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Caro Simon (non ti ho dimenticato)

Caro Simon,

posso dirti, da quando seppi di te, di non aver trascorso un giorno della mia vita senza pensarti, senza pensare alla tua storia, alla tua opera, al tuo pensiero. Al tuo sentimento nei confronti di chi non c’era più, di quelli dei quali ci dicevi che, una volta raggiunti nell’altra vita, avresti voluto guardare negli occhi e dir loro “Non vi ho dimenticati”.

A  casa mia della guerra si parlava poco, ma di te sì, di te si parlava, tu il riscatto, tu il nostro eroe, tu quello che non avrebbe dimenticato le vittime, che non avrebbe permesso ai carnefici di farla franca.

Tu, l’autore di “Il girasole”, sui limiti del perdono. Invito chiunque non abbia letto quel libro a farlo: io ne fui davvero impressionata. La tua vita nei lager, testimone di episodi feroci e incredibili persino a chi li stava vivendo, e poi quella chiamata, di un nazista in fin di vita che voleva che un ebreo lo perdonasse dei crimini commessi, e a te toccò in sorte di essere chiamato.

Ma tu il perdono glielo rifiutasti.

Rifiutasti, ma da uomo buono e giusto quale eri te ne creasti un problema, continuasti a chiedere se avevi fatto bene o male, se avresti potuto perdonarlo, se avresti dovuto, oppure no.

Il tuo essere sopravvissuto alla guerra, ai vari lager, anche quando fosti a un passo dalla morte, sembra un segno del destino, e secondo me lo fu: avevi una missione, che forse un altro non avrebbe portato avanti, ma tu non demordesti mai.

Sei stato consegnato alla storia come “Il cacciatore di nazisti”: tutti, dopo la guerra, prima o poi tornarono alla vita normale, ma tu no, tu sentivi un debito morale nei confronti di chi avevi visto torturare e morire, e a chi ti chiedeva conto della tua insistenza dicevi che un giorno, quando avresti rincontrato quelle anime, avresti detto loro “Non vi ho dimenticati”.

Chissà se l’hai fatto. Ti sei spento serenamente, qualche anno fa, alla veneranda età di 97 anni.

Io ebbi modo di conoscerti. Non fu casuale, o forse sì. O forse no, chi lo sa come s’intrecciano i destini, perché lessi quell’annuncio su un giornale che non leggo mai, che parlava del film sulla tua vita prodotto da Canale 5, di cui ci sarebbe stata l’anteprima in una saletta del Parlamento, e che avresti presenziato.

Fui presa da un’emozione fortissima: Wiesenthal, il nostro eroe, quello che non avrebbe dato tregua ai carnefici, e non avrebbe dimenticato le vittime. Telefonai, non si sa in nome di cosa ottenni un invito, dopo che mi era stato fatto presente che era riservato alle “personalità”, e io “personalità” non ero. Lo ottenni, senza appoggi, senza inciuci, solo perché al telefono spiegai cosa significava per me, e la persona che aveva risposto al telefono mi lasciò in linea un attimo, per poi tornare a dirmi “Mi dia il suo nome, troverà l’invito all’ingresso”.

Le immagini del film mi scorrevano davanti agli occhi lasciandomi atterrita e piena di stupore: non l’ho mai ritrovato quel film, sai? Un mio amico alla fine è riuscito a scaricarmene una versione in inglese, e di scarsa qualità video, ma è già qualcosa.

Tu sedevi là, in mezzo a noi. Alla fine della proiezione tutti in fila per farsi autografare il libro, e c’ero anch’io. Mi ritrovai davanti a te sentendomi infinitamente piccola: avrei voluto dirti qualcosa ma… ma di dove eri, che lingua parlavi? E che lingue parlavo io, che in quel momento non riuscivo a pronunciare una parola? Ti guardai negli occhi, e ti dissi solo “Grazie”. Mi restituisti un sorriso buono, prendesti la mia copia del libro e la firmasti.

Di lì a qualche anno – parecchi per la verità – ti spegnesti, andando a raggiungere coloro al rendere giustizia ai quali avevi dedicato tutta la vita. Sempre chiedendomi se davvero un aldilà esista, come in molti ci auguriamo pur senza averne certezza, ti immagino ad abbracciare tutte le vittime, ora serene. Avrai finalmente detto loro “Non vi ho dimenticato”, e ti avranno a loro volta abbracciato dicendoti “Grazie”, con lo stesso sorriso che tu hai avuto per me.

Ciao Simon, non ti ho dimenticato.