Mi giro e rigiro nel letto, e non trovo pace.
Non è la paura quella che mi tiene sveglia, ma il rimpianto. Non le cose che non potrò più fare, ma quelle che non ho fatto (e non potrò più fare).
E poi, la solita voglia di capire, dove è cominciato, quando, qual è la causa, quale quel sintomo zero che ho trascurato, quello da cui avrei potuto cominciare a fermare la caduta, il precipitare lento e silente, incessante e continuo.
Quel dolore, quell’ “Ahi che male!”, cui non ho mai dato nessuna importanza e nessun seguito.
Continuo a cercare sull’enciclopedia, e alla voce cause leggo traumi fisici – che non ho avuto -, operazioni chirurgiche – che non ho subito -, lavori usuranti, tipo facchinaggio, che non ho svolto.
Lavori sedentari, questo sì, ma sono pure una che ha abbandonato la macchina da anni e almeno la sua ora a piedi se la fa, quotidianamente.
Sovrappeso. E quello pure sì, quello c’è, ma ci sono persone che pesano anche trenta o quaranta chili più di me che questi problemi non ce l’hanno.
Non mi sono mai neanche imbottita di medicine, e non ho mai fatto stravizi di nessun genere che possano giustificare il cedimento di un corpo che, per altri versi, dimostra biologicamente almeno quindici anni in meno della sua età anagrafica.
Poi penso, semplicemente, che la vita è come il gioco della sedia, che a un certo punto la musica finisce, e mentre tutti si siedono tu rimani in piedi.
Solo che stavolta succede il contrario: tutti rimangono in piedi, ed io seduta.
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