Archivio | 16 Maggio 2018

Gerusalemme e l’ambasciata USA

Il 14 maggio è stata una data importante per Israele: l’anniversario della sua costituzione, 70 anni da quando, finalmente riconosciuta al suo popolo una terra e un’identità nazionale, è stata formalizzata la nascita di quella nazione dei miracoli, che non solo avrebbe trasformato il deserto in un giardino rigoglioso (quello è stato solo l’inizio!), ma che continua a produrre scoperte scientifiche, sofisticate tecnologie, è la culla delle startup, etc. etc. etc.

Israele, la nazione che crea e che nulla vorrebbe distruggere ma che è costretta, suo malgrado, a essere sempre in guerra, a distrarre risorse da ben più pacifici impieghi, cui tutti si vorrebbero dedicare, per difendere i propri confini, la propria esistenza e la vita dei propri cittadini, che continuano a versare un tributo sempre troppo alto.

Il 14 maggio sarebbe dovuta essere una giornata solo di gioia, la festa di inaugurazione dell’ambasciata americana trasferita a Gerusalemme, spostamento stabilito da sempre – particolare che sembra sfuggire ai più – e promesso da tutti i presidenti prima di Trump, che ora ha visto la sua realizzazione.

Atto di coraggio e coerenza o benzina sul fuoco?

La verità, è vero, ha mille facce, ma io opto per la prima ipotesi, e mi sono goduta quella bellissima festa, piena di gente bella, coraggiosa, solare, di una nazione che in questi giorni ha avuto molto da festeggiare, dall’individuazione degli arsenali iraniani alla più frivola vincita dell’Eurofestival, passando per il Giro d’Italia partito da Gerusalemme in onore di Gino Bartali, il famoso ciclista italiano che tanto ha fatto per il popolo ebraico.

Ma mentre Israele festeggiava, l’esercito doveva difendere i suoi confini, attaccati da manifestazioni “pacifiche” (a base di molotov), di un’orda di circa 40.000 palestinesi che cercava di sfondarli per invadere e attaccare il territorio.

Pare che il giorno prima degli scontri di Gaza Hamas abbia distribuito la mappa satellitare dei villaggi Israeliani prossimi al confine con relativi sentieri come arrivarci. Tra i palestinesi,  preavvertiti che non sarebbe stata tollerato lo sconfinamento (come se ce ne fosse stato bisogno), molti minorenni.

Tante sono state le vittime degli scontri, vittime per le quali piango, non importa che siano della parte avversaria. Piango per questa povera gente, imbibita d’odio e indottrinata che non riesce a vivere come potrebbe, gente votata al suicidio e usata dai propri governanti come carne da cannone. Piango perché non posso concepire che esistano figli di cui i genitori aspirano al martirio, piango perché penso che una strada diversa esista, e la pace sia possibile. Piango perché mi rendo conto della disperazione di un popolo probabilmente solo fuorviato da interessi internazionali, piango perché penso che il desiderio internazionale di dare assistenza a questo popolo abbia prodotto l’effetto contrario, e che i fiumi di denaro che arrivano siano utilizzati per perpetuare la guerra anziché per migliorare veramente le condizioni di vita di una popolazione che ha indubbiamente bisogno di un riscatto da una situazione umanamente inaccettabile.

Non so se sia vera la notizia che circola della bambina di 8 mesi portata dai genitori stessi sui luoghi degli scontri, che una parte sostiene essere morta per gli effetti dei lacrimogeni – che per convenzione devono essere atossici e non c’è motivo di pensare che non lo fossero – e l’altra essere una neonata malata terminale portata lì apposta perché ne potesse essere strumentalizzata la morte dovuta ad altro.

Vorrei che quelle persone si alzassero una mattina con una coscienza diversa e iniziassero a lottare per la vita, e non per la morte.

Probabilmente questo mio post avrà pochi commenti, forse qualche provocazione o qualche slogan, e mi sono chiesta se fosse opportuno pubblicarlo o meno, ma le sensazioni contrastanti suscitate da una giornata così particolare credo meritino una riflessione.

Spero che chi commenterà si renda conto della complessità della situazione (cavalie’, me raccomando!) e che tutti vogliano pregare per la pace, una pace che sono certa sia possibile ma solo con un cambio di prospettiva, perché alla fine la situazione oggettiva è solo ed esclusivamente un pretesto: come ha avuto modo di dire Jared Kushner, genero e portavoce di Trump, la violenza è il problema, non la soluzione.

(Leggi pure: https://www.facebook.com/giulio.meotti/posts/10215619914840792  e ascolta https://www.facebook.com/angelicaedna.beresheetlashalom/videos/1863019440422747/)

Update: intanto anche il Guatemala ha disposto il trasferimento della propria ambasciata a Gerusalemme.

Gerusalemme ambasciata Guatemala