un mestiere non suo. Non vi parlo della mia di storia, che è lunga e complessa (e mai superata), ma ricordo bene quella di una mia amica, che si scoprì omosessuale ed ebbe la malaugurata idea di dirlo ai propri genitori: voi non avete idea in che inferno la sua famiglia trasformò la sua vita, tra minacce, ritorsioni e consulti psichiatrici, tanto che alla fine lei, per sopravvivere, dichiarò di essere “guarita” e di essere tornata “normale”.

Tutto questo mi è tornato in mente leggendo il post di Marisa sul figlio prodigo, su cui sono intervenuta con questo pensiero:

“Cara Marisa, vengo solo ora a commentare, ma il voto l’ho dato senza pensarci due volte appena ho letto il tuo articolo. Ho votato la prima opzione, l’avrei accolto a braccia aperte, E CHIEDENDOGLI PERDONO. Se un figlio se ne fosse andato per un qualsiasi altro motivo – diverso da violenze fisiche o psicologiche perpetrate dai genitori intendo – lasciando la famiglia nella disperazione, l’avrei ricacciato via a calci nel sedere, invitandolo a ritornarsene dove era stato fino ad allora, ma in questo caso…

L’aspettarsi la perfezione da un figlio, farlo sentire una merdina se non è all’altezza delle aspettative dei genitori, fargli vivere una situazione di disagio continuo, credo che siano validi motivi di fuga. Certo, avrebbe potuto almeno far sapere loro che si era allontanato volontariamente e che era vivo e vegeto, ma chi lo sa cosa passa per la mente di una persona psicologicamente debole, e psicologicamente vessata per anni da quelli che erano diventati, per la sua psiche, degli aguzzini?

Spezzo però una lancia in favore dei genitori: a volte i genitori, pur carichi di aspettative, pur spronando il figlio verso ciò che per loro è il meglio per lui, non lo giudicherebbero o rifiuterebbero davanti a un fallimento, magari lo abbraccerebbero, sosterrebbero, tenterebbero di capire dove LORO hanno sbagliato, capirebbero, lo consolerebbero. A volte i genitori bisognerebbe strozzarli nella culla, ma a volte anche i figli si fanno dei film caricando genitori di colpe che non hanno, e che sono unicamente proiezioni delle loro ansie (Sissi docet 😉 ).”

E voi che ne pensate?

Complessi

Sissi e i capelli altrui

Naturalmente anche mia figlia ha dei capelli meravigliosi (*), ma come l’erba del vicino è sempre più verde, evidentemente anche i capelli delle vicine sono sempre più lunghi!

 

(*) Leggendo il post ha prontamente commentato “Sì mamma, sono quattro, uno più bello dell’altro!”

Minoranze discriminate

E proprio vero, chi poco sa, presto parla.

Oggi non ce l’ho qualcuno, ce l’ho con me stessa.

Da un po’ di tempo (da sempre, ndr) ho il dente avvelenato con certi atteggiamenti delle minoranze discriminate, compresa quella cui appartengo, causa l’insopportabile coda di paglia, la continua accusa di discriminarli anche se non ci pensi per niente e non ne hai la minima intenzione, ce l’ho con loro per il fatto insopportabile di trovare nelle tue parole, pure se parli del prezzo delle zucchine, qualcosa contro di loro, qualcosa di pesantemente allusivo e offensivo. 👿

Sul blog di Marisa, parlando di gay, uno cominciò ad attaccare una solfa che non la finiva più. Io non ho alcun pregiudizio, suppongo neanche Marisa, ma vi giuro che alla fine ti levava dalla bocca il dirgli “Ma vaff… brutto frocio, levati dalle balle che non ti reggo più!”, il che probabilmente avrebbe avuto su di lui un effetto liberatorio, avrebbe potuto dire finalmente “Ah, vedi che avevo ragione che pure tu hai pregiudizi e discrimini, sotto una finta facciata liberale come tutti blablablablà?”

Famosa nel mio blog l’interpretazione del mio post sulle domestiche  di Valentino (scusa Vale se la ritiro fuori, ma ci rimasi davvero molto male!). Valentino espresse rammarico per avermi sentito tuonare contro dei comportamenti di certe domestiche, interpretandolo come una manifestazione di discriminazione razziale in quanto al momento le domestiche sono solitamente straniere.

Sono stata accusata anche di essere antisemita (“Tu?” commenterete voi: ebbene sì). Ero sull’autobus – tanti anni fa – e parlavo della necessità di ristrutturare la sinagoga. Parlavo con una mia amica della difficoltà a reperire fondi, che magari le persone di condizioni economiche più modeste facevano donazioni, mentre quelle più ricche non avevano la stessa generosità (e semmai discriminavo tra la generosità delle persone più modeste rispetto al braccino corto di quelle un po’ più in grana). A un certo punto una signora – dalla cui reazione deduco fosse ebrea – scattò contro di me inveendo “NOI non abbiamo i soldi del Vaticano, perché noi di qua e noi di là, non come VOI DEL VATICANO che blablablablablablà”.

La mia amica mi guardava stupendosi del fatto che non reagissi: “Ma perché non le hai detto che sei ebrea?”. E perché mai glielo avrei dovuto dire? Devo forse rendere conto a lei di quello che penso e che sono? Devo farmi un problema io dei suoi processi alle intenzioni altrui?

Ancora, un’altra signora, parlando di tutt’altro argomento, mi ripeteva ogni due per tre di essere medico. Non capivo il motivo di questo suo dover sottolineare in continuazione il suo titolo, avevo una gran voglia di dirle che stavo benissimo, grazie, ma nel caso avessi avuto problemi di salute l’avrei senz’altro tenuta in considerazione.

A un certo punto – parlava perfettamente italiano, e fino a quel momento avrei pensato che fosse italiana – una piccola sfumatura linguistica mi fa sorgere il dubbio che non sia di lingua madre italiana. Mi si accende una curiosità linguistica e le chiedo se è straniera: l’avreste dovuta sentire come ha ringhiato! “Perché lo vuole sapere?”

“Così, rispondo io, ho sentito un accento particolare e mi è venuta la curiosità di sapere se fosse madrelingua italiana, tutto qui”.

“Vabbè, se è per quello allora glielo dico: no, non sono italiana”.

Punto.

A me, al suo posto, sarebbe venuto spontaneo dire di dov’ero. No, sono inglese, no sono americana, svizzera, cinese… e invece no, un’incredibile fretta di chiudere il discorso e non specificare. Dico a una mia amica: “Quella è o albanese, o rumena, o ucraina, o comunque di una minoranza che si considera malvista in Italia”.

“Perché dici così?”.

“Perché è complessata. Se non lo fosse stata, non avrebbe sottolineato ogni due per tre di essere medico. Se fosse stata americana, alla mia domanda avrebbe risposto semplicemente No, sono americana, non mi avrebbe aggredito come per difendersi, non avrebbe tagliato corto con un no secco, chiaramente manifestando di non avere intenzione di aggiungere altro”.

E’ venuto fuori che era albanese e, come volevasi dimostrare, l’unica differenza tra lei e una di una nazione non discriminata era il fatto di essere sulla difensiva, null’altro.

Ho sempre ritenuto questo comportamento davvero fastidioso, è pesantissimo gestire le accuse ingiustificate, i continui processi alle intenzioni da parte di chi si sente discriminato e ti azzanna ritenendosi attaccato a prescindere ma poi ieri, all’improvviso, una persona mi ha detto:

“Siamo come cani ridotti all’angolo, punzecchiati e feriti da tutte le parti! Finiamo col ringhiare a chiunque si avvicini!”

e finalmente ho capito.