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L’insulto

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Veramente il post  che volevo scrivere doveva trattare di genitori che non vedono l’ora che i figli se ne vadano da casa e di quelli invece – “quelle” soprattutto – che non taglierebbero mai il cordone ombelicale.

Leggo invece l’ultimo post di Sabby che mi suscita una serie di riflessioni (e il post sui figli slitta…). Me ne suscita talmente tante che ieri ho preferito chiamarla e parlarne a voce, perché mi dispiace che soffra, io vorrei regalargliene un po’ dei miei millemila impermeabili, ma come si fa?

Perché una persona si dovrebbe offendere per un insulto? Quando uno ti dice qualcosa, le cose sono due, o è vero o non è vero.

Se è vero, non è un insulto, ma un dato di fatto, tanto vale la pena prenderne atto, se invece non è vero il problema è del calunniatore che spara a vanvera. Ammetto che ti faccia male se l’insulto proviene da una persona cui vuoi bene, sempre ammesso che l’epiteto abbia un qualche significato: intendo dire, se uno ti dice “Stronzo/a!”, alla fine, che cosa ha detto?

Se invece un marito ti dice “Accanto a te sono sempre stato infelice, mi sono sempre sentito peggio che solo”, può essere molto peggio di un immotivato “Brutta troia!” tributato alla casta sposa, ma l’insulto di un estraneo di cui non t’importa nulla, come può toccarti?

Le ho raccontato della telefonata di alcuni giorni fa di un blogger che mi ha insultato a sangue – la parola più gentile è stata “mi fai schifo”, poi rettificata in “fai schifo a tutto il web” – ma che, francamente, non mi ha smosso una cellula.

“Il vino va preso dalla botte da cui proviene”, dice un vecchio adagio, e come avrebbe potuto ferirmi quello che io reputo il delirio di un vecchio vaneggiante rosicone?

Ora mi chiedo, come avrebbe vissuto Sabby una telefonata del genere? E voi, come l’avreste presa?