Archivio | giugno 2013

Una domenica scema (largo al factotum)

Tanto per cambiare.

Che abbiamo capito che il mio ruolo, durante tutti gli esami, sarà di jolly: serve un punching ball? Eccomi? Serve un morbido cuscino? Eccomi? Serve una spalla su cui piangere? Servita! Serve chi porti un bicchiere d’acqua, prepari una tisana, trasporti i libri da una stanza all’altra, le cerchi il caricabatteria del pc? Pronta!

Ebbi tutto questo ai miei tempi? Chiaramente no. Anzi sì, all’esame di terza media, da mia zia, che mi tenne in casa sua come una principessa, emozioni di certo mai provate in casa dei miei.

Fare una cosa qualsiasi, non dico per me, ma per la casa? Non se ne parla proprio. Oggi ho provato a ritirare il bucato – Luisa testimone – ogni fazzoletto che prendevo dallo stendino “Maaaaaaaaaaaammmmmmmmaaaaaaaaaaaa! La stampa della tesina ha saltato le ultime righe!” (Questo perché la furbacchiona aveva spostato i margini, ma lasciamo perdere).

Riaggiusto i margini, intimata del fatto che doveva comunque essere tutto contenuto in quella pagina, perché quella successiva era già stampata, esco di nuovo a finire di ritirare i panni: “Maaaaaaaaaammmmaaaaaaaaaaaaaa! Si è inceppato il carrello della stampante!”.

Sblocchiamo il carrello, mamma ho fame, mamma ho sete, mamma ho mal di pancia, mamma di qua mamma di là, figaro figaro fiiiiiiiigaroooo!

Sto  a letto e aspetto che il tempo passi. Lei, ieri, sul mio letto, alza una gamba di scatto, colpisce l’orologio appeso alla parete, che vola in aria, fa una giravolta e rovina a terra, in mille pezzi.

Mamma si alza e raccoglie i vetri, cercando di non tagliarsi. A ogni pezzetto raccolto tremando (conoscendo l’attitudine della pargola ai gesti bruschi), mi sento richiamare. Un pezzetto, trallallà, torna indietro, trallalà, un altro pezzetto, trallalà, ritorna dalla pargola, trallallà.

Lei però lo sa che tra pochi giorni sarà finita la pacchia…

A chi mi dice di seppellire il passato…

mano adulto bambino

… rispondo con le parole di Barbara (per l’esattezza, commento nr. 13, in cui lei risponde a un lettore che le scrive “Il Buddismo insegna che ogni giorno è una pagina nuova su cui scrivere una storia intitolata “La mia vita”.”):

Il fatto è che la pagina nuova è strettamente saldata al libro in cui sono tutte le altre. E, per quanta insostenibile sofferenza si possa avere alle spalle, l’idea di una vita galleggiante in un vuoto pneumatico davvero non mi attira. Io sono tutto ciò che ho vissuto, in bene e in male. Io sono ciò che ho goduto e ciò che ho sofferto, ciò che ho visto e ciò che ho imparato, sono gli uomini che ho amato e gli uomini che mi hanno fatto soffrire, i libri che ho letto e i paesaggi che ho visto, le persone che ho incontrato e le lotte che ho combattuto… Senza tutto questo io sarei semplicemente un “non-essere”.

Confermo e sottoscrivo.

Sensazione di ipocrisia

ho voglia di vederti non sai quanto

Ho letto questo articolo di Incostante, “Sensazione di ipocrisia“, che mi ha riportato alla mente una sensazione provata da poco.

I rapporti cambiano, questo accade nella vita di tutti, e molte lacrime sono state versate – penso nessuno ne sia stato immune – sulle spoglie di un amore o – peggio ancora – di un’amicizia finiti, con o senza perché (perlopiù senza).

Il fatto è che, quando vediamo una persona con altri occhi, diventa un’altra persona, quella precedente non esiste più, e scompare quella sensazione di gioia, confidenza e intimità che era precedentemente legata al suo nome e al suo viso.

Scompare la gioia nel vederla, non più legata a familiarità e ad altri sentimenti positivi.

Una mia ex-amica, addirittura, mi sembrava avesse cambiato aspetto, da bella donna che la consideravo prima a squallida beeeeep. E’ normale, non è che uno cambi davvero aspetto, ma passa da volto amato a volto odiato, e questo sì che fa la differenza!

Ecco, in questo contesto, rileggere degli scambi precedenti, le manifestazioni d’affetto, l’apertura di cuore e di mente con cui ci si rivolgeva a quella persona, ci sembrano ipocriti, perché sono cose che certo non pensiamo più e che mai diremmo, oggi, a quella data persona.

C’è a volte un periodo di transizione, quando ancora quella persona non ci è uscita dal cuore, pur essendoci guerra in corso o a distacco già avvenuto, c’è lo stupore dell’essersi voluti bene e di aver avuto quella meraviglia di rapporto e di dialogo. E quindi il rimpianto, il rammarico, il dolore… e poi lo stupore, e infine il fastidio, voglia di cancellare ogni “prova”, perché non vorremmo mai aver usato quelle parole intrise d’amore e di fiducia, e ci danno fastidio, sull’altro fronte, quelle ricevute da chi, senza pietà, ci ha pugnalato.