Struttura della Costituzione e art. 1

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Buoni che ci siamo quasi, oggi il primo articolo lo leggiamo (e soffriamo in silenzio), ma prima una piccola premessa sulla struttura della Costituzione:

la Costituzione è composta da 139 articoli e relativi commi (5 articoli sono stati abrogati il  115, 124, 128, 129 e 130, e ora scatta la curiosità di sapere di che trattavano, ma ci arriveremo), più 18 disposizioni transitorie e finali, così suddivisi:

  • Principi fondamentali (primi 12 articoli);
  • Parte prima: “Diritti e Doveri dei cittadini” (dal 13esimo al 54esimo);
  • Parte seconda: “Ordinamento della Repubblica” (articoli 55-139);
  • Disposizioni transitorie e finali (disposizioni I-XVIII).

Io credo che, data la natura del blog, che al massimo tratteremo dei primi 54 articoli, visto che con l’ordinamento della Repubblica si finisce più nel dettaglio tecnico e forse questo non è il contesto.

Il testo si apre con un breve preambolo: «Il Capo provvisorio dello Stato – Vista la deliberazione dell’Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana; – Vista la XVIII disposizione finale della Costituzione; – PROMULGA – La Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo».

Seguono i 12 principi fondamentali, tra cui il celeberrimo art.1 (credo l’unico che tutti conoscono e di cui citano spesso e volentieri la prima dichiarazione):

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Bello sì, bello, ce ne riempiamo tutti la bocca. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Nel dopoguerra, dopo la promulgazione della Costituzione, io non c’ero, ma ci credo che i nostri nonni si siano rimboccati le maniche e abbiano lavorato tanto, ma tanto tanto. Dopo aver dato la vita per la nostra libertà, l’hanno data perché questa libertà noi ce la potessimo godere in serenità e benessere economico.

Hanno costruito tanto, ci hanno dato tanto, ma poi, cosa è successo?

Francamente non saprei dirlo, e giro la domanda a chi è più grande di me.

Quando sono arrivata io, quando stavo ancora al liceo, già ci dicevano che il nostro futuro era segnato, che non avremmo visto la pensione, che si stavano mangiando tutto. Il lavoro non si trovava, per superare i concorsi non dovevi studiare, ma cercare una raccomandazione.

Purtroppo, ahimé, era vero, e quanti politici ne approfittavano! Mi ricordo che mi raccontarono di uno donna che da anni faceva i servizi gratuitamente a un “onorevole” che aveva promesso un posto di netturbino al marito: cinque anni a pulire il sedere all’onorevole (cinque quando me lo raccontarono, chissà quanto ci rimase ancora, e se il marito il posto lo ebbe mai!), e probabilmente, anziché agevolare l’ingresso dell’uomo nel campo del lavoro, l’onorevole l’ostacolava, perché ovvio che per lui, una volta che il marito della donna avesse ottenuto “il posto fisso”, sarebbe finita la pacchia.

Ora, lo sapete vero che io ho il dente avvelenato con gli italiani, o meglio, con *certi* italiani, e non a caso. Quando è nato questo comportamento servile del popolo italiano? Quando ci siamo trasformati in squallidi e servili leccapiedi? Quando abbiamo scelto, anziché di rimboccarci le maniche, di metterci all’ombra di un “onorevole” e pensare che nulla potevamo senza il suo appoggio? Quando le commissioni hanno deciso di valutare le persone in base a segnalazioni e non per meriti? Quando abbiamo venduto la nostra anima, non ponendoci alcuna questione morale nello scavalcare e far scavalcare? Quando abbiamo rinunciato all’amor proprio e al rispetto dell’altro? Quando abbiamo accettato di essere valutati non per meriti ma per copertura politica?

Quando hanno deciso che il popolo doveva subire, nei posti pubblici, delle capre pigre e incompetenti, e mandare in malora tutti i servizi pubblici nazionali?

Quando abbiamo accettato che i nostri cervelli dovessero tutti emigrare per non andare a finire a essere strademansionati, sotto e più sotto le capre raccomandate di cui sopra? Quando abbiamo accettato tutto questo? Quando ci siamo venduti e rassegnati?

Io non lo so, io la situazione l’ho trovata già così, e a mano a mano ho constatato i frutti che aveva generato. Quando le scuole, trasformate in promuovifici, hanno iniziato a sfornare somari, e poi questi somari sono diventati insegnanti, a fianco di quelli – che grazie al cielo ancora esistono – preparati e che sono sempre più frustrati? Quando anche i libri hanno incominciato ad essere zeppi di errori, tra chi era incapace di scriverli e chi di valutarli?

Quando ci siamo persi?

Ora che abbiamo svenduto tutto o quasi il patrimonio nazionale, ora che tutto o quasi è privatizzato e siamo schiavi di multinazionali neanche italiane, ora che vale zero il diploma e zero pure la laurea, il master e la specializzazione, saremo capaci di ricominciare? Saremo capaci di ricostruire?

Mia figlia mi rimprovera dello schifo di mondo che lasciamo alla loro generazione, dice che è stata la mia di generazione a rovinarlo: la mia generazione forse, ma non certo io.

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.

Ecco, lavoriamo allora, che ci lamentiamo dell’invasione degli immigrati, ma in realtà siamo noi a consegnare agli stranieri le chiavi della nostra nazione, perché vogliamo stare comodi, seduti, sdraiati, e lasciar lavorare loro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Ci siamo salvati per il rotto della cuffia: siamo andati a un passo dal cederla la sovranità popolare dallo svenderla, in cambio di un risparmio di un caffè l’anno pro capite. La stavamo cedendo, forse anche per la pigrizia di leggerla questa Costituzione, perché invece di rimboccarci le maniche stiamo aspettando l’uomo forte, il deus ex-machina che ci risolva tutti i problemi, che cancelli con un colpo di spugna tutto i danni che abbiamo provocato. Non importa che li risolva sul serio, basta che lo prometta, e che noi non dobbiamo metterci in discussione, aprire gli occhi, porci questioni, lavorare.

E invece dobbiamo mettercelo bene in testa, dobbiamo lavorare, perché, Renzi o non Renzi, la nazione non si risolleverà senza il nostro impegno diretto, l’impegno di tutti, ciascuno in prima persona.

Dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo: dobbiamo lavora’!

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