Si scherzava in ufficio sul fatto che a volte gli uomini non capiscono l’antifona e mentre tu continui a dire “Ho freddo” loro magari si tolgono la giacca e ti coprono le spalle anziché abbracciarti.
Mi sento sorprendentemente rispondere “Ma dove sono questi uomini che si levano la giacca per coprirti le spalle?”. Urca, che significa dove sono? Ovunque!
Andiamo avanti paragonando le nostre esperienza, e pare che gli uomini che ti portano i pacchi, aprono le portiere, cambiano il pneumatico, coprono le spalle con la loro giacca li abbia trovati tutti io ma, soprattutto, solo io: dov’è l’arcano?
Mia figlia, qualche giorno fa, mi ha dato un libro da leggere, scritto dal comico Steve Harvey, dal titolo provocatorio “Sono tutti uguali”.
In queste “Istruzioni per l’uso” dell’uomo – inteso proprio come maschio -, tra il serio e il faceto l’autore fa presente e giura che gli uomini vivono per farci felici, proteggerci, farci sentire che loro sono Uomini con la U maiuscola.
Questa tesi si sposa col fatto che gli uomini sembrano disorientati dalle donne non hanno, o così dicono, più bisogno di loro. Secondo Harvey l’uomo ha bisogno di sentirsi importante, di sentire che lui è quello che guida, lui quello che risolve, e il trucco per noi donne, il trucco per una relazione appagante, sia solo il permettergli di farlo.
Vi dirò, non credo sia un’ipotesi così peregrina. Io, che sono cresciuta con una mentalità all’antica, una madre che pendeva dalle labbra di mio padre, un messaggio subliminale che gli uomini sono più forti, che gli uomini sanno, che gli uomini più di qua e più di là, forse mi sono adeguata a questo modello (le persone che mi conoscono sono pregate di non sbellicarsi dalle risate, vi assicuro che è così!) e devo dire che ho trovato uomini più “cavalieri” di quanto sia capitato alle mia amiche “donne autonome e indipendenti”: che poi, io sono più autonoma e indipendente di loro, ma si tratta di un atteggiamento mentale.
Se faccio spese, o spesa, con un uomo, è sempre lui che porta i pacchi, che li carica in macchina, e se la macchina qualche volta non mi si è messa in moto, che sia stato fidanzato, amico, conoscente o collega, sempre un uomo è stato ad armeggiare con i cavi per far ripartire la batteria o a mettersi in ginocchio a riparare l’auto: certo, intendiamoci, io non mi sono mai offerta di farlo da sola, di fronte a certi cataclismi la mia espressione di donzella indifesa in preda al panico totale è, purtroppo, assolutamente reale.
Mi ricordo una sera, sotto il diluvio universale, avevo perso uno svincolo e allungato tremendamente il percorso del ritorno a casa. A un certo punto becco una pozzanghera, ma che dico, il lago Maggiore, si alza un’onda tipo tsunami, il motore borbotta e si spegne. In curva, di notte, sotto il diluvio.
Chiamo l’assistenza, ma mi lascia in attesa, le linee sono intasate e la batteria del cellulare si sta scaricando. Disperata mi attacco al clacson: un’automobile prima mi supera, poi si ferma, fa marcia indietro e si mette davanti a me. Scende un signore che mi chiede se ho bisogno di aiuto: tremando come una foglia gli faccio presente la situazione, e lui tira fuori il telefonino, butta giù dal letto il suo elettrauto (che se ne guarda bene dal venire…), si offre di aiutarmi a spostare la macchina, in salita e sotto l’acquazzone e di riaccompagnarmi a casa. Io non so decidere, sono paralizzata dalla paura, sono stanca tremo come una foglia (che oggi, a raccontarla così, mi chiedo che cosa ci fosse di così terribile e da avere così tanta paura). Aspetta che mi calmi, mi invita a riprovare a rimettere in moto che forse le candele si sono asciugate. Provo, e la macchina miracolosamente riparte. Gli chiedo il nome, vorrei telefonargli l’indomani per ringraziarlo con un po’ più di calma, ma lui con un sorriso mi risponde che va bene così, che ha fatto solo il suo dovere.
Non vi sto a raccontare altre mille episodi del genere, anche da parte di Attila e dall’amico che vi ho fatto conoscere giorni or sono (quest’ultimo uno che si fa valere, e quindi delegato a litigare al posto mio ogni qualvolta ci sia da battere i pugni sul tavolo): ora, non sarà che noi “donne moderne” sbagliamo approccio? Non sarà vero, come dice la Francesca Reggiani in una sua famosissima parodia di “donna russa”, “donne italiane sbagliato tutto”?
Insomma, se quest’uomo in cambio del fare tutto per noi vuole solo che l’apprezziamo, perché continuiamo a castrarlo (psicologicamente…) comunicandogli in ogni modo “non ho bisogno di te”?
Non ci staremo facendo autogol?