Archivio | 16 marzo 2014

Io, donna all’antica.

Gorgo - moglie di Leonida

E me ne vanto.

Un mio amico sostiene che io sia sostanzialmente una donna di destra, anche se io la destra non l’ho mai votata, neanche di striscio.

E’ che la questione non è politica, ma di sentimenti. Forse  di religione – forse – ma direi prima di tutto di fede, indipendentemente da ogni e qualsiasi credo istituzionale.

Perché io la Fede ce l’ho nel Creato e nell’Energia che lo governa, cui non sento la necessità di dare un nome. Perché ritengo ogni essere importante, e non una manciata di cellule aggregate alla bene e meglio, che dal nulla nascono e nel nulla ritorneranno.

Io credo in un disegno superiore, ma non è questo il punto.

In virtù del fatto di essere viva, e parte di cotanto Cosmo, io mi sento importante e non ho crisi esistenziali. Sono importante come essere umano, e di valore per quello che sono e che faccio, non certo per il ruolo che ricopro o per quello che possiedo.

Non sono una femminista, credo che l’uomo e la donna siano diversi (cioè no, non “credo” che siano diversi, lo sono oggettivamente) e che abbiano natura e compiti diversi. Credo nella famiglia come fondamento della società, e ritengo molti mali dei nostri giorni dovuti allo smantellamento della medesima, con conseguente disorientamento dei giovani, schegge impazzite senza punti di riferimento, né limiti, senso della misura, capacità di superare le frustrazioni, gestirle, elaborarle, utilizzarle come mattoncini per la crescita.

Credo nella famiglia tradizionale, nel diritto del figlio a una madre e un padre, un genitore in cui identificarsi e l’altro da cui differenziarsi, nell’equilibrio che danno accoglienza e disciplina, amore e autorità (anche se non sempre identificabili esclusivamente nell’uno o nell’altro). Questo senza venir meno al rispetto degli omosessuali e al riconoscimento dei loro diritti, che poco c’entrano con la famiglia tradizionale: riporto qui un passo dell’articolo che vi ho linkato:

Il matrimonio deriva da munus matris, ovvero «il dovere o compito della madre». Chi vuole chiamare «matrimonio» l’unione tra due persone dello stesso sesso dovrebbe spiegare perché non possa o non voglia chiamarlo con un nome diverso.

Credo anche – così vi scandalizzate ben bene – nell’amor di Patria, nell’orgoglio della propria Patria, e non solo allo stadio quando si tratta di tifare per una squadra di calcio. E questo senza venir meno alle frontiere tendenzialmente aperte, al diritto all’emigrazione e all’immigrazione, vale a dire al diritto di ogni essere umano di avere un posto in cui vivere e realizzare la sua vita e la sua personalità, con rispetto e libertà.

Sono contro l’aborto, e questo lo sapete, ma forse è più corretto dire che sono a favore della vita, vissuta non come un problema ma come un’opportunità d’inestimabile valore. Questo non significa condanna per chi ha abortito (“Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno!”), ma tanta pena per questa debolezza, oserei dire per questa cecità di fronte al valore della vita.

Non credo negli status symbol, non ne ho mai sentito il bisogno e non ne sono mai stata impressionata anzi, sono piuttosto infastidita – per non dire offesa – da chi mi sventola davanti agli occhi i suoi beni materiali, pensando con questi di potermi fare una certa impressione.

Sono credente. Non m’identifico in nessuna religione, ma percepisco e sento nel cuore che siamo qualcosa di più del nostro corpo, che siamo legati al cosmo intero, passato presente e futuro, e la fratellanza con gli uomini e tutto il resto non è una parola o bella o priva di significato, ma un altro dato di fatto.

Ciò detto, vediamo di quanto diminuiranno i miei followers per questo mio impopolarissimo credo…  😉

Pur-im

the-story-of-esther-a-purim-tale

Oggi è Purim, il cosiddetto carnevale ebraico. L’origine però poco ha a che fare col carnevale, e ricorda un’occasione in cui il popolo ebraico si salvò da un’ingiusta minaccia.

La storia la potete leggere nel link che vi ho indicato, ma quello che vorrei sottolinare di questa festa è che rappresenta non solo la salvezza del popolo ebraico, non solo il trionfo della giustizia e della verità che venne a galla, non solo la giusta punizione del colpevole Aman, il perfido consigliere del re Assuero, ma soprattutto un giusto contrappasso, perché fu la stessa forca preparata per il giusto Mordechai che finì per essere usata per l’infido Aman.

E allora, buon Purim a tutti, e che a tutti noi la vita renda giustizia!  🙂

NB: Purim è il plurale di Pur, che significa “sorte”, e quindi il nome della festa suona come “le sorti”.