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Hotel Rigopiano

soccorsi-a-rigopiano

La realtà è che finora non ce l’ho fatta a scrivere una sola riga, sono completamente sotto choc.

Il modo in cui è successo è incredibile, un palazzo praticamente spostato e sepolto, la mancanza di prevenzione, la cronaca di una morte annunciata, le richieste di soccorso ignorate, gli elicotteri che non si alzano in volo, le turbine inesistenti, o ferme, o distratte altrove, i vigili del fuoco che lavorano incessantemente senza indumenti temici e senza guanti…

Ormai dalle macerie dell’albergo si estraggono solo corpi senza vita, ne mancano ancora mi pare 17, ma più che alla loro morte io continuo a pensare al modo assurdo in cui sono morte.

Mia nonna, ogni volta che si trovava chiusa da qualche parte, per esempio in macchina, si agitava gridando “me fate fa’ ‘a morte der sorcio!”: esattamente quello che è successo a quella povera gente.

Seguo i soccorsi, li ho seguiti dal primo istante, ma non posso fare a meno di sentirmi là sotto con loro, in una prigione senza uscita, e continuo a sentirmi male, a provare un’angoscia tanto impotente quanto incessante.

Edoardo continua a chiedere dei suoi genitori, morti entrambi, e noi qui ancora tutti a sperare che ci venga restituita qualche altra vita, per qualche miracolo che riesca compiersi anche – e soprattutto – nell’inferno.

Credevo fosse amore #2

Leslie Morgan Steiner - sulla violenza

Riprendo l’articolo sull’argomento per dar seguito a un commento di Uomo & Padre.

Leggete tutto l’articolo e poi torniamo qua a parlarne, così vediamo insieme dove inizia il consenso della vittima.

Letto? Bene. Esaminiamo questa parte (vi dico quello che ha colpito me):

Non sapevo neanche che il secondo passaggio consiste nell’isolare la vittima. Ora, non è che Conor un giorno è arrivato a casa e mi ha detto, “Senti, tutta questa roba di Romeo e Giulietta è stata bella, ma devo passare alla fase successiva dove ti isolo e abuso di te” — (Risate) — “Quindi devo portarti via da questo appartamento dove i vicini possono sentirti urlare e fuori da questa città dove hai amici, famiglia e colleghi che possono vedere i lividi.” Invece, Conor è venuto a casa un venerdì sera e mi ha detto che aveva lasciato il suo lavoro, il lavoro dei suoi sogni, e ha detto che lo aveva fatto per me, perché lo avevo fatto sentire così sicuro ed amato che non aveva più bisogno di dimostrare niente a se stesso a Wall Street e voleva solo andarsene dalla città, lontano dalla sua famiglia disfunzionale e abusiva, e trasferirsi in una piccola città del New England dove poteva ricominciare una vita con me al suo fianco. Ora, l’ultima cosa che volevo fare era lasciare New York, e il lavoro dei miei sogni […]

Già qui si vede la prepotenza, chiara. Lui decide, di cose importantissime, per entrambi. Lui non solo, a fronte di una vita da costruire in due, lascia il lavoro senza neanche consultarsi con lei – non dico chiederle il permesso, me neanche accennargliene! -, ma decide anche per lei: lei, per amor suo, è tenuta a lasciare una città che non vuole lasciare, e con essa il lavoro dei suoi sogni.

Secondo me, si sarebbe dovuta fermare in quel momento. Ricordo una grande risposta su Cosmopolitan di Lidia Ravera (giornalista, coautrice di Porci con le ali e blablablà) a una tizia che era indecisa se seguire o no all’estero l’uomo di cui era innamorata. Lei le rispose più o meno: “Vai se TU vuoi andare all’estero, se A TE interessa quell’esperienza: ricorda che gli amori vanno e vengono, ma è con te stessa che devi vivere fino alla fossa!” (So che andrebbero virgolettate solo le parole testuali, ma quelle non me le ricordo e il discorso indiretto ha meno forza, quindi mi appello alla vostra indulgenza 😉 ).

Quando permettete a un uomo di sradicarvi, praticamente senza il vostro consenso, di distruggere tutto quanto avete costruito in una vita perché lo ha deciso lui, beh, perdonatemi, già gli avete permesso di farvi una violenza infinita, e non sarà una sorpresa quella che verrà dopo!

Ancora:

Conor prima mi ha aggredita fisicamente cinque giorni prima del nostro matrimonio. Erano le sette. Avevo ancora la camicia da notte indosso. Stavo lavorando al computer cercando di finire un lavoro freelance, e mi sono infastidita, e Conor usò la mia rabbia come scusa per mettermi le mani al collo e premere così tanto da non farmi respirare o urlare. Usò questa presa per sbattere ripetutamente la mia testa contro il muro. Cinque giorni dopo, i dieci lividi sul collo erano sbiaditi, ho indossato l’abito da sposa di mia madre, e l’ho sposato.

Fermatemi, vi prego! La prima violenza poteva essere ben nascosta (lasci tutto quello che hai costruito perché mi ami tanto!), la seconda solo “suggerita” (tre pistole cariche sempre a tiro), ma questa? E tu, un uomo che ti ha fatto questo, te lo vai a sposare? CINQUE GIORNI DOPO?????

Tutto il resto posso capirlo. Quando ci sei dentro ci sei dentro, alla soggezione psicologica, il disorientamento, si aggiunge lo sfinimento fisico e mentale, la paura, la vergogna. E’ vero, come dice la protagonista della storia, che il violento non ti fa andare via gratis, che molte sono le donne uccise proprio perché avevano tentato di lasciare l’uomo violento, ma alla fine, qual è stata la soluzione?

La denuncia, comunque, ovunque, a chiunque, scritta, verbale, sussurrata, urlata, alle forze dell’ordine, ai familiari, ai conoscenti, ai vicini.

Quando smettiamo di coprirlo, il violento è nudo davanti al mondo.

Il “cinema” di Sderot (e di altre bufale)

morti in Siria

Sono piena di dolore per la situazione in Medio Oriente, per l’una e per l’altra parte (e non solo).

Vengono pubblicate foto ignobili e, benché oramai si riesca abbastanza facilmente a smascherare le menzogne di quelle foto, perlopiù relative ad altri conflitti, soprattutto quello siriano, e fatte passare per immagini di Gaza, l’impatto emotivo che provocano è notevole. La campagna di menzogne s’infittisce, guadagnarsi l’opinione pubblica è cruciale.

In questo momento però, pur chiaramente lieta che Israele non abbia le colpe che tentano di attribuirle, non posso non piangere su quei corpi di bambini straziati e pensare che comunque loro, in una qualche parte del mondo, sono morti e in quel modo, dilaniati da una qualche bomba, da un qualche ordigno di guerra.

Io vorrei che il mondo intero alzasse la guardia e pretendesse che il proprio stato, le organizzazioni internazionali, facessero tutto quanto è in loro potere per fermare queste carnaficine in tutto il mondo.

Intanto condivido una testimonianza che sbugiarda l’ennesima bufala che sta girando, e cioè quella degli israeliani che si porterebbero a Sderot la seggiolina per guardare lo spettacolo delle bombe che cadono su Gaza.

Questa la testimonianza, di una persona che si è presa la briga di andare di persona sul posto:

“Il Cinema di Sderot”

Parte del lavoro di Progetto Dreyfus è quello di contribuire ad un’informazione più giusta per Israele. Smontare le bufale – il cosiddetto debunking – è parte integrante del nostro lavoro che spesse volte ha costretto i media nazionali a correggersi. La disinformazione ai danni d’Israele spesso si fa usando un laptop e un po’ di tempo a disposizione per rintracciare le fonti. Qualche volta si è costretti a fare un lavoro un po’ più d’azione e bisogna recarsi sui luoghi dove nascono certe menzogne ed osservare l’origine di certe falsità.

Sono giorni che tra le foto propugnate su Twitter da hashtag come #gazaunderattack viene diffusa in maniera ripetuta l’immagine del cosiddetto “cinema di Sderot”, dove secondo certi giornalisti gli abitanti della cittadina israeliana di Sderot, appunto, città israeliana bersagliata dai razzi perché a poche centinaia di metri dal confine con Gaza, si radunavano per “ammirare” i bombardamenti ai danni dei palestinesi.

LA VERITA’. In realtà su questa collina alla fine della città, c’è una postazione dove operatori provenienti da tutto il mondo osservano le operazioni militari su Gaza e il lancio dei missili VERSO Sderot, con il relativo abbattimento (quando avviene) da parte del celebre IronDome. Il divano e la sedia che si vedono nel video sono state portate dagli stessi giornalisti, costretti a stare sulla collina per molte ore sotto al sole.

Non si sono altre sedie, non ci sono “cinema”, non c’era lo straccio di un abitante normale e non c’era traccia di “banchetti”, “festini” o accampamenti permanenti. I diversi testimoni internazionali e gli operatori Reuters sul posto con cui abbiamo chiacchierato ci hanno confermato che questa “pratica” di affacciarsi su Gaza da parte degli abitanti di Sderot è un’assoluta INVENZIONE. Bufala smentita, dunque. Sotto con la prossima.

Testimonianza di Alex Zarfati

 

E poi, forse c’è un altro motivo per cui muoiono tanti civili.

Recita questa immagine: “Israele usa le armi per proteggere i civili, Hamas usa i civili per proteggere le armi”. Direi che l’immagine è esaustiva.

armi per proteggere i civili - civili per proteggere le armi

Consiglio anche quest’altro articolo: http://www.dirittodicritica.com/2014/07/12/gaza-false-photo-hamas-israel-53296/

E questo sulle indicibile sofferenze inflitte ai bambini in Siria, su cui tutte queste levate di scudi non le ho sentite… http://video.ilsole24ore.com/TMNews/2014/20140205_video_13042139/00017683-onu-almeno-10000-bambini-uccisi-orrori-indicibili-in-siria.php