Lezioni di vita

creazione_uomo

 

Cari amici, abbiamo parlato più volte della nostra vita, delle nostre esperienze, di quello che abbiamo imparato durante il nostro percorso.

Leggendovi, e intuendo la vita che c’è dietro le vostre parole, ho sentito il bisogno di ascoltarvi di più, e di raccogliere le vostre esperienze e le vostre riflessioni.

“La saggezza è ai piedi di un vecchio”, recita un antico proverbio e un altro, secondo me,  lo accompagna: “Chi sa ascoltare vive più vite”.

Ora io metto questo spazio a disposizione delle vostre parole e delle vostre testimonianze, affinché questa pagina diventi “il nostro vecchio”, i nostri avi narranti, la fonte di ascolto degli altri che ci permetterà di vivere più vite.

Sono ovviamente ben accetti anche racconti di esperienze indirette, i quali comunque trasmettano un messaggio sul quale riflettere: vi aspetto!

E non vi azzardate a pensare che la vostra storia è sciocca e non merita, nessuna storia che abbiamo vissuto e che ci ha lasciato un segno, sia pure piccolo, può esserlo!

41 commenti

41 thoughts on “Lezioni di vita

  1. Inauguro questo spazio, lasciato a disposizione da Diemme, perché è una bella occasione che mi/ci viene offerta e mi fa tristezza saperlo vuoto.
    Inoltre potrò preoccuparmi meno del mio essere logorroico e spesso dispersivo.

    Sono qui per rispondere a Diemme che mi chiede ragione del mio lurkare e dopo che ieri sera mi sono preso del voyer, guardone e scopofilo (senza emoticons che alleggerissero il colpo 🙂 ) alla festa online di Fra Puccino su suolo Bananense, non posso non esprimermi.
    Quindi ecco:

    “Confessioni di un lurker.”( e molto di più)

    Capita, nella vita capita, diciamo così anche se siamo fra quelli che pensiamo che “niente accade per caso”. Perché a volte è bello smettere di razionalizzare, di cercare di controllare gli eventi; è bello lasciarsi sorprendere, meravigliare. Davanti ad una prova ci prepariamo cercando di prevedere tutte le possibili varianti tranne accorgerci poi, una volta, bene o male, superata, che la realtà prevale sulla nostra fantasia. E’ raro che possiamo dire: “…tutto come previsto…”. A meno di non aver bisogno di confermare che siamo sempre in grado d’indirizzare la nostra vita.
    Capita, dicevo, di crescere in una famiglia ( in senso allargato) non banale, dove c’è dialogo, anche se questo è in parte strumentalizzato da genitori un po’ troppo “controllori”; di avere amici, compagni di liceo o di fede (politica e/o spirituale), con i quali filosofare sui perché.
    Quando la sera prendi la corriera per andare in piscina, ti confronti con le operaie assorbite nella lettura dei fotoromanzi, con le tute blu che discutono solo di calcio. Ma è un mondo che ti sfiora appena. Ti sembra quasi una minoranza. E’ con quelli con cui dividi buona parte della giornata che ti senti a casa, è il tuo mondo, che nella tua testolina diventa Il Mondo.
    D’altra parte vai a manifestare davanti alle fabbriche ed i sindacalisti (quelli di allora) entrano nelle assemblee scolastiche. Abbiamo pensieri simili.
    Mica che eravamo tutto pane e serietà, eravamo anche goliardi un bel po’.
    Poi capita che qualcosa si rompa, l’università, l’abbandono della stessa per inseguire altri sogni, il conseguente servizio di leva (allora obbligatorio).
    E qui si apre un altro scenario: quella che tu consideravi una minoranza si rivela essere la parte dei più. Tassi incredibili di analfabetismo o bassa scolarizzazione, machismo, convivi con modi di pensare che dici ” ma manco ai tempi di mio nonno”, almeno credevi.
    A volte sei tu quello guardato in cagnesco, qui si gioca a chi ce l’ha più lungo.
    Qualcuno finisce in ufficio, altri sono foraggiati economicamente da casa e si mescolano il meno possibile.
    Dopo un anno torni a casa. Hai bisogno di tempo per abituarti nuovamente ai ritmi civili.
    Gli amici sono sempre lì, accoglienti: alcuni continuano a studiare, altri hanno cominciato a lavorare con buone possibilità di carriera. Ma le serate insieme esistono ancora, le chiacchere scorrono leggere o pesanti fino a notte fonda.
    Ora però so qualcosa in più, che noi non siamo il mondo.
    Passano gli anni e le strade, se non si dividono, si fanno diverse.
    Io per caso (?) o per scelta, mi trovo a vivere realtà molteplici. Sono curioso e la stabilità non è ancora nei miei programmi. Diciamo che cerco (in realtà sono un vagabondo irrequieto).
    Tante esperienze, senza essere sicuro che tutte mi abbiano in qualche modo arricchito.
    Fino al momento in cui mi fermo, mi guardo intorno e mi viene spontaneo domandarmi: “ma la mia gente dov’è?”.
    La comunicazione passa ora attraverso le nuove tecnologie, altro che bollette della Sip (leggi Telecom). Che bisogna nascerci per capirle ed utilizzarle al meglio. Diciamolo, cresciuto in quel di Bologna, sono le osterie che mi mancano.
    I computer m’intrigano, ma preferisco più studiare i software che non il web, faccio fatica a riconoscermi nei nuovi mezzi di comunicazione.
    Ma al solito sono curioso e comincio ad osservare.
    Scarto le chat che mi sembrano un gran casino. Non riesco mai a capire chi domanda o risponde a chi. Micromessaggi più che altro farciti di ahahaha, ehehehe, lol, e così via.
    Mi accorgo che non appartengo alla generazione degli Sms. Qualche collega mi riferisce di serate passate in chat; le conclusioni sono sempre quelle: “ci siamo divertiti tanto, da morire dal ridere. Ahahaha, Lol”. Cioè, se non ti diverti, mica sei normale.
    Ed allora passiamo ai Blog. Ho sempre avuto la tentazione di aprirne uno, perché scrivere mi completa ed essere letto dà un ulteriore motivo per farlo. Meglio controllare prima, eh.
    Il primo impatto ce l’ho con Blogbabel. Classifiche, discussioni, imparo cos’è l’autoreferenzialità.
    Qualcuno è interessante e lo seguo ancora. Ma il livello di conoscenze informatiche esibito è troppo alto, m’infastidisce.
    Myspace, Splinder, Blogger, WordPress. Comincio a mettere nel Segnalibri di Firefox i primi link.
    Classificare i tipi di blog è quasi impossibile. Mi viene naturale scartare quelli di artisti, non sono tale; seguono quelli che sembrano una chat avanzata dove, a fronte di temi interessanti, ci sono 50 commenti fatti di “ahahah, quanto sei bella, ti adoro, lol, non so cosa scrivere ma ho in mente una ca**ata e te la posto”(l’importante è divertirsi); c’è chi tiene un diario e se ne frega di chi legge (l’importante è la visibilità); quelli intimisti e qui si può scegliere; quelli letterari, troppo bravi per me; quelli informatici e quelli d’informazione e via dicendo.
    Ed io? Dove sono in questo mondo virtuale? Io che continuo a cercare “la mia gente”.
    Sono perplesso se aprirne uno mio, in primo luogo perché sono timido (nonostante la virtualità) eppoi non so bene come reagirei a dei ritorni troppo negativi. (avete mai visto l’aggressività usata in alcuni casi? A dire il vero più propria dei forum). Vabbè, sarà un po’ d’insicurezza che emerge, ma che fa?
    Scopro sempre casualmente (?) che esiste la parola Lurker e dico “sono io”. Ma il lurker vero non si espone quasi mai con dei commenti ed io ho il brutto vizio di non riuscire a stare zitto.
    Mi tengo lo status e divento infedele alla definizione.
    Molte di queste considerazioni mi vengono in mente dal post ” Anime blogghe” di Splendidi Quarantenni e dai relativi commenti.
    Una cosa di cui mi sono reso conto è che i blogger finiscono per aggregarsi, secondo similitudini, in vere family. Si riconoscono e si conoscono, si scambiano visite, organizzano serate, si vogliono bene, hanno anche altri strumenti per mantenere le loro comunicazioni.
    Molti invitano i lurker a manifestarsi, ma non tutti sono poi ben accoglienti. Non considerano i tuoi commenti. Punto. Se non sei anche tu un blogger, uno che si fa leggere, non sei preso molto in considerazione ( non è quasi mai una cosa di casta, ma di senso di appartenenza). A meno di non sruffianare un po’. A me sembra una visione un po’ ristretta, d’altra parte specchio della vita reale.
    Non sono un blogger, non sono un vero lurker, allora su quale sedia posso sedermi?
    Ancora una volta uncategorized.
    Nel mio segnalibri ho una cartella “blog”, dove ho i link a pagine per me interessanti, ed una sottocartella “best” dove so che qualcuno dialoga con me.
    Un ultimo motivo per cui non sono blogger è proprio quello della conoscenza che potrebbe andare oltre la rete. A me piace ancora la dimensione virtuale. Poi un giorno chissà.
    Nano-nano L oL gulp r otlf

    Diemme se il tuo blog appartenesse alla categoria di quelli che non stimo e non mi piacessero le persone che lo frequentano non sarei qui a giocarmi la faccia (virtuale ehehehehe).

    A te Lady Ginevra moderare o meno.

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    • Ho letto con grande interesse e partecipazione tutto quello che hai scritto e, coinvolta com’ero, come avrei potuto non abbassare la guardia?

      Ed ecco che il “Lady Ginevra”, appartenente a un periodo spensierato e giocoso la cui esistenza si è disintegrata come sotto la bomba di Hiroshima (eh già, Tremendisia=Hiroshima, i conti tornano), mi ha fatto saltare sulla sedia (veramente sono sul letto, ma a descrivermi zompettante sul letto pare brutto 😉 ).

      Lady Ginevra è nell’archivio della preistoria: oramai c’è Diemme, e pure senza l’ “amorevolmente sostenuta da” (questa è una vecchia storia, archiviata anch’essa, e comprensibile ormai solo ai soci fondatori).

      Grazie Bali del tuo grande intervento, da rileggere e meditare. Un bel regalo per me stasera.

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    • La mia prima prova scritta, alle scuole medie, fu un tema di italiano; una specie di studio comparato con la trascorsa esperienza alle scuole elementari, secondo un assunto che la prof. non smetteva mai di ripeterci: ora voi non siete più scolari, siete diventati studenti! – con tanto di mano (pum!) battuta sulla cattedra. Era un lavoro da fare a casa, ma alla fine se ne sarebbe occupato il signor Germano, ormai divenuto gestore unico del percorso, scolastico/educativo, di me e Stefano, il mio giovane fratello.
      Questo signor Germano era un amico della nostra mamma che, divorziata ormai da più di tre anni, in qualche maniera stava tentando di ricostruirsi una specie di futuro. Si era pure trovata un lavoro come domestica ma, dovendo star via da casa fino a sera, aveva bisogno di qualcuno che ci desse una guardata, come andavamo a scuola e che non combinassimo guai e questo signore si era volentieri prestato alla necessità. Peccato, solo, che certe sue iniziative avessero ben poco di pedagogico. Mamma lo sapeva, ma lei stessa aveva spiegato che, in assenza di papà, sarebbe stato questo signore a impartirci la necessaria disciplina.
      In pratica, quella prova scritta divenne un dettato, dove il signor Germano mi avrebbe fatto scrivere che la scuola media sarebbe stata come una fucina, da cui sarebbe uscito, forgiato a nuovo, il futuro cittadino. Non lo ricordo che voto ricavai, forse un po’ più che una sufficienza. Il fatto è che rammento assai poco dei voti che prendevo allora ma molto, invece, degli spiacevoli esiti del pessimo carattere che avevo.
      Alle scuole medie, dove le varie diverse classi del distretto scolastico erano frammentate e ricomposte per sezioni secondo il numero degli allievi (pardon, studenti), accadeva che fra questi nuovi estranei fossero sperimentate quelle stesse selezioni, sfide, confronti e tiri mancini già in uso alle elementari, sebbene rifiniti da una più evoluta strategia; un modo non migliore d’altri per definire i soggetti dominanti e quelli da dominare, le vittime e i carnefici di turno. Gli scherzi erano prove di coraggio e, una volta, pure a me accadde di subirne uno. L’autore se n’era rimasto a ridere, dall’intervallo fino al rientro in aula, ma a me proprio non andava di fare piazzate o vendicarmi. Dirlo al docente lo escludevo a priori, che già alle elementari, cercando protezione dalla maestra, ne avevo cavato un pugno di mosche.
      Era successo in terza, quando a qualcuno era venuto il piglio di prendermi a male parole e io, tutto tremante nell’instabile fase fra livore e costernazione, ancora fiducioso nell’autorità della signora maestra ero andato a dirle che gli altri bambini mi dicevano cose brutte. All’epoca, gli insulti, li definivamo così: brutte parole. Lei però, reputando non fosse nulla di grave, aveva risposto suggerendomi di provare a sperimentare l’espediente della tolleranza, che se ci si fosse dovuti sempre lamentare per ogni singolo alterco si sarebbe passata tutta la vita a piangere, o qualcosa del genere. Nessun intervento quindi, una protezione dedicata, come invece era accaduto l’anno prima, in seconda, quando un mio compagno di classe mi aveva colpito alla testa con una pietra e la maestra di allora lo aveva chiamato a rapporto davanti a tutti. Era ora, visto che stavamo già in terza elementare, che io imparassi, se non a farmi rispettare, perlomeno a saper tenere lontane le provocazioni. Discorso legittimo, per carità, sebbene non semplice da condensare in una frazione dell’intervallo dalle lezioni o nell’ottica della mentalità di un bambino di otto anni. Bambino che, scorato dal non aver saputo nuovamente guadagnarsi attenzione e protezione dovette tornarsene indietro, non senza rinunciare a una specie di ultimo, disperato appello, o capriccio che fosse, frignando in lacrime: ma io non sono un bastardo.
      Fu per questa ragione, forse, che evitai di coinvolgere il professore anche perché, in prima media, di anni ne avevamo già undici, mica scherzi, e questo sebbene il mio malanimo mi facesse bollire quasi fischiando come una pentola a pressione e pure se sapevo fosse meglio non reagire, una valvola di sicurezza, per dire, me la dovevo aprire. L’idea che mi venne fu quella di uno sfogo, allo stesso modo potente ma segreto. Una cosa mia, fra me e me, ma idealmente diretta a quel furbone che ancora rideva alle mie spalle. Al fondo di un quaderno, in ultima di copertina, andai a scrivere: Roberto Milanesio è un bastardo e un puttanoide.
      Ci dovetti pensare un po’ prima di creare quell’eufemismo. Volendo qualcosa che fosse adatto all’occasione, una parolaccia qualsiasi non mi sarebbe sembrata sufficiente. Già conoscevo l’epiteto figlio di puttana, ma in qualche maniera mi pareva non bastasse; ci voleva qualcosa di più forte, fosse anche solo per poi bearmi all’idea di pensare: prendi e porta a casa. Forse avrei potuto risolvere quell’ansia in mille altri modi, magari provando a riderci sopra se non proprio a lasciar perdere, come si fa con quelle cose cui non si vuole dar peso ma il mio ego di allora (forse) ancora non sapeva gestire simili livelli di frustrazione. Qualcun altro però, avrebbe saputo proporre una diversa lettura.
      A casa, nel pomeriggio, fatti i compiti e preparata la cartella, io e mio fratello ricevemmo la solita visita del signor Germano, venuto come sempre a darci un’occhiata. Già lo sapevamo che quel signore poi si fermava a cena e che, dopo la buonanotte, noi andavamo a dormire lasciando lui e la nostra mamma insieme, sapendo che la mattina dopo non l’avremmo riveduto. Il signor Germano allora, esaminò accuratamente ogni cosa, prima dedicandosi a mio fratello e poi a me. Stefano stava seduto al suo scrittoio, davanti alla mia scrivania. Il signor Germano gli guardò i compiti, il diario, la cartella e pure i cassetti. Io tacevo, evitando di muovermi e cercando col pensiero se, per caso, non avessi da qualche parte una qualsiasi cosa che potesse essere giudicata inopportuna. I compiti li avevo fatti e, in teoria, non c’era nulla da temere.
      Finito con Stefano, il signor Germano venne da me, ripetendo tal quale la stessa procedura. Diario, compiti, cartella e tutte le altre cose. Giunto che fu a quel quaderno, trovata quella frase, rimase un momento a studiarla poi, rivolgendosi a me, mi chiese spiegazioni. Io non riuscivo a parlare. Pensavo di non avere niente da spiegare e nemmeno avrei mai immaginato di doverlo fare, ma non mi usciva di bocca una sola parola. La verità era che avevo paura. Già lo sapevamo che quel signore ci picchiava quando facevamo degli errori e quello, in effetti, mi aspettavo succedesse, sperando accadesse il più tardi possibile. Mamma stava per tornare a casa e, sebbene non ci avesse mai difesi, in un certo senso era pur sempre nostra mamma. Una punizione l’avrei ricevuta, forse la meritavo anche ma sarebbe stata, per così dire, in qualche maniera contenuta. Purtroppo non si fece a tempo e i ceffoni del signor Germano arrivarono prima.
      Lui si alzò da dietro la scrivania dove stava seduto, mio fratello si era rattrappito al suo scrittoio e io ero lì di fianco, in piedi, mentre il signor Germano mi colpiva con le sue mani enormi. Tra un ceffone e l’altro lo sentivo urlare che la nostra povera mamma, ogni giorno, si toglieva il pane di bocca perché noi potessimo andare a scuola in maniera dignitosa mentre io, così, la pugnalavo alle spalle, sciupando le sue fatiche, il suo inchiostro e la sua carta per scrivere castronerie di quel genere.
      Fu in quel momento che mamma tornò a casa. Il signor Germano la informò sull’ordine e la natura del mio crimine: guarda che cos’è che fanno i tuoi figli. Dopodiché, decise di apportare una più significativa variante alla pena che avrei dovuto scontare. Tenendomi stretto per i capelli, disse che sarei dovuto andare dal Preside a fargli vistare quella pagina, facendomi poi carico di tutte le conseguenze del caso. Inoltre, approfittando della possibilità di redenzione che mi veniva offerta, avrei dovuto implorare il perdono di mia madre supplicandola in ginocchio.
      Avevo sentito benissimo quelle parole, ma mi rifiutavo di riconoscerle, mi sembravano una cosa assurda, da non avere un senso proprio ma non ci fu nulla da fare, perché dal signor Germano arrivarono altri ceffoni. Mamma taceva. Stava ferma sulla porta, il viso poggiato allo stipite e mi guardava. Io pure la guardavo o forse no, che in quel momento non sapevo cosa guardare, né chi o dove. Più il tempo passava, più il mio pensiero fuggiva lontano; via, fuori di lì, per non avere più nulla davanti agli occhi. Pure mio fratello taceva. A volte si parla di atmosfera irreale, in determinate situazioni, ma in quel momento era tutto talmente vero che la fatica peggiore era quella di voler provare a fare in modo che fosse soltanto un incubo, qualcosa da cui potersi risvegliare. Davvero non lo ricordo cosa mi sia passato per la mente, ma per fare ogni istante sempre meno reale, il solo espediente fu quello di pensare che sì, fategli pure quello che volete, a questo ragazzino, ma qualunque cosa sarà, non la farete a me. Alla fine quell’ordine lo dovetti eseguire, non avevo altra scelta, come se nient’altro fosse più possibile: più niente da fare o da dire.
      Mamma non si era mossa, nessuno osava dire una parola e tutto mi pareva congelato. Non so perché, ma contro il signor Germano, io e mio fratello non abbiamo mai saputo coalizzare per difenderci e nessun altro, forse, avrebbe potuto fare qualcosa. Il resto della giornata sarebbe andato avanti per poi finire, venuta notte, ricominciando la mattina dopo. I miei pensieri tentavano in ogni modo di occultare quello spavento nella maniera migliore, da non doverci più pensare. Nessuna sofferenza, se nascondere il dolore concede la teoria di risolvere il male. Solo non avevo valutato il fatto che mamma, in qualche modo, ci sarebbe voluta tornare sopra. Sarebbe accaduto il giorno dopo, a tavola, quando lei appunto venne a chiedermi se mi ero ricordato di andare dal Preside, a fargli vedere quella frase.

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  2. Grazie a te Diemme.

    Penso non sia uno scherzo di wordpress se sono spariti gli Archivi. Ne avevo letti diversi di post archiviati, poi avevo abbandonato, non tanto per noia, ma perché credo che l’importante sia ri-conoscere quello che che tu sei Oggi e che Oggi vuoi condividere.

    I lurker possono essere anche impiccioni ed irriverenti. Preferisco evitare.

    Ps qualche giorno fa, però, un click mi ha mostrato la foto con il ritratto di una donna felice. Una tua collega presumo. Bella foto.

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  3. Bali, mi sono dimenticata di dirti che mi ha colpito molto il passaggio in cui racconti come tu fossi convinto che gli essere pensanti fossero la normalità e gli altri l’eccezione, salvo accorgerti che è esattamente il contrario: una triste verità di cui ho dovuto prendere atto ben presto anch’io, e con cui ancora non ho imparato a convivere.

    Ci tornerò su.

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  4. Diemme, passando da Splendidi Quarantenni, gli fatto presente che avevo scritto qualcosa da te sui lurker.
    Spero non di non aver peccato di una qualche scorrettezza.

    Rispetto agli esseri pensanti e no, il discorso può essere lungo (visto che da allora di anni ne sono passati parecchi) e va fatto, secondo me, mettendo i puntini sulle i.
    Ma ascolterò volentieri quello che hai da raccontare in proposito.

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    • @Bal: figurati, che tipo di scorrettezza mai potrebbe essere? Io non è che abbia una gran coda di paglia, ma anche ad averla, in cosa mai avresti mancato?

      Per quanto riguarda gli esseri pensanti o meno, è un discorso che mi avvilisce tanto, e che al momento non mi sento di fare. Posso solo dirti che a volte, di fronte a cose che mi sembrano così lapalissiane ed evidenti, incontro dei muri, e la cosa mi sconcerta. Ebbi una volta a dire al mio capo: “Voi siete come quelli che, davanti a un uomo che cadendo dall’ottavo piano, nel momento in cui passa davanti al primo dite ‘Finora non si è fatto niente’, e se uno (una) prova a dire magari ‘prendete materassi, chiamiamo i pompieri, facciamo qualcosa ché quello si sfracella ‘, lo additate come critico e distruttivo.

      Poi, davanti alla disgrazia, mentre fate il vostro dovere di andare al funerale, la persona che quel funerale avrebbe cercato di evitarlo, magari sbatte la porta e se ne va, passando pure per disumana e irrispettosa del dolore altrui”.

      Cosa mi ha insegnato la vita? Che i fatti palesi non sono palesi per tutti, che la gente non impara niente dall’esperienza, che quando troppi incapaci vanno avanti si cominciano ad autoreferenziare, a cantersela e a suonarsela: e allora è veramente dura. E pericolosa.

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  5. balibar ……….. l’apertura delle risposte e fantastica.. Idem nelle pensieri.. ma hai scritto cosi bene.. cosi viva.. complimenti.. letto con vero piacere. 🙂
    Un caro saluto Diemme.. sono ancora qua a vagabondare.. incantata.. con stima, lisa

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  6. Grazie a poesilandia, e grazie di tutti i vostri bei complimenti, ma non me ne fate troppi, ché già ho un’eccessiva tendenza all’autostima 😉

    Anch’io ho dato una sbirciatina al tuo blog, ma ina ina: torno con maggiore calma, mi ha dato l’idea che ci siano un sacco di belle cose da leggere.

    @Bali: padrona di casa che tu aiuti a fare gli onori di casa… 😉

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  7. Dopo il tormento di caldo e afa, vi lascio un pò di refrigero di aria fresca, e l’odore della piogge.. e stupenda.. una serena serata cara Diemme e a voi tutti 🙂 Lisa
    Ps: la vostra visite nel mio angolino saranno graditissimi. 🙂

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  8. Lezioni di vita? Hmmm……

    Quel sabato mattina. Mi trovavo nel treno che mi portava da Bologna a Piacenza. Guardavo nello specchio i alberi e le case che correvano in senso opposto. Per me, fin da piccolo, mi ha sempre piaciuto guardare sul vetro di un treno. Non so perché, ma mi rilassa. Sembra che lava i miei pensieri con le immagini in fuga. A volte mi addormento. Ed anche questa cosa è piacevole per me. Come camionista, che lavoro di notte, ho sempre desiderato poter dormire. Mentre un altro guida.

    Come dicevo, quel sabato mattina mi trovavo in quel banale treno. Ricordo che i miei problemi si accavalcavano nel mio cervello chiedendo precedenza. Ma io, guardando i binari che strisciavano allucinante, sapevo solo una cosa. Dovevo essere forte. Non dovevo far vedere la mia debolezza. Eh si, in un paese straniero, un immigrante non può permettersela. Non può avere problemi. Eppure….

    Il treno si è fermato in una di quelle stazioni senza importanza… almeno che non interrompi i tuoi pensieri per dire “Da qui ci manca X fino a casa. Dai, ancora un po…”. Due donne salgono nella carrozza nel quale mi trovavo. Due donne…. ed una bambina. Non ci fai caso. Si siedono sulle panchine un po più avanti del mio posto. Il treno riparte. Con lui, anche le mie preoccupazioni riprendono la corsa nella mia testa. Immagini in fuga, un albero, la casa, dei boschi, uno trattore, il verde del campo……

    La voce… chiara…. cristallina…. che interrompe tutto il riflettere mio. Giro la testa e scopro lo sguardo della bambina, che si trovava con le due donne, verso di me. Bionda, capelli riccioli, intorno a 7-10 anni. I suoi occhi grandi, scuri e carini mi scrutano con curiosità. Li feci un sorriso. Amaro. Essa, sorpresa un po mi rispose con un sorriso timido. La guardai attentamente nei suoi occhi. E fui riportato (col pensiero) indietro nel tempo.
    *
    11 anni fa. Mi trovavo su una panca in attesa del corriere. Su un ginocchio avevo la Cristina. Su l’altro, stava Claudia. 9 e 10 anni ognuna.
    – Perché papa, te ne devi andare? mi chiese la Cristina
    – E difficile spiegarti, ma devi sapere che lo faccio anche per voi. Per un futuro migliore.
    – Ma io sto bene cosi…. non ho bisogno di soldi….
    – Taci sorella, rispose Claudia, non capisci che il papa ci vuole bene. Non lo capisci?
    *

    11 anni. Guardavo la bambina. Aveva la stessa eta da allora le mie figlie. 11 anni. Ora sono signorine. Sono cresciute……. senza di me……. senza averli visto crescere. Mi mancavano. E guardando i occhi di questa bambina il dolore aumentava. Poi….

    E’ successo una cosa meravigliosa. Essa, lasciando le due donne (che chiacchieravano tra di loro) si avvicino a me. Aveva una bambolina in mano e la teneva stretta al petto.
    Arrivata davanti a me mi chiese
    – Come ti chiami?
    – Valentino…. e tu?
    – Anna-Maria… ma mamma mi chiama Maria.
    Ero intimidito, tanti anni senza parlare con un bambino. Non sapevo cosa dire, ma nello stesso tempo non volevo che lei vada.
    – Valentino, tu dove vai?
    – A casa mia…
    – E ci sono anche bambini?
    – Si.. no… i miei bambini sono lontani…. piuttosto tu…. dove vai?
    – Aaa, io vado a casa di mia nonna, lei fa delle buone torte sai?
    – Immagino….
    – Valentino, perché sei triste
    – No sono triste… solo che mi mancano le mie figlie…
    – Vuoi che ti regalo una cosa?
    – Dipende.. cosa c’è?
    – Le sue mani cercarono nelle tasche di sua roba e tirando fuori un mucchio di matite colorate mi regalerò una. Verde.
    – Non è che la tua mamma ti dirà qualcosa?
    – No… c’è ne ho abbastanza.
    Tirai fuori la chiave e staccando l’orsacchiotto da esse li offrii in cambio.
    – Questo è per te.
    – Grazie…. ora non sarai più triste
    – No, te lo prometto.

    Ma la magia si interrompe con un suono di tuono. MARIA, grido una delle donne che si era rivolta verso di noi, VIENI SUBITO QUA. La ragazza scapo vicino alla sua mamma.
    – Quante volte ti devo dire di non parlare con i sconosciuti, eh?
    – Ma mamma….
    – Niente, non voglio sentire niente. Tu devi ascoltare di quello che ti dico io. Hai capito?
    E poi rivolgendosi alla sua amica comincio a parlare dei casi di pedofilia e tante cose strane che succedono. Anna-Maria ebbe coraggio di voltarsi verso di me. Scoprii che nei suoi occhi un ombra di tristezza si fece posto.

    Cercai di non pensare. Di riprendere i miei pensieri di prima. Ma non riuscivo. Anche se la ragione mi diceva che quello che ha fatto la sua mamma era giusto, non riuscivo a non sentirmi triste, offeso. In fondo, la diffidenza nelle persone è un dato di fatto. Che lo abbiamo creato noi. Una volta non era cosi. Ma oggigiorno….

    P.S. Un altra fermata. Le due donne scendono. Anna-Maria tenendo per mano la sua mamma passo davanti la mia finestra. I suoi occhi meravigliosi mi puntano mentre cammina. Alzando la sua manina essa apre il suo pugno. Da dove il mio orsacchiotto regalato mi sorride implacabile.

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  9. Questa sì che è una lezione! Un piccione viaggatore ha vinto una gara contro l’ADSL, consegnando una scheda di dati mi pare in un’ora e otto minuti, mentre l’adsl ne aveva scaricati appena il 4%.

    Com’è che non mi sorprende! 😆

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  10. Parole di Balibar da Sancla:

    “Cose” mi capita di perderne.
    Un tempo, quando accadeva, mi davo dello stupido, dell’incapace e tornavo a cercarle con una certa ansia.

    Poi ho cominciato a pensare che forse erano loro che mi lasciavano, per andare in cerca di nuove sensazoni e nuove esperienze.
    Ed allora mi dico “perché trattenerle, perché legarle a me? Fate buon viaggio! E’ stato bello avervi vicino ma ora ciao”.

    Qualche volta ritornano ed io, contento, gli dico “Bentornate”.

    Lo so, pensare che le cose abbiano un’anima è un po’ da scemi e, se io lo sono, non lo nego.

    Per altre “cose”, non so.

    Ci aggiungo due video:

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  11. “il cantante è Vecchioni, che ve lo dico a fa’!” 😆

    Grazie di avermi portato anche da te.

    Molto belli i due video. Non sono immediati. Bisogna che me li riguardi un po’ di volte.

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  12. Cara Diemme.

    Una volta mi hai chiesto di raccontarti qualche storia di razzismo subita. Ho pensato a lungo se farlo o no. Sai, penso che a nessuno piace quando la sua nazione è giudicata in negativo. Ed io, raccontando tali episodi, non farei altro che mettere in vista tutto ciò. Anche se….. a volte….mi sono posto la fatidica domanda se “gli italiani sono razzisti”? Ma quando penso ai italiani, mi vengono in mente tutti i miei amici, colleghi, conosciuti. Allora la mia risposta e per meta – NO. L’altra meta è…. sempre un NO. Ma essa non viene dalla mia coscienza di una verità chiara. Piuttosto è una risposta di paura davanti ad un confronto contrario. Cioè – in poche parole – ammettere il razzismo italiano mi spaventa troppo.

    ******

    …. esci fuori da la, Vale, tu non ti rendi conto quanto sei stato sfruttato in questi quattro anni. Vieni qui, a Piacenza, e faro di tutto per avere un lavoro dignitoso… che meriti. Non capisco come un ragazzo cosi capace e intelligente si può accantonare in una vita misera come quella che ci sei? Non e questa l’Italia, la devi conoscere.

    Erano le parole di Cristina. Anno di grazia 2002.

    Ed ho dato retta alle sue parole. Ho mollato quel mondo…. brillante e affascinante per quelli che lo vedono da fuori, ma miserabile ed affaticante per quelli che vivono dentro. Un mondo di nomadi maledetti, dove oggi costruisci e domani demolisci. Il mondo del circo.

    Ed eccomi evaso. Anche se mi trovavo da anni in questo paese, mi rendevo conto di non saper quasi nulla su di esso. Come vive la gente, i abitudini, la cultura, le tradizioni. Ma ero carico. Volevo conoscere tutto. Non mi bastava imparare soltanto la lingua. Volevo integrarmi. Non per una sorta di “sentirmi italiano”. Oh no. Ma mi rendevo conto che per capire la maggior parte delle cose, dovevo pensare “come un italiano”. Mi sentivo come una spugna…. che succhia assetata tutto intorno a se. Poi devo dire che ero meravigliato. Scoprire un nuovo modo di pensare, di mentalità, paragonarlo con quello che ero io, le mie mentalità, mi dava una certa sodisfazzione. Una certa carica. Sembrava tutto perfetto, ed avevo l’mpressione di aver conosciuto gran parte di quello che non capivo prima. Ma era soltanto un’impressione…..

    Un giorno qualsiasi di ottobre. Stesso anno. 2002. Erano passati qualche mesi da quando stavo con Cristina.

    …… guarda Vale, una festa. Ti va di mangiare un spiedino? Dai, andiamo dentro.
    Ero gia stato ad alcune feste, sapevo che si mangia si balla e si ascolta la musica. Autoctona (valzer, tango, etc). Non sapevo ballare liscio, ma chi se ne fregava. Era cosi bello guardare gli altri….

    Stavolta pero c’era qualcosa di differente. Al ingresso, tanto di poliziotti. Che ci guardavano col sospetto. Poi un sacco di bandiere. Verdi. Dentro un tendone si sentiva la gente come mormora o applaudisce. Cristina si fermo al improvviso.
    – E’ un raduno questo, Vale…il raduno della Lega
    – Allora, ho chiesto io ignaro, e senza il minimo delle conoscenze sulla politica italiana
    – Beh, non so se ti piacerà
    – E perché non dovrebbe piacermi? Non ci sono forse spiedini? Non canta la musica?
    – Ci sono, caro, ma…. e dai, forse è meglio che lo capisci da solo. Andiamo dentro.
    Entrati dentro, ci siamo seduti ad una tavola in centro.Ho capito che si parlava politica. Su palco, un certo Bossi parlava agitando il pugno. Cristina (sapendo che è) ci provò a distrarmi dalle sue parole.
    – Andiamo a prendere spiedini e vino?
    – No, vai te, io ti aspetto qua, sono curioso cosa parla.
    – Come vuoi…..
    E se ne andata. Mi rivolsi l’attenzione verso l’oratore. Non so quanto è passato. Ma ad un certo punto, ascoltando quello che parla mi resi conto dove mi trovavo. Avevo la visione dei film di nazisti che si radunano. E mi sentivo come un topo tra i gatti. Girai la testa e ovunque vedevo volti pieni di oddio, di rabbia. Gridavano e urlavano…. Contro quelli come me. “Ma che .azzo sto facendo io qua? E’ l’unico posto dove non dovrei essere”. La paura dentro di me combatteva con la rivolta. Avrei voluto alzarmi, andare a quel palco e gridare a tutti che io sono uno di quelli che loro parlano male. Che, anche se non italiano, sono come loro. Ho due mani, due gambe, ed un cuore. Niente di diverso. Ma il panico mi impediva di farlo. Era piu forte. Guardavo quella dona, vicino a me. Sembrava una donna normale, intorno ai cinquant’anni. Ancora bella. Assorbita dalle parole del “onorevole”, gridava “fuori, fuori tutti”. RAZZISMO. Ecco, la cosa che non l’avevo ancora capita. La gente che si crede superiore soltanto perché ha un’altra denominazione sulla riga della cittadinanza. Soltanto perché ha avuto la fortuna di essere nata qui, e non altrove.

    E la Cristina che non tornava più. Dovevo uscire. Un senso di nausea mi accoglieva lo stomaco. Mi sono alzato, e facendo sforzi di sembrare normale uscii fuori. Avevo l’impressione che dietro di me ci sono migliaia di occhi che mi sorvegliano. Sapevo di essere una impressione, ma non potevo cacciarla via. Volevo soltanto vomitare. Dovevo vomitare……
    Cristina arrivava sorridendo con i spiedini caldi ed una bottiglia di vino. Ma vedendomi, si fermo al improvviso. Aveva capito….
    Alzo il tappo del cesto e butto tutto dentro. Poi mi prese dal braccio e mi disse, “andiamo a casa”.
    Io senza dire nulla mi feci portare da lei nella macchina. Come un bambino. Com’è ovvio, lei provo a spiegarmi come stanno le cose, e di non fare caso. Ma io la sentivo in lontananza. Il mondo, quello che avevo…. o pensavo di aver avuto conoscere…. era cambiato.

    – Sai Cristina, forse l’Italia non è poi cosi bella….

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    • Beh, voglio sperare che Bossi e la Lega non rappresentino il popolo italiano…

      Mi ha commosso questa tua testimonianza, che accetto come un dono di cui ti ringrazio. Appena avrò modo di lavorarci su ne farò un post, perché voglio che le tue parole abbiano il giusto rilievo, e spero che giungano alle orecchie di persone che, pur essendo forse quella sera lì, siano in grado di ascoltare ancora voci diverse, di distinguerle, e ritornare sui propri passi.

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  13. Cara Diemme, ti propongo un filmato di 15 minuti. Un filmato che a me a fatto effetto. E che vorrei condividerlo. Non per altro ma io uno -che mi reputo abbastanza vissuto di esperienze brutte nella vita – sono rimasto di stucco. Non riuscivo nemmeno a mettere in ordine le mie idee. Avrei dovuto sentire vergogna, o magari furia. Ma no. Quello che inondava la mia anima era soltanto tristezza. Ed un pizzico di disperazione. E poi….. si dice che esiste un Dio. Mah.

    Ecco il filmato….

    http://www.premioanellodebole.it/SchedaVideo.aspx?id=110

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    • Caro Valentino,

      quello che c’è in questo filmato è niente rispetto alla realtà. Forse una delle peggiori è stata quella cui a una ragazza, siccome ne era uscita, hanno iniziato ad ammazzare tutta la famiglia, a cominciare dalla sorellina di cinque anni: pare che alla fine sia stata la stessa madre a dire “Torna sul marciapiede altrimenti qui ci ammazzano tutti” (e anche qui ci sarebbe da discutere, perché io penso che una madre come la concepisco io si sarebbe fatta ammazzare per salvarla la figlia, che non il contrario).

      Ne ho sentite di alcune tenute costantemente sotto effetto di stupefacenti perché come si risvegliavano cercavano di ribellarsi, tanto che non volevano e resistevano pure a violenze e a minacce.

      Ogni uomo che va con una prostituta dovrebbe porsi dei seri interrogativi su quello che sta facendo: esponendo se stesso a malattie (e chi se ne frega, sua libera scelta), ma anche la sua famiglia, se ne ha una, e comunque sta alimentando un mercato del crimine, e istigando all’omicidio ANCHE di bambine di cinque anni. Non sto esagerando, nessuno manderebbe una donna sul marciapiede se non ci fossero i clienti, e tutte le azioni criminali che stanno dietro a questo mercato non avrebbero motivo di esistere. Almeno, in questo settore…

      Quello che mi lascia perplessa è la cifra mensile di cui ha parlato che restituisce ai suoi sfruttatori: 800 euro al mese? Ma quelli potrebbe darglieli qualsiasi badante, sia pure sacrificando tutto! Io credo che centinaia e centinaia di euro siano il guadagno giornaliero: altrimenti, queste povere donne, troverebbero molto facilmente di che andare a servizio.

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  14. Ahime Diemme. Non posso essere d’accordo con te. Almeno non del ultima parte. Ma vediamo un po.

    Quello che mi ha colpito in tutto questo filmato sono i pensieri suoi. Il modo di esprimerli. Non so se lo fa lei a pensare in questo modo oppure è stato il regista a esporli in tal modo. Che tristezza, la mancanza di una speranza in un futuro.

    Questa ragazza, (al massimo una ventenne) ed i suoi problemi. Le sue preoccupazioni. Ricordi Diemme….. i nostri vent’anni? Ricordi i nostri desideri? Volevamo la macchina….. volevamo corteggiare (o essere corteggiati da) X, Y, Z…. volevamo un biglietto per andare a Vasco Rossi (beh… io ad Adrian Paunescu)…. volevamo i jeans, le scarpe NIKE, il tatuaggio su vari parti del corpo….. le discoteche, lo stadio…. volevamo amare ed essere amati (tuttora oggi).

    Che cosa desidera Nera? Pagare il suo debito………..
    50.000 euro………….
    In due o tre anni………….

    Riesci ad immaginarti Diemme…. a vent’anni…. con un debito di CINQUANTAMILA EURO. E non per una casa….. nemmeno una macchina….. ma per essere libera…. libera.

    Oppure le sue preoccupazioni.

    Quale erano le nostre a quel eta? Passare l’esame…. lavoro sicuro e soddisfacente…. migliorare nella vita…. la Roma che rischiava lo scudetto…. le tette troppo piccole o (nel caso mio) i pettorali che non sono scolpiti.
    E quelli di Nera?

    Il fatto di non essere più apprezzata (come carne di piacere). Le rumene ed albanese che sono più richieste dai “clienti”. Il futuro incerto delle nigeriane sul “mercato”. Quasi quasi provi una sorta di rimprovero verso le est-europee. Un ingiustizia. Per poi renderci conto della perversità del pensiero, nel suo amplesso. 10 euro. Per dieci euro andare a letto con una persona, brutta….sporca…. puzzolente…. schifosa. Dovrei calcolare quanti clienti servono per raggiungere i famigerati 800 mensili, Diemme. Ma non posso farlo. Il mio cervello rifiuta una tale calcolo raccapricciante.

    “e allora mi viene il pensiero…. che noi nigeriane stiamo passando di moda”.

    Non ho parole.

    P.S. Lo so, forse i temi che scelgono non gradiscono a tutti. Ma cosa posso fare? Ho scelto il tuo blog per il mio sfogo. Chiedo perdono se abuso.

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    • No Valentino, non ci siamo. Tanto per cominciare tu stai parlando dei tuoi vent’anni, non dei miei. Io a vent’anni volevo farla finita, perché non si trovava lavoro, nonostante le borse di studio conquistate in giro per il mondo, la brillante carriera universitaria, le lingue conosciute.

      A vent’anni pure io avevo un debito da pagare, coi miei genitori, che non mi ci volevano a casa se non pagavo. Mia madre mi ha rinfacciato ogni boccone che mettevo in bocca, e io non ce la facevo più. Non sognavo auto, moto, vacanze, concerti, i tatuaggi poi mi ripugnano: sognavo di non sentirmi un’estranea a casa mia, di mandare giù un piatto di minestra senza che me lo rinfacciassero, senza pagarlo con fiumi di lacrime. Anch’io ero prigioniera, e mi sono sposata per fuggire.

      Per guadagnare qualche soldo ho fatto di tutto, ammetto, ero qualificata, e potevo fare cose come lezioni private e traduzioni, ma non mi sono tirata indietro davanti a lavori più duri, e faticosi, e mal remunerati.

      Per guadagnarsi dieci euro la mia domestica lava piatti, vetri e pavimenti, non fa pompini. Un traffico del genere non è messo in moto per 800 euro al mese, ma al giorno, che è una cosa ben diversa. Le nigeriane passano di moda? Pure le brave ragazze sono passate di moda, sono passati di moda i figli che si occupano dei genitori e sono subentrate le badanti: tutto passa di moda. Io sono un’informatica, entrata nel campo quando tirava forte, ora non tira più, è un continuo doversi reinventare. Non mi fa pena la frase “noi nigeriane stiamo passando di moda”, mi fa pena il pensiero che qualcuno possa pensare che la vita sia quella, e che la fortuna sarebbe che la moda non fosse passata.

      Io non le giudico, non so quale sia stata la loro vita e quale valori possano aver respirato nella loro casa e nella loro famiglia ammesso che, povere, abbiano avuto una casa e una famiglia, ma so che nessuno è costretto ad andare a letto con qualcuno per dieci euro: purtroppo, ne ho conosciute di donne che preferivano fare “un lavoretto veloce” piuttosto che, per la stessa cifra, lavare panni e gabinetti altrui.

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  15. Certo che non ci siamo. Tutto il mio rispetto per le tue sofferenze nell’età ventenne. Io mi riferivo in generale. Ne a te ne a me. Alla vita normale di un giovane d’oggi. Ed anche quello di ieri.

    La tua domestica lava i piatti perché nessuno sta ad aspettarla fuori con la minaccia di stupro e crimine se non va a “pompare”. Ora io non so quanto “velocemente” guadagnino queste ragazze. E nemmeno quanto. Ma se esse debbano pagare 800 euro soltanto come debito, stia sicura che si debbano pagare pure l’alloggio. O pensi che i loro “protettori” li faranno dei sconti?

    Mi dispiace ma non sono stato capito.

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    • Beh, stiamo qua per spiegarci, il confronto è il bello del blog.

      Guarda, che nessuno le minaccerebbe se fossero in grado di portare la stessa cifra al loro protettore in altro modo. Non è che il pappone vuole che battano perché lui si realizza così, lui vuole che lei gli porti tanti tanti soldi, e sa che in quel modo può farlo. Se la donna in questione si guadagnasse la stessa cifra smaltando le unghie alle signore, io sono sicura che a lui starebbe bene lo stesso: magari la minaccerebbe per farsi dare tutto l’incasso, ma del come quell’incasso l’ha ottenuto se ne infischierebbe alla grande.

      Hai visto “Accattone” di Pier Paolo Pasolini? Vado su youtube a cercare qualcosa.

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    • Non ho trovato nulla, credo che ci sia stata una questione di copyright perché molti video risultavano rimossi. Comunque consiglio a tutti di vederlo (insomma, tranne i bambini)

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  16. Diemme

    Apparte che vorrei farti i complimenti per il tuo blog è molto carino ed accogliente.

    (e poi abbiamo lo stesso tema XD)

    Comunque volevo dirti che trovo molto bello il video dell’Intervista a Dio…

    E’ stato un piacere visitare il tuo blog, tornerò presto perchè mi sono trovato bene.

    Piacere ^_^

    Un sorriso,
    Claudio

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  17. Rieccomi qua. Mi è sembrato meglio postare il mio racconto qui, nella sezione di Lezioni di vita.
    Il mio racconto è stato modificato dal originale, volendo adattarlo a modo italiano. Ma si debba sempre tenere conto della mentalità rumena.
    ……………………………………………………………………………………………………….
    Una volta…. non molto tempo fa…. e successo questa cosa. Una cosa che mi ha fatto riflettere a lungo sulla nostra condizione sociale. Non per altro, ma sono tanti che sostengono (e sono convinti) che siamo quello che vogliamo essere. O insomma… tendiamo ad essere.
    Niente di più falso. Non siamo altro che il prodotto della società che ci troviamo. In altre parole, siamo quello che vuole lei, e ci permette di essere. Ma insomma…. non sono io a far vedere o convincere nessuno qua. Non riuscirei nemmeno. Chi ha voglia e pensa di essere talmente fortunato di essere quello che ha sempre desiderato….non sarei di certo io a svegliarlo. Può continuare a nuotare nel suo bel sogno. Presto o tardi si sveglierà.
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    Nella vita mi hanno sempre affascinato due luoghi pubblici. La stazione ed il supermercato. Sulla stazione parlerò con altra occasione. Vorrei pero stavolta portarvi al supermercato. Uno grande. Puoi chiamarlo Mall, o Auchan o come ti pare. Non ha importanza. Anche perché il mo racconto capita – non dentro – ma fuori il supermercato. Più precisamente nel suo immenso parcheggio. A proposito, vi siete mai fermati a guardare per un po questo luogo? A me piace un mondo.
    Il fatto di guardare tanta gente differente che si affretta ad entrare nel supermercato. Un supermercato che sembra a ingoiare tutto che li si avvicina.
    Poi le macchine. Oddio, che spettacolo. Guidatori (uomini e donne) che cercano con testardaggine ed angosciati un posto alquanto più vicino al ingresso/uscita. Non un 10 metri più lontano. Debba assolutamente essere la prima , seconda o al massimo la decima macchina dalla uscita. E’ come un testo di capacità.
    “Ecco, ecco quello…. quello che sta uscendo ora, avvicinati, non stare impallato come una mummia…. che viene un altro e ti frega il posto… daiiii”. suona la voce della consorte che accompagna il povero guidatore. Guidatore che – poverino – angosciato dalla bocca di lei si agita come un….
    Poi, chi non riesce a “introdursi”…. bleah…. un incompetente, è chiaro. 😆 Questa per non parlare dei sguardi appetitosi e dispiaciuti sui posti liberi ma marcati con giallo. Quasi quasi vedi nei loro occhi il dispiacere di non essere infirmi. 😆
    Poi… dopo…. quando il telecomando ha assicurato le portiere della macchina parcheggiata (in fine 🙄 ), tutte queste preoccupazioni spariscono. Spariscono per…. lasciare il posto ad altre.
    “Cosa compriamo?”, “Troveremmo delle offerte?”, ” Mi basteranno i soldi?”etc, etc.
    …………………………………………………………………………………………….
    Era una bella domenica di dicembre. Il parcheggio, affollatissimo. Si avvicinava il il Natale ed la febbre dello “shopping” si faceva sentire. Una donna, vestita un po da contadina, attraversava il parcheggio a piedi. Teneva a mano una bambina che avrebbe avuto un 5-6 anni. Andavano infatti a comprare qualche globi luccicanti per l’albero di natale. Non tanti perché….. costavano. Un po più avanti, sulla stessa alea, un imponente Q7, color nero (prezzo di vendita con “full optional”, 136 000, ovviamente, non lire 👿 ), che aspettava un altra macchina che stava per uscire. Ovviamente, con l’intento di occupare suo posto.
    Dentro questo “mostro”, si trovava soltanto un giovane. Intorno ai 35 anni, ben vestito con cravatta e camicia. Tutta roba firmata. insomma, in poche parole, si vedeva che non faceva ne metalmeccanico, e non viveva nemmeno dal indennizzo di Casa Integrazione. Sarebbe impossibile direi (o forse hai altra opinione, Tremonti?). Come dicevo, il giovane aspettava tranquillo che si liberassi il posto che avrebbe a suo turno occupato. Ed ecco…. infine…. il posto si libera finalmente. Il giovane gira la chiave e……
    Colpo di scena. Proprio come nei film di 007 (insomma, chi se li ricorda). Dal senso contrario, una Smart (comsworth, color giallo) si avvicina furbatamente e…. zop…. occupa il posto. Dentro di se, due ragazze, una bionda, l’altra rossa, carine e vestite in un modo 😉 provocatorio. La musica del auto radio al massimo. Il giovane, arrabbiato, ferma il motore della sua macchina, e uscendo, si avvicina alle ragazze per interpellarle. Le ragazze stavano altrettanto lasciando il loro mezzo, chiacchierando, apparentemente ignare..
    – Scusate, disse il giovane facendo visibili sforzi di mantenere la calma, ma non avete visto che aspettavo per primo ad occupare questo posto?
    Le ragazze si fermarono, guardandolo con una mina falsamente sorpresa. Dopo di che, una di loro, etalando un sorriso smagliante e provocatorio rispose.
    – E quindi…. cosa possiamo fare? Non lo sai forse caro, che il mondo appartiene ai scaltri o furbi?
    Poi esplodendo in risate, lo ignorarono , ed allontanandosi essa premette il telecomando indietro.
    Piop. Piop.

    La furia del giovane stavolta, non se la tratteneva nemmeno. Esso torno al suo macchinone…. accese il motore…. poi avanzando piano si posiziono con la sua vettura proprio davanti allo Smart. Poi andò avanti un due metri. Introducendo poi la marcia indietro accelero….. con forza.
    Un rumore di ferro frastorno tutto il parcheggio. Le due ragazze istintivamente guardarono verso l’accaduto. Appena in tempo per vedere la loro vettura, quel gioiello di Smart, ridotto in mucchio di ferro. Anche perché, si trovava tra il macchinone ed un…. palo di luce.
    Un grido scappo dalla bocca di entrambe. Poi le lacrime di disperazione facevano il spettacolo più ridicolo ancora. La gente si avvicinava incuriosita.
    Il giovane, con tanta calma, avanzo col suo “mostro” fino davanti alle ragazze. Che sembravano paralizzate dalle conseguenze capitate.
    Esso apri il vetro, e disse sorridendoli al suo turno maleficamente.
    – Eh non care. Il mondo non appartiene ai scaltri o furbi…… esso appartiene a quelli con soldi.
    Dopo di che, apri il portafoglio e tirando fuori un biglietto di vista disse
    – Questo è il mio avocato. Tratterete per l’assicurazione e danni. Ne fratempo….. 🙂 …. vi auguro una buona giornata.
    E si allontano lentamente.
    P.S. Se questo mondo, si debba dividere tra i furbi e ricchi….io uno….. preferirei di non rinascere DM
    Grazie per la pazienza.

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    • @Valentino: per ora lascio il tuo commento in moderazione, perché è troppo bello e ne voglio fare un post (inter nos, sono dalla parte dell’automobilista, assolutamente: grande, grande, grande!)

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  18. Pingback: Dei furbi o dei ricchi? (by Valentino) « Diemme

  19. Cara DM.
    Ho letto una storia su un altro blog che mi ha ricordato i post con i disegni e le saggezze di tua figlia. Il racconto (sembra vero) è di una persona di nome Sabrina che ha una figliola. Eccolo qua.

    Lunedì 09 Agosto 2010 22:15

    Ho una figlia di cinque anni e assieme a mio marito viviamo in un piccolo appartamento con un solo bagno. L’altro giorno, mentre stavo finendo di fare la doccia mi chiama per dirmi che doveva andare al vasino – Subito!
    Mentre stavo insaponandomi con la spugna si è seduta sul vasino e potrei giurare che stava cercando di capire qualcosa. Infine mi ha fatto la fatidica domanda:
    “Mamma! le mamme e i papà sono diversi, non è vero?”
    Presa da un po’ di imbarazzo ho deciso di gestire la cosa nella maniera più semplice ed onesta possibile.
    “Sì gioia, lo sono.”
    Ottenuta la risposta che desiderava ha mostrato un espressione orgogliosa e con il fare da “professorina” che mostra ogni volta che è sicura delle proprie affermazioni prosegue dicendo:
    “Lo avevo gia capito che le mamme si radono le gambe e i papà invece la faccia”.

    Ho tratto un sospiro di sollievo e ho sperato di non tornare su quell’ argomento per molto tempo……………
    ………………………………………………………………………………………………………………………………
    P.S. Da passare i brividi lungo la schiena :-*

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