Dove sono i nostri figli? La strage di Crotone

Di fronte alla strage di Crotone non ho parole. La questione migranti è un problema enorme, e a parte le semplicistiche – e spesso disumane – argomentazioni delle tifoserie, credo nessuno abbia una soluzione su come uscirne.

Io non credo assolutamente che queste persone che fuggono sappiano a cosa vanno incontro imbarcandosi, anche se entrare in 200 in un’imbarcazione malridotta di 20 metri avrebbe dovuto metterli in allarme, persino non conoscendo le previsioni meteo che erano avverse. Il fatto è che quando uno si affida a qualcuno e paga pure una barca di soldi, tende a pensare che questo qualcuno sappia il fatto suo, e magari ne riceve pure rassicurazioni.

Mi ricordo quando, in una casa famiglia, mi occupavo di ragazze tolte dalla strada e mi chiedevo se, alla partenza, sapessero ciò cui andavano incontro e no, spesso e volentieri non lo sapevano.

Qualcuno dice che l’unico modo per evitare queste stragi sarebbe non partire, ma come evitare che partano? Altri dicono che preferiscono affrontare questo rischio piuttosto che rimanere in Paese dove sono privati delle più elementari libertà personale e dove sono calpestati diritti basilari e dignità della persona ma io mi chiedo, di fronte alle immagini del disastro, se è veramente questa la scelta che fanno.

I soccorritori hanno la voce rotta dalle lacrime quando ricordano lo spettacolo che si sono trovati davanti, piccoli corpi inerti prontamente coperti da enormi lenzuoli e genitori disperati che continuano a chiedere dove siano i loro figli.

Ovviamente l’Italia non può ospitare tutta l’Africa (e l’Asia), forse neanche tutta l’Europa potrebbe, aiutarli a casa loro che significa? Questo può andare bene per chi fugge dalla povertà, forse persino dalla carestia, ma certo non per chi fugge da guerre e dittature, che cosa potrebbe fare mai il mondo per eliminare le une e le altre, ammesso che ce ne sia la volontà?

Rimango senza risposte, solo con tanto dolore e un’insostenibile sensazione di impotenza.

La galanteria

Stavo per scrivere un post sull’argomento di cui al titolo, su ispirazione dell’ultimo commento di Gianpiccoli (i post sono come le ciliegie, uno tira l’altro!), quando mi arriva, guarda caso, un like su un vecchio post che ci cade proprio a fagiolo: “Corteggiare oggi”. Io consiglierei di leggerlo – o rileggerlo – prima di continuare con questo, perché esprime esattamente quello che mi apprestavo a scrivere.

Giampiccoli parla di una situazione di fatto, ” importante ed “ancestrale” : la femmina segue il maschio ‘dominante’ “.

Mettetela come vi pare, per scrivere questo articolo ho fatto varie ricerche su usi e costumi, compreso quello del blind menù, il menù senza prezzi per donne, e le opinioni sono contrastanti, ma i fatti…

… i fatti alla fine parlano di un “gradimento” da parte della donna dell’uomo protettivo, dell’uomo che sa risolvere i problemi, dell’uomo attento e premuroso (badiamo bene, non l’obbediente cagnolino che scodinzola, quello è più antierotico dei gambaletti color carne delle donne!).

Ne ho conosciuti di uomini che non riuscivano a trovare una compagna, e alla fine le “categorie” (passatemi il termine) in cui cadono sono sempre quelle: mammoni, depressi, disoccupati, tirchi.

Tempo fa su fb ci fu un’accesa discussione sul fatto che lui dovesse pagare o meno il conto quando usciva con una donna, e ci sono state due alzate di scudi, una da parte delle donne, che consideravano un “pulciaro” (pezzente, morto di fame, nonché cafone) l’uomo che faceva pagare loro la di loro parte, dall’altra degli uomini che, stante il femminismo “che abbiamo voluto”, stante la parità “che abbiamo voluto”, non vedevano il motivo per cui avrebbero dovuto pagare il conto della donna con cui cenavano.

Io direi che qua, come diceva una mia amica toscana, “si sbaglia nel confondere”: la parità di diritti è una cosa, il corteggiamento, con relativo gioco “ancestrale” dei ruoli, è un’altra cosa, senza contare l’educazione e anche che, come alcune hanno fatto notare, il conto lo paga chi invita.

Insomma, io sarò pure una donna vecchio stampo, ma se un uomo m’invita, insiste per uscire, io penso che abbia piacere a passare una serata insieme per conoscerci meglio. Ritengo anche che sia un’occasione per mostrare le penne del pavone, mostrarsi al meglio, dimostrare alla donna che è un uomo con cui è piacevole stare, e perché no, si occuperà di lei, nel senso che sarà premuroso nei suoi confronti: se poi il discorso è “andiamo in camera da letto senza passare per il via, una cena proforma – che farai bene a pagarti – ma non mangiare troppo che poi t’appesantisci e non ti va più di fare roba” allora alzo le mani – rigorosamente dopo aver raccolto le braccia che mi sono cadute a terra -, e grazie ma anche no, tanta prosaicità non m’interessa.

Potrei scendere più in dettaglio, ma non vorrei perdere altri follower: insomma, dal mio – antico – punto di vista, l’uomo faccia l’uomo e la donna faccia la donna, perché altrimenti facciamo tutta un’ammucchiata, e ci credo che poi la gente si definisce “fluida” e non si sa più chi sia chi, a partire dagli adulti e a finire con i ragazzini che non sapranno neanche più distinguere tra mamma e papà (e il nuovo lessico, con “genitore 1” e “genitore 2”, si adegua ai tempi e viene in loro soccorso! 😆 ).

Ah, dimenticavo: dopo cena la donna va riaccompagnata a casa, e non necessariamente per salire su ma perché ahimé, purtroppo, è ancora una questione di sicurezza.

 

Riflessioni sul post precedente (di cui non ripeto il titolo)

Le due interessanti riflessioni di Gianpiccoli e Kasabake sul post precedente mi portano a farne altre che – forse – meritano un post a parte.

Diciamo che entrambi puntano il dito su un istinto – il primordiale istinto alla procreazione – tenuto più o meno a bada da sovrastrutture culturali. Mi è tornata in mente una frase di mia madre che diceva sempre “L’uomo si distingue dalla bestia perché sa dominare gli istinti”: non è che gli istinti non li abbia, ci mancherebbe, ma sono gli istinti che obbediscono a lui e non lui che obbedisce agli istinti anche se, ascoltando le canzoni di Sanremo e vedendo certi personaggi, mi chiedo: “E’ ancora vero?”.

La prendo alla larga. Un mio conoscente, a un tizio che argomentava che la dittatura è per certi aspetti migliore della democrazia perché riesce ad assere decisionista mentre nella democrazia spesso si gira a vuoto, rispose citando dapprima la seguente poesia di Trilussa:

NUMMERI
di Trilussa

– Conterò poco, è vero:
– diceva l’Uno ar Zero –
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l’azzione come ner pensiero
rimani un coso voto e inconcrudente.
lo, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
È questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso.

e poi aggiungendo: “Se lei mira ad essere uno zero  è un suo problema”.

Torniamo a bomba.

Sarò stata disattenta, ma a Sanremo ho visto e sentito soprattutto un andazzo di tatuaggi tribali di gente che ululava, tipo carica di bisonti, che voleva accoppiarsi con chi voleva e come voleva, dove e quando voleva, e questa l’hanno chiamata libertà. Ora, considerando l’evoluzione della specie di cui all’immagine, io direi che il discorso sull’istinto può considerarsi concluso con un “Se voi mirate ad essere bestioni trogloditi che agiscono per istinto primordiale, è un vostro problema”.

E veniamo a “La figa”:

ecco, il mio titolo è stato provocatorio, non perché sia nel mio stile provocare, ma perché a un certo punto se ne hanno piene le tasche. E’ stato un termine provocatorio e neanche realistico perché – udite udite, rullo di tamburi – per me non è solo una questione di sesso, forse non lo è persino per niente (non ricordo il film, ma non credo che l’Angelo Azzurro sia mai andata a letto col vecchio Professore): la vera questione è l’immagine di sé.

L’uomo sarà pure cacciatore, ma quello che vuole non è tanto cacciare, o conquistare, è piuttosto essere considerato un grande cacciatore, un grande conquistatore, un grande amatore, un grande eroe, un gran figo, un grande tutto.

Le donne si compreranno gli uomini pure con il sesso, ma quello è roba che si trova: la vera moneta usata per comprarli, la tecnica usata per irretirli, imbambolarli, blandirli, manipolarli, in realtà è quella della lusinga e della moina.

Ci scherzava la Reggiani quando faceva la parte di “donna russa no”, ci scherzavamo – amaramente – con una mia amica lasciata dal marito, e lei diceva “E ti credo, quella lo guarda con gli occhioni languidi, sbattendo le ciglia ed esclamando ‘O mio eroe!’ a tutte le boiate che dice, laddove io neanche gli risponderei, o gli direi di smetterla di dire fesserie!”.

L’uomo, specie se complessato, quando sarà preso in considerazione da una bella donna, farà di tutto per mantenere questa considerazione, vera o presunta che sia. Per lui è un vanto, un punto d’orgoglio, persino indipendente dalla “consumazione”, e se lei gli chiederà di fare questo e quello per lei, se metterà un tenero – e manipolatorio – broncio mostrando delusione se lui “non può, non è capace, non è in grado”, lui farà di tutto per scacciare questo pensiero, non vorrà mai sentirsi una nullità, e farà il possibile e l’impossibile, il lecito e l’illecito, pur di dimostrarle che “può, è capace, è in grado”.

Ecco, per quello che ho visto, certi comportamenti assolutamente folli, insensati e incauti a dir poco, sono dovuti principalmente a insicurezza, al bisogno di sentirsi importanti e di avere un trofeo da mostrare, a se stessi e agli altri, anche se il trofeo non è mai stato e non sarà mai loro.

Tu la cercherai tu la invocheraiPiù d’una notteTi alzerai disfatto rimandando tuttoAl ventisetteQuando incasserai delapideraiMezza pensioneDiecimila lire per sentirti dire“Micio bello e bamboccione
(da “La città vecchia” di Fabrizio de André)

La figa

L’angelo azzurro – Marlene Dietrich

Scusate la crudezza del titolo, che non vorrei attirasse “porn-addicted”, non è questa la mia intenzione.

Questo è un blog serio, che parla di cose serie, battaglie sociali, grandi princìpi, vite sofferte, successi e rinascite, etc. etc. etc. ma…

“La figa è figa”, declamava un mio amico “mica so’ copertoni, sennò da mo che facevo er gommista!”.

Come mi è venuto in mente allora questo titolo, di cosa sto qui a scrivere?

Due fatti principali: uno privato, una mia amica mollata dal marito dopo venticinque anni di matrimonio per un po’ di ciccia fresca (donna di oltre vent’anni più giovane), e uno pubblico, il festival di Sanremo, in cui donne che hanno fatto carriera mostrando tette e culo si presentano di fatto nude a parlare del valore delle donne e del rispetto per il loro corpo.

Ora, può persino starmi bene il messaggio “Io posso pure andare in giro nuda, tu non sei autorizzato a stuprarmi”, figuriamoci se non sono d’accordo, ma non mi piace il messaggio reale che passa “Io da offrirvi non ho altro che questo, se voi vedete solo un contenitore vuoto magari ci vedete bene”.

Ora, la Montalcini diceva che una donna di valore non deve mostrare niente se non la propria intelligenza ma la Montalcini, benché geniale, non era un grosso esempio di femminilità, e qui la femminilità nessuno la vuole mortificare. Non è un peccato amare il proprio corpo, non è un peccato ricercare la bellezza anche fisica in se stessi e negli altri, ma la figa…

Ora, ci sono cose che, diciamo per segreto professionale, non posso dirvi, ma io sono una che ha spesso modo di vedere da vicino l’universo degli interessi maschili e femminili, e vedo le donne dedicarsi a teatro, letteratura, viaggi, cucina, e soprattutto ai figli, sanno tutto di loro, fanno le ricerche per la scuola insieme a loro. Gli uomini… sì, anche gli uomini possono avere altri interessi, ma poi alla fine, spunta regolarmente e immancabilmente fuori “lei”.

Nel campo dell’impegno sociale mi sono anche occupata di ex prostitute, ragazze tolte dalla strada e guidate in un percorso di reinserimento sociale, e non vi dico i loro racconti: personaggi impensabili ricorrono ai loro “servigi”, e francamente non riesco a immaginare la stessa cosa a parti invertite: ovviamente parliamo di percentuali, conosciamo tutti i gigolò, ma anche là, a quanto mi risulta, è un’altra cosa, e i gigolò stessi testimoniano che le donne sono in genere più interessate a un accompagnatore e ad essere coccolate piuttosto che al fallo nudo e crudo.

Ancora, ho conosciuto un artigiano, sposato, con tre figli, che dormiva con la famiglia nel retrobottega del negozio. Mi raccontò che era di famiglia facoltosa, ma che il padre aveva conosciuto una donna dell’est (mi pare un’ucraina) e aveva speso tutti i soldi per lei, oltre ad averle intestato tutti i beni di famiglia: una volta prosciugato il pollo, questa donna se n’era andata, peraltro in coincidenza con una di lui malattia, e l’aveva lasciato povero e senza mezzi per provvedere alla propria assistenza. Lui si era rivolto ai figli i quali, completamente rovinati dal comportamento del padre, gli hanno – oserei dire ovviamente – sbattuto la porta in faccia.

Ora, la mia domanda è: va bene amare le donne, va bene godere dei piaceri del sesso, ma perché perdere il lume della ragione? Perché, di fronte a una figa, non si ha più buon senso, non si conoscono più affetti familiari, si abbandonano e rovinano i propri figli, si perde ogni sorta di morale (mi riferisco al turismo sessuale per esempio, in cui padri di famiglia si trastullano con ragazzine che hanno l’età delle proprie figlie).

Io mi dico sempre “Vorrei essere uomo per un mese per capire che cosa passa loro per la testa, che cosa provano, perché questo richiamo primordiale è così potente e, oserei dire, allucinogeno”.

Una risposta che non avrò mai.

Io che non facevo copiare

Quando una volta, in un commento sull’argomento, scrissi che io non ho mai passato i compiti, l’autrice del post mi chiese “Perché questa cattiveria?”.

Io non la ritenevo una cattiveria, piuttosto una forma di rispetto nei confronti della missione della scuola, di giustizia nei miei confronti ma anche di stimolo per il compagno che, se nessuno l’avesse fatto copiare, magari si sarebbe pure rassegnato a studiare.

Insomma, sapete come si dice, “Se mi dai un pesce mi avrai sfamato oggi, se m’insegni a pescare mi avrai sfamato tutta la vita”, e io mi facevo in quattro per aiutare i miei compagni in questo senso, spiegando e rispiegano mille volte quello che non sapevano o non riuscivano a capire, mettendo a loro disposizione tutto il tempo che potevo.

La scuola è un’opportunità, non un giogo, è una conquista, non un calvario, l’istruzione è stata per secoli appannaggio dei ricchi e dei nobili, qualcosa che il popolo non si poteva permettere. Il popolo, per tenerlo schiavo e sottomesso, lo sanno pure i sassi che bisogna mantenerlo ignorante, l’istruzione è il nutrimento del libero pensiero e la chiave della libertà e allora, sono da incoraggiare questi sforzi per rimanere ignoranti?

Disse una volta un’insegnante di mia figlia, durante un consiglio di classe: “bisogna uscire dalla logica del voto e fare quello per cui effettivamente si viene a scuola, cioè imparare qualcosa”, e non potrei essere più d’accordo.

Tutto ciò premesso, a valle dei grandi ideali, c’è ovviamente anche un fatto personale: io fatico a studiare, me ne sto curva sui libri dalla mattina alla sera a giocarmi vista e tempo che potrei dedicare ad altro, mentre tu te ne stai in discoteca o a far l’amore, perché dovremmo avere gli stessi risultati? Tu ritieni più giusta la tua vita? Forse hai persino ragione, ma prenditi le tue responsabilità, tanto poi nella vita quelli che hanno fatto il minimo sindacale spesso si sono sistemati anche meglio.

Mettiamoci anche un altro fatto: il “secchione” viene generalmente escluso dalla comitiva, dalle iniziative extrascolastiche, incontri, cinema, feste, scorribande, solo sfruttato come fornitore di compiti in classe e soluzioni pronte, il che è disumano: se volete che io condivida i miei studi, perché voi non volete condividere le vostre feste? Mettiamo in comune il sapere, perché non ci mettiamo pure altre mille iniziative?

Mia madre mi raccontò una volta di essere passata a scuola a vedere i miei quadri, quando sentì una madre esclamare – UNA MADRE, NON LA FIGLIA! -, indicando la riga col mio nome con una smorfa di disgusto: “Guardate questa che schifo!”.

Ora, se questa è la vostra opinione, permettete che i vostri figli facciano la loro vita e io la mia?

PS: Ovviamente i copioni sono puntualmente presenti anche sul web, e più volte ho trovato miei articoli copiati qua e la e fatti passare per propri: diciamo che essere dei poveracci usurpatori è un talento naturale, che evidentemente non si perde con l’uscita dalla scuola e l’età più matura!