Archivio | 13 Maggio 2015

La borsa fallata e il commesso spocchioso

Per il mio compleanno ho ricevuto, tra le altre cose, una bellissima borsa. Bella, colore vivace, molto capiente, insomma, decisamente un regalo azzeccato.

Di lì a due giorni l’incigno, svuoto la borsa e metto tutto, la carta che imbottiva la borsa, l’etichetta e persino la bustina di cellophane che conteneva la tracolla, nel bustone del negozio, dopodiché mi reco al lavoro.

Lungo la via del ritorno, pur utilizzando la tracolla e quindi non tenendo la borsa per i manici, un manico si stacca. Compio un altro pezzetto del tragitto e arrivo alla macchina, metto la borsa sul sedile del passeggero e vedo che si stacca anche un’altra parte del manico: insomma, la borsa, dopo circa un paio d’ore di utilizzo (per il resto del tempo era stata tranquilla tranquilla su una mensola dell’ufficio), era in piena fase di decomposizione.

Avviso gli amici che me l’avevano regalata e propongo di riportarla indietro ed esigerne il cambio, visto che una borsa che dopo due ore di utilizzo dall’acquisto si decompone ritengo meriti la sostituzione, e ci ripresentiamo al negozio con la borsa nella confezione originale pressoché intatta. Spieghiamo la situazione a una commessa, che con un sorriso ci dice che va bene, prende la borsa e la porta nel retro del negozio. Dopo un po’ riesce con un ragazzetto, che si presenta come il responsabile del negozio, parte di una grande catena, e ci comunica che non ce la può cambiare e che al massimo la può mandare in riparazione. Non vi dico quanto repentinamente imbruttiamo: ma è impazzito? Noi non vogliamo una borsa rotta e riparata, noi vogliamo una borsa nuova e con garanzia di durata, perché è quello che ritenevamo di aver comprato e per cui avevamo pagato (e neanche poco…).

Il ragazzuolo insiste che la borsa con la riparazione sarebbe tornata come prima: appunto, come prima, cioè una borsa che in due ore di utilizzo comincia a perdere i pezzi. Insistiamo, cerchiamo di spiegarci, argomentiamo, ma nulla da fare. Si giustifica che è un povero commesso, che più di tanto non può fare: a quel punto mi sono distratta un attimo, ma ci dev’essere stato un piccolo diverbio col mio amico, che insomma, o era il responsabile o era un povero commesso che non poteva decidere nulla. Noi avevamo necessità di parlare con un responsabile, perché avevamo una questione che poteva evidentemente risolvere solo qualcuno che potesse prendere una decisione. Chiamiamo la Finanza (difficile da contattare per continua caduta della linea!), e mentre continua la discussione (gli facciamo presente che la borsa a quelle condizioni se la poteva pure tenere, gliela regalavamo, che di una borsa rotta non sapevamo che farcene e non avevamo nessuna intenzione di tornare là ogni due giorni a farcela riparare), io guardo quella faccia da… da nulla, e mi chiedo come potesse permettere che il buon nome della catena venisse compromesso. Eravamo arrabbiati tanto, e abbiamo fatto presente che non ci saremmo fermati davanti a niente, che avremmo fatto causa al negozio, e usato ogni mezzo (chiaramente legale) per far valere i nostri diritti: ora, come può un sedicente responsabile di un negozio, per di più parte di una catena e quindi con un certo nome da difendere, rispondere a un cliente che una borsa comprata pochi giorni prima e che si era decomposta dopo due ore di utilizzo se la doveva tenere? Non solo poi avrebbe perso un cliente, non solo poi ogni cretino che vende dovrebbe conoscere bene la regola che “un cliente contento te ne porta tre, uno scontento te ne porta via dieci”, ma a che pro? Non gli avevo riportato una borsa consunta dopo un mese di utilizzo, gliene avevo portata una nuova, nell’imballo originale (persino l’etichetta!), corredata di scontrino, chiaramente fallata all’origine.

Insomma, mentre io esco fuori per cercare di superare i problemi di copertura telefonica, il mio amico riesce finalmente a farsi passare un responsabile vero, il quale concede immediatamente il cambio della borsa e, a quanto mi pare di capire, fa al ragazzotto un liscebusso di quelli epocali.

Costretto al cambio, il ragazzotto se ne guarda bene dal fare buon viso a cattiva sorte: mette su un muso lungo da qua e laggiù, fa il cambio bofonchiando, ci dà la nuova borsa prendendola dalla vetrina e non – come è costume del negozio – una imballata, praticamente non la rincarta, sbuffa e, quando gli do la mano per salutarlo, me la lascia sospesa. Io non mi sposto, gli lancio uno sguardo deciso e fulminante, e a brutto muso (più brutto del suo, che quando mi c’impegno ci riesco bene!) ribadisco, sempre con la mano tesa: “Ho detto buonasera”. A quel punto mi porge – sempre sbuffando e bofonchiando – una specie di braccio floscio, continuando col suo muso lungo.

Ecco, se non mi avessero cambiato la borsa non sarei più andata in nessun negozio della catena, così invece continuerò ad essere cliente della catena, ma in quel negozio mai più.

Insomma, prima di dare certi incarichi a uno sbarbatello neanche troppo educato, ci pensino!