Archivio | ottobre 2013

Ed io seduta

La sirenona

Mi giro e rigiro nel letto, e non trovo pace.

Non è la paura quella che mi tiene sveglia, ma il rimpianto. Non le cose che non potrò più fare, ma quelle che non ho fatto (e non potrò più fare).

E poi, la solita voglia di capire, dove è cominciato, quando, qual è la causa, quale quel sintomo zero che ho trascurato, quello da cui avrei potuto cominciare a fermare la caduta, il precipitare lento e silente, incessante e continuo.

Quel dolore, quell’ “Ahi che male!”, cui non ho mai dato nessuna importanza e nessun seguito.

Continuo a cercare sull’enciclopedia, e alla voce cause leggo traumi fisici – che non ho avuto -, operazioni chirurgiche – che non ho subito -, lavori usuranti, tipo facchinaggio, che non ho svolto.

Lavori sedentari, questo sì, ma sono pure una che ha abbandonato la macchina da anni e almeno la sua ora a piedi se la fa, quotidianamente.

Sovrappeso. E quello pure sì, quello c’è, ma ci sono persone che pesano anche trenta o quaranta chili più di me che questi problemi non ce l’hanno.

Non mi sono mai neanche imbottita di medicine, e non ho mai fatto stravizi di nessun genere che possano giustificare il cedimento di un corpo che, per altri versi, dimostra biologicamente almeno quindici anni in meno della sua età anagrafica.

Poi penso, semplicemente, che la vita è come il gioco della sedia, che a un certo punto la musica finisce, e mentre tutti si siedono tu rimani in piedi.

Solo che stavolta succede il contrario: tutti rimangono in piedi, ed io seduta.

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Questa voce è stata pubblicata il 28 ottobre 2013, in Diemme, Pensieri.

Il delirio dell’eugenetica

Beh, stavolta io direi che non è per dimenticare, ma proprio per sapere!

Ringrazio Warp9 per la segnalazione del video che qui propongo, storia che già avevo avuto modo di conoscere in un servizio che, tra le altre cose, riportava molte delle foto e delle storie della povera gente tedesca sterminata in Germania ancora prima dell’Olocausto, i poveri malati psichiatrici e disabili (ma in mezzo ci era finita anche gente sana) su cui la macchina dello sterminio tedesco aveva “fatto pratica”.

Vari punti mi sono rimasti impressi, tra cui:

1) come sottolinea Paolini, coloro a cui i propri cari venivano consegnati non era ufficiali delle SS, non erano soldatacci armati che ti puntavano il mitra, ma rassicuranti medici di famiglia: d’altra parte, l’inganno sulle reali intenzioni è stato il grimaldello con cui il nazismo ha scardinato tante resistenze.

2) se guardate il filmato dal 1:15 per alcuni minuti, viene presentato l’intervento oppositore del vescovo von Galen, a dimostrazione che la voce dei giusti, anche di uno solo, può fare la differenza, che il grande bene e e il grande male sono spesso rappresentati da poche persone, e che la differenza la fanno le persone che stanno nel mezzo, a seconda della strada che scelgono di seguire: il bene, il male, e l’indifferenza, che del male è il più potente alleato.

Buona visione (capisco che siano due ore, ma francamente vi consiglio questo video: credo che la conoscenza sia uno dei fattori più importanti della vita, insieme, ovviamente, alla salute che però, senza conoscenza e senza azione, è più facile che ci venga sottratta),

L’Olocausto e le Stolpersteine: quale il senso?

Stolpesteine

Non sei, ma sessanta milioni: ancora non vi impressiona la cifra?

Eppure è proprio quella che leggo nell’articolo di Andrea Tarquini su Repubblica, “Olocausto, la memoria in una app: le Stolpesteine diventano virtuali“:

“se calcoliamo le vittime civili della seconda guerra mondiale scatenata dall’Asse per i deliri di dominio mondiale del Fuhrer, parliamo di oltre sei milioni di ebrei, 7 milioni di polacchi, 27 milioni di russi, oltre un milione di tedeschi. In totale solo in Europa 40 milioni e passa, se aggiungiamo le vittime delle aggressioni imperialiste giapponesi, dei massacri ordinati da Tojo e dal Tenno e degli esperimenti in massa di gas e armi chimiche o batteriologiche sulle popolazioni cinese e coreana, arriviamo ben oltre i 60. Ecco le cifre che i negazionisti contestano senza prove e vorrebbero far dimenticare.”

Ma che cosa sono le Stolpersteine? Come spiega l’articolo, sono selci in metallo col nome e la data di nascita e di morte di una vittima dell’Olocausto, nati da un’idea dell’artista Guenter Deming (v. foto).

Mi stupii molto la prima volta che le vidi, e di primo acchito non ne capii neanche particolarmente il senso: e invece un senso ce l’hanno, ridare un nome a chi si era voluto cancellare dalla terra, un luogo di ricordo a coloro i cui corpi si sono persi e dissolti nel nulla, e non hanno potuto avere alcuna sepoltura.

Ma non solo.

Oggi le Stolperstein sono diventate una App, che quando passa davanti a un luogo dove ha abitato (il passato prossimo anziché il remoto è voluto) una vittima dell’Olocausto, manda un segnale e racconta la sua storia.

Perché si sappia che era gente comune, che era gente normale. Era gente che esisteva.

Perché si sappia che non immaginavano cosa sarebbe accaduto a loro, esseri umani e senza colpa, e affinché ognuno di noi in futuro sappia riconoscere i segnali, perché non ci interessa che non accada più al nostro popolo, non deve accadere più a nessun popolo, a nessuna etnia, a nessun gruppo, a nessun essere umano. Per rendersi conto che quello che è successo – non per la follia di pochi, ma per l’ignavia di molti – non è così scontato che non accada mai più.

Perché la follia di uno, o di alcuni, non si potrà probabilmente evitare mai, ma contro l’indifferenza del resto del mondo forse qualcosa si può ancora fare, e allora ben venga inciampare lungo il nostro cammino, per ricordarci che dobbiamo tenere gli occhi aperti, che lungo la via possiamo incontrare gente che ha bisogno della nostra voce, del nostro ricordo e della nostra azione.