Art. 8: libertà di religione

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Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Direi che su questo ci siamo, è un articolo che, finora, è stato abbastanza rispettato. Mi pare ci sia stata qua e là qualche piccolissima questione per eventi importanti fissati in coincidenza di festività ebraiche (francamente non ricordo quali ma, solo a titolo esemplificativo, se tu mi metti le elezioni in un giorno in cui io, per la mia religione, non posso partecipare ad attività politiche, di fatto infici il mio diritto di voto, e da qui la necessità di un dialogo più fluido con le rappresentanze delle varie confessioni religiose), ma insomma, direi che rispetto e collaborazioni ci sono stati a livello consistente e più che sufficiente.

Una piccola nota: odio la formula “tolleranza religiosa”, non c’è nulla da tollerare, trattasi di semplice, normalissimo e dovuto rispetto!

Non avendo ulteriori obiezioni, cedo il passo all’approfondimento dell’esperto, la nostra Aida Millecento:

L’art. 8 della Costituzione va preso in considerazione con altri due articoli: il n. 19 e il n. 20.
La differenza fra questi tre articoli è di tipo letterale, poichè tutti e tre sanciscono il diritto di professare liberamente una religione. Ma nello specifico l’art. 8 è un PRINCIPIO GENERALE, il 19 definisce una LIBERTA’ DELL’INDIVIDUO, il 20 un DIRITTO INVIOLABILE. I tre concetti sono simili fra loro, a livello giuridico esistono numerose interpretazioni letterali circa il significato di PRINCIPIO, LIBERTA’ e DIRITTO e nella maggioranza dei casi le scuole di pensiero sono puramente filosofiche. In termini pratici ognuno di noi può  essere libero di professare qualsiasi religione, purché questa non contrasti con le norme del nostro ordinamento. A fini esplicativi serve soltanto dire che una persona ha il DIRITTO di professare LIBERAMENTE una religione, e tale diritto è un PRINCIPIO FONDAMENTALE riconosciuto dalla costituzione.
L’art. 19 recita: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Soffermiamoci sulla forma associata. C’è un implicito richiamo all’art. 2 della Costituzione, quello che sanciva “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità“. La libertà religiosa (e il principio correlativo) sono strettamente legati alla sfera personale dell’uomo che viene considerata come quel qualcosa che consente alla PERSONA in quanto tale di crescere, formarsi, acculturarsi, essere se stesso sia come singolo (l’ordinamento parla spesso di PERSONA, non di individuo, al fine di sottolinearne la sfera spirituale, psicologica, sociale e non egoistica) sia nelle formazioni sociali (una moschea, un’assemblea di evangelisti, una riunione di testimoni di Geova, e così via). Professare liberamente una religione significa esistere come persona, avere l’opportunità di credere in un’entità astratta che prescinde dall’effettiva esistenza, con l’accortezza che i riti professati non siano contrari al buon costume (art. 19).
Continuando l’art. 20 della Costituzione, che definisce un diritto inviolabile, recita: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività“. Ho parlato di diritto perché lì dove c’è un diritto esiste in contrapposizione un dovere da parte di un soggetto o di una comunità legato al rispetto di quel diritto. In termini più semplici io ho il diritto di essere cristiana, di andare in Chiesa e di fare i sacramenti in piena libertà. Tu Stato non puoi discriminarmi per tale motivo e tu, mio vicino di casa musulmano, ebreo, testimone di Geova, ortodosso non puoi impedirmi di professare liberamente la mia religione. Allo stesso modo io, cristiano, non posso discriminare te che sei musulmano,  ebreo, testimone di Geova, ortodosso, nè tanto meno posso impedirti di professare liberamente la tua religione. L’art. 20 fa un chiaro riferimento alla legge e non al privato cittadino, obbligando lo Stato ad eliminare qualsiasi impedimento legato alla religione che sminuisce la posizione sociale di una persona.
Bisogna fare un appunto. Un conto è la religione. L’appartenere ad un culto non deve essere causa di discriminazione. Un conto è l’avere o meno la cittadinanza italiana. Spesso si confonde il musulmano con l’extracomunitario unendo due sfere che in realtà sono diverse fra loro.
L’ultimo periodo dell’art. 8 della Costituzione recita: “I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze“. In questo caso sono da sottolineare le numerose intese stipulate fra Stato e organizzazioni religiose per ciò che concerne il riconoscimento a tutti gli effetti legali dei matrimoni contratti secondo rituali differenti rispetto al culto cattolico o al matrimonio civile. In altre parole in base all’intesa stipulata fra organizzazione religiosa e Stato italiano, il matrimonio celebrato in Italia secondo un rituale diverso ha gli stessi effetti legali rispetto al matrimonio “tradizionale”. Quindi i diritti e i doveri dei due sposi sono regolati, per quanto riguarda i rapporti civili, dalle norme del codice civile e qualsiasi questione verrà sollevata dinanzi ai giudici nazionali, sia civili che penali.

10 thoughts on “Art. 8: libertà di religione

  1. Mi limito a fare un’osservazione sulla tua riflessione riguardo alle coincidenze fra diritto di culto (in questo caso l’osservanza di una festa religiosa) ed obblighi politici e/o sociali.
    Quando frequentavo il liceo, avevo un compagno di classe ebreo che il sabato veniva regolarmente a scuola. Eppure, come sappiamo, il sabato è la giornata “sacra” per gli ebrei, come per i cattolici la domenica. Penso a tutti gli immigrati di religione islamica che oggi hanno figli che frequentano le scuole ed essi stessi lavorano regolarmente il venerdì. Ecco, io credo che per “rispetto” si intenda proprio “tolleranza”: io tollero che tu professi la tua religione ma la tua libertà, per quanto riguarda la pratica, finisce laddove ti impongo alcune regole sociali che devi accettare, volente o nolente.

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    • C’è sempre un modo di venirsi incontro, per esempio non piazzando compiti in classe proprio il venerdì o sabato, affinché chi vuole rispettare la sua religione non sia costretto a venire a scuola o perdere il compito. Ma poi che dico, chi ci tiene tanto al rispetto della religione se ne va in a studiare in un istituto religioso, perché è chiaro che in una scuola statale di uno stato laico venerdì e sabato sono due normali giorni di scuola.

      Oppure no, sono convinta che venendosi incontro con un po’ di buon senso si possano risolvere, e facilmente, un mare di problemi.

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  2. E’ un ambito abbastanza complicato questo e tortuoso direi, massimo rispetto per tutte le religioni, ma mi chiedo perché in una scuola italiana debba essere tolto il crocifisso e non debba essere fatto il presepe e la festa di natale…..allora il rispetto per la nostra di religione dove va a finire?
    In fondo sono loro che frequentano le nostre scuole, penso che se noi andassimo nelle loro nessuno penserebbe di togliere i simboli della religione del luogo….
    Non sono ne praticante ne credente, ma queste cose mi danno molto fastidio sinceramente.

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    • Sono totalmente d’accordo con te. Io, ebrea, sono sempre andata a scuola statale, con tanto di crocifisso in classe e presepe a Natale, più l’insegnamento di tutte le canzoni annesse e connesse.

      Non mi hanno mai recato nessun disturbo, lungi da me il ritenerle un’offesa, e non hanno minato in alcun modo la mia identità. Semplicemente, so di vivere in un Paese di tradizione cattolica, punto.

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  3. Mi faccio la stessa domanda di Silvia. Noi dobbiamo rispettare gli altri e gli altri non sono tenuti a farlo con la mia religione. Fino a questo momento ogni articolo letto può essere messo in discussione e non viene rispettato.

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    • Io detesto questa svendita – oserei dire disprezzo – dell’identità culturale italiana. Appunto, loro non ci permetterebbero mai di mettere in discussione le loro usanze e i loro simboli religiosi – e forse non ci permetterebbero neanche di seguire il nostro di credo -, non capisco perché noi ci dobbiamo porre tutti questi problemi: forse per paura di ritorsioni?

      Siamo pappamolle, e le pappamolle, ahimé, sono destinate all’estinzione.

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    • Più che pappamolle siamo dei credenti fasulli …….tiepidi, ci vergogniamo di testimoniare, siamo noi i primi a fregarcene della religione

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    • Io non mi riferivo tanto alla questione della testimonianza e difesa della fede, ma all’atteggiamento generale dei buonisti che si calano le brache di fronte a qualsiasi istanza, lecita o meno.

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