Archivio | 2 luglio 2013

Grande Willyco!

silenzio angelo

E’ un tema che ricorre qui frequentissimamente, troppo direi, tant’è vero che mi ero ripromessa, almeno per un po’, di non parlarne più.

Me l’ero ripromessa per non ripetermi, perché è pure inutile se non controproducente e, a dirla tutta, anche un tantino noioso.

Me l’ero ripromessa perché, leggendo nei vari blog delle medesime esperienze e quindi, realizzando che non si trattava di un problema mio ma del fatto che “il mondo va così”, mi ero pure un po’ rasserenata.

Ancora di più mi ha consolato Enrico (lo adoro quell’uomo!) quando mi ha fatto presente che, col numero di persone che frequento io, il numero di “incidenti” in assoluto può sembrare rilevante ma, in percentuale, è persino più basso della media.

Insomma, parlavo dei rapporti finiti, io personalmente soprattutto della amicizie finite, nel silenzio, senza un perché dichiarato. Ho sempre sostenuto (se ne discusse tempo fa anche da Pattibum, ma adesso così su due piedi non saprei rintracciare il post) che un rapporto profondo, spesso di lunga o lunghissima durata,  non si può chiudere e basta, senza una parola, non può finire nel silenzio, un giorno, all’improvviso, addirittura pretendendo che l’altro, insomma, non rompa l’anima chiedendo spiegazioni (che cos’è, coda di paglia? E’ la vostra cattiva coscienza che vi fa parlare?).

Mi ha un po’ ritentato a riparlarne una blogamica, fbamica e, grazie alla sua costanza, da qualche tempo amica anche nella vita reale, che ha scritto che vorrebbe tanto dire grazie a tutti quelli che se ne sono andati, si chiama selezione naturale, sono restati i migliori, e queste defezioni le hanno permesso di non perdere tempo con chi non lo merita.

Ora arriva – e  questo punto non resisto – il grande post di Wyllico: intervengo, e la sua risposta mi fa l’effetto degli spinaci di Braccio di Ferro, mi ridà grinta ed energia. Questa la sua risposta:

@ Diemme: credo che in tutti i rapporti ci sia lo stile della fine. A partire da quelli amorosi per finire in quelli più banali dell’incontro casuale. Le relazioni meno importanti si lasciano semplicemente sfumare, le altre hanno bisogno, nella mia grammatica, di chiarezza. Che può essere anche racchiusa in due parole: e’ finita. Restare e’ il mio modo per testimoniare a se stessi ciò che si è, non aver timori inutili.

Lo dissi una volta a quello che chiamavo “Il grande B.”: nessuno è obbligato a frequentare nessuno, ma dopo una frequentazione e un affetto profondi, assidui, speciali, uno ha il dovere di comunicarlo, il coraggio di guardare l’altro negli occhi e dirgli “E’ finita, non me la sento più, non mi va più”, con o senza aggiunta di motivo.

Sarebbe meglio “con”, e sapete perché? Perché comunicando all’altro dove ha sbagliato, qual è stato il suo comportamento/atteggiamento ritenuto insopportabile, imperdonabile, lo si aiuta a crescere, a meditare su se stesso, eventualmente a scegliere di cambiare, evitando in futuro di ritrovarsi nella stessa situazione. Se invece ce ne andiamo senza pagare questo tributo dovuto, noi, quell’amicizia, quell’affetto, il tempo di quella persona, l’abbiamo rubato.