Secondo racconto

piedi

PARTITURA - PROSOPOPEA - GINOCCHIERA

Che giornatina!

A scuola, tutti i miei compagni alle volte mi prendevano in giro perché ero, come dire, un po´ fuori dagli schemi, mi piaceva andare in giro saltellando su di una gamba e tutte le volte che vedevo una vecchietta seduta su di una panchina, mi avvicinavo da dietro, la guardavo inarcando le sopracciglia e con un sorriso le davo un bel bacino sulla guancia.

” uhm… come ti chiami?” girandosi diceva meravigliata… scappavo via trotterellando, e chinando la testa, canticchiavo ” Sara, Sarin, Saretta, e c´ho una sorella che si chiama Betta… ”

*

Era felice la bambina, amava il mondo. Il motivo per cui saltava su una gamba era perché l’altra era lesa, in seguito a una brutta malattia.

Infatti, se aveste potuto vedere sotto la gonnellina, indossava una ginocchierina che serviva a rafforzare un po’ la gamba. Era per questo che amava tanto le vecchiette, perché erano le uniche che portavano la ginocchiera come lei, e si sentiva vicino a loro.

Per un altro motivo poi le amava così tanto: sapeva che di lì a breve avrebbero visto il Signore, e gli avrebbero potuto portare i suoi saluti; eh sì, perché lei in cielo c’era stata, durante quella brutta operazione, c’era stata e aveva parlato con Lui.

Gli aveva detto “Sai, laggiù sulla terra ci sono due persone a cui tengo moltissimo, che si vogliono veramente tanto bene, ma non si riescono a incontrare: vorrei tanto fare qualcosa per aiutarle!”

Il Signore sorrise e le chiese: “Queste due persone sanno cantare?”.

“Beh, non saprei”, rispose la bambina, “credo di sì. Quello che so io è che hanno avuto entrambi una vita un po’ difficile”.

“Allora” rispose benevolo il Signore, “certamente sanno cantare le note della vita.” E, porgendole una strana partitura, aggiunse: “Queste sono le note della loro vita, consegnagliele; chi ha sofferto nella vita, sicuramente le saprà cantare.”.

Era stato allora che si era svegliata, l’avevano tolta dal tavolo operatorio e rianimata, senza che lei avesse potuto chiedere al Signore un piccolo aiuto per recapitare quei fogli: era anche per questo che ogni volta che vedeva una vecchina le si avvicinava e cercava di farci amicizia, per darle questa piccola commissione, chiedere al Signore, quando l’avrebbero incontrato, come fare a portare a termine quella sua piccola missione.

Un giorno…

*

…seduta sul davanzale della finestra che dava verso la ferrovia, provò con il flauto a suonare le note della partitura.

“Se queste sono le note della vita, dovrebbero anche rianimare la mia gamba” pensò egoisticamente.

S’accorse subitò però, che per quanto soffiasse dal flauto non usciva alcuna nota.

Osservò con cura il beccuccio dello strumento, provò di nuovo a suonare leggendo la partitura ma l’unica cosa che uscì fu un soffio d’aria calda.

Guardò sconsolata i suoi piedi ma l’ attenzione fu presto catturata da un fatto insolito: nella casa a fianco, un uomo stava arrampicandosi sulla pianta di fico.

*

Era un giorno di tanti anni dopo. Lei quella partitura non era mai riuscita a consegnarla, ma non per cattiva volontà: anche se da bambina si era inventata quel modo per avvicinare le vecchine al parco, quella buffa filastrocca per rompere il ghiaccio, in realtà non aveva mai avuto il coraggio di chiedere, e nulla e nessuno erano giunti in suo aiuto.

Quelle due persone si erano perdute e la partitura era rimasta lì, abbandonata in un cassetto; poi, dopo tanto tempo, quell’idea di potersene servire. Ma il flauto non suonava, e quell’uomo che aveva visto all’improvviso arrampicarsi sulla pianta di fico della casa accanto, e le era sembrato un ladro, le aveva fatto realizzare che quello che lei aveva tentato di fare era rubare, rubare la vita di un altro, suonare note che non erano le sue, non era la sua musica, non era la sua vita.

Indugiò ancora ad osservare quell’uomo…

*

Cosa stava facendo? Si attaccava allo stendino e poi a fatica ma aiutato dalla signora Rosmini entrava in casa. Lei lo stava accogliendo a braccia aperte.

Le scappò un’espressione di meraviglia, si portò la mano davanti alla bocca ma allo stesso tempo sorrise.

“Birbanti!”

Tornò ad osservare i suoi piedi e li misurò con le spanne.

“Sono due buone fette. E’ inutile stare qui a spiare le persone o attendere che il flauto suoni. E’ arrivato il momento di mettersi in cammino e cercare quelle persone.

Potrei chiedere alla signora Rosmini, forse ne sa qualcosa”.

*

Ma in quel momento la signora Rosmini aveva altro da fare, e così lei rimase in finestra ad aspettare che quell’uomo uscisse, per poterle chiedere qualche informazione. Stava in finestra e pensava… Se quei due si fossero incontrati, come sarebbe finita? Tanti anni insieme li avrebbero resi come i coniugi Rosmini, lui che aveva intrecciato una relazione con la sua commercialista (questo era noto a tutti!), e lei che riceveva in casa un amante, piovuto da un fico, approfittando dell’assenza del consorte?

No, questo no. Se lei avesse consegnato quella partitura, le cose per quei due sarebbero andate in modo diverso; non avendola consegnata, le loro strade non si erano incontrate, ma loro due no, non sarebbero mai stati come i Rosmini, in nessun caso.

Finalmente, un paio d’ore dopo, quell’uomo uscì…

*

… lei lanciò un urlo, come se all’improvviso si fosse spaventata della sua presenza, l’uomo la guardò, prima con fare meravigliato, poi guardandosi in giro, si assicurò che nessun altro l’aveva visto e con un sorriso si avvicinò a Sara, facendole segno di stare tranquilla.

Adesso che riusciva a vederlo più da vicino, si accorse che era molto alto, portava un vestito color tortora con la camicia a scacchi e una cravatta rossa e gialla, aveva i capelli lisci pettinati con una riga in mezzo e pieni di brillantina, il viso era bello, ma gli si leggeva nel volto un non so che di tristezza, lo sguardo di uno che nella vita n’aveva visto tante.

E fu proprio allora che si accorse di averlo già visto, forse la sera prima alla festa del paese, dietro ad una pianola di quelle a manovella, insomma sembrava proprio quell’ambulante a cui lei aveva lasciato pochi soldini, dopo aver sentito un po’ della sua musica, e più lo guardava e più gli sembrava lui, solo che improvvisamente provò anche paura, non era più tanto sicura di aver fatto bene a chiamarlo, ma ormai era fatta e allora, sempre guardandolo negli occhi, aspetto che lui le dicesse qualcosa.

La prese per la mano, la fece alzare e canticchiando una melodia, incominciò a ballare, facendola volteggiare come una gran dama e lei, passata la paura, si abbandonò a quella meraviglia, ormai dimentica d’ogni cosa…

*
Dimentica anche della sua gamba lesa ballava, e le sembrava che il suo corpo potesse volare. D’istinto si abbassò a toccare il suo ginocchio, ma la ginocchiera non c’era più. “Cosa sta succedendo?” chiese stupita.

“Queste sono le note della tua vita” rispose l’uomo, “quelle che stavi cercando di suonare dalla partitura sbagliata: ora vai, e porta a termine ciò che ti è stato chiesto”

Sarin Saretta si mise in cammino.

*

A un certo punto si trovò ad attraversare un ponte, si affacciò e… prese la partitura e la gettò nel fiume.

Un atto di boria? Prosopopea da parte sua non aiutare il destino?

In realtà, superato l’entusiasmo di bambina, aveva iniziato a pensare “aiutati che Dio t’aiuta”, e quei due non s’erano certo aiutati.

Gettò dunque la partitura, si fermò a vederla volteggiare nell’aria e la seguì con lo sguardo fino a quando non la vide cadere in acqua; poi, tranquillamente, se ne tornò a casa, risedette sul davanzale della sua finestra e, dopo aver fissato a lungo fuori, si richinò sui suoi appunti e si accinse a scrivere una nuova storia…

*** Fine ***

27 commenti

27 thoughts on “Secondo racconto

  1. Ecco l’incipit, a voi le tre parole e via con il secondo racconto.

    Che giornatina!
    A scuola, tutti i miei compagni alle volte mi prendevano in giro perché ero, come dire, un po’ fuori dagli schemi, mi piaceva andare in giro saltellando su di una gamba e tutte le volte che vedevo una vecchietta seduta su di una panchina, mi avvicinavo da dietro, la guardavo inarcando le sopracciglia e con un sorriso gli davo un bel bacino sulla guancia.

    “ uhm… come ti chiami?” girandosi diceva meravigliata… scappavo via trotterellando, e chinando la testa, canticchiavo “ Sara, Sarin, Saretta, e c’ho una sorella che si chiama Betta… “

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  2. Carissima Lady Ginevra,
    tu parli di manicomio ed io ti dico solo che non c’è mai fine al peggio pensa che anche se il mio essere amorevolmente rimane assai legato in questa necessaria realtà duale spesso il mio cuore navigava su un’errante veloce cometa mentre la mente ascolta sublimi suoni e contemplava le bellezze del creato.

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  3. La nostra realtà è un po’ più che duale. Numerose dimensioni s’intersecano, mondi paralleli ci attraversano e ci influenzano senza che noi neanche ce ne rendiamo conto.

    Viaggiamo come Silver Surfer negli spazi siderali ma, a differenza di lui, ci godiamo poco il paesaggio.

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  4. Era felice la bambina, amava il mondo. Il motivo per cui saltava su una gamba era perché l’altra era lesa, in seguito a una brutta malattia.

    Infatti, se aveste potuto vedere sotto la gonnellina, indossava una ginocchierina che serviva a rinforzare un po’ la gamba. Era per questo che amava tanto le vecchiette, perché erano le uniche che portavano la ginocchiera come lei, e si sentiva vicino a loro.

    Per un altro motivo poi amava così tanto le vecchiette: sapeva che di lì a breve avrebbero visto il Signore, e gli avrebbero potuto portare i suoi saluti; eh sì, perché lei in cielo c’era stata, durante quella brutta operazione, c’era stata e aveva parlato con Lui.

    Gli aveva detto “Sai, laggiù sulla terra ci sono due persone a cui tengo tantissimo, che si vogliono veramente tanto bene, ma non si riescono a incontrare: vorrei tanto fare qualcosa per aiutarle!”

    Il Signore sorrise e le chiese: “Queste due persone sanno cantare?”.

    “Beh, non saprei”, rispose la bambina, “credo di sì. Quello che so io è che hanno avuto entrambi una vita un po’ difficile”.

    “Allora” rispose benevolo il Signore, “certamente sanno cantare le note della vita.” E, porgendole una strana partitura, aggiunse: “Queste sono le note della vita, consegnagliele; chi ha sofferto nella vita, sicuramente le saprà cantare.”.

    Era stato allora che si era svegliata, l’avevano tolta dal tavolo operatorio e rianimata, senza che lei avesse potuto chiedere al Signore un piccolo aiuto per recapitare quei fogli: era anche per questo che ogni volta che vedeva una vecchina le si avvicinava e cercava di farci amicizia, per darle questa piccola commissione, chiedere al Signore, quando l’avrebbero incontrato, come fare a portare a termine quella sua piccola missione.

    Un giorno…

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    • Questo racconto (da completare… ) è scritto partendo da un’idea di Ema, che ha ideato la storia anche “ispirandosi” al momento che sta vivendo e me l’ha raccontata al telefono, ed è stata messa per iscritto da me, che ho aggiunto per completezza qualche “raccordino” qua e là…

      A voi il seguito….

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    • Mentre aggiungevo questa nuova parte mi chiedevo: “Ma l’immagine di quei piedi che c’entra con questa storia così eterea e romantica? A parte la prosopopea, che figuriamoci se non riusciamo a farla rientrare nel racconto (il difficile era la partitura, ed Ema è stata eccezionale!), ma quelle due fette biscottate con pedalini a strisce, come ce le facciamo rientrare?”

      Vi passo la patata bollente…

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  5. …seduta sul davanzale della finestra che dava verso la ferrovia, provò con il flauto a suonare le note della partitura.
    “Se queste sono le note della vita, dovrebbero anche rianimare la mia gamba” pensò egoisticamente.
    S’accorse subitò però, che per quanto soffiasse dal flauto non usciva alcuna nota.
    Osservò con cura il beccuccio dello strumento, provò di nuovo a suonare leggendo la partitura ma l’unica cosa che uscì fu un soffio d’aria calda.
    Guardò sconsolata i suoi piedi ma l’ attenzione fu presto catturata da un fatto insolito: nella casa a fianco, un uomo stava arrampicandosi sulla pianta di fico.

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  6. Eh già, non si possono suonare le note della vita di un altro.

    Bello. Copio e incollo tosto al suo post sul post.

    (Però Pan, quelle due fette taglia 40 o 41, per la dolce Sarin Saretta saltellante mi sembrano un po’ eccessive!)

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  7. Era un giorno di tanti anni dopo. Lei quella partitura non era mai riuscita a consegnarla, ma non per cattiva volontà: anche se da bambina si era inventata quel modo per avvicinare le vecchine al parco, quella buffa filastrocca per rompere il ghiaccio, in realtà non aveva mai avuto il coraggio di chiedere, e nulla e nessuno erano giunti in suo aiuto.

    Quelle due persone si erano perdute e la partitura era rimasta lì, abbandonata in un cassetto; poi, dopo tanto tempo, quell’idea di potersene servire. Ma il flauto non suonava, e quell’uomo che aveva visto all’improvviso arrampicarsi sulla pianta di fico della casa accanto, e le era sembrato un ladro, le aveva fatto realizzare che quello che lei aveva tentato di fare era rubare, rubare la vita di un altro, suonare note che non erano le sue, non era la sua musica, non era la sua vita.

    Indugiò ancora ad osservare quell’uomo…

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  8. Cosa stava facendo? Si attaccava allo stendino e poi a fatica ma aiutato dalla signora Rosmini entrava in casa. Lei lo stava accogliendo a braccia aperte.
    Le scappò un’espressione di meraviglia, si portò la mano davanti alla bocca ma allo stesso tempo sorrise.
    “Birbanti!”
    Tornò ad osservare i suoi piedi e li misurò con le spanne.
    “Sono due buone fette. E’ inutile stare qui a spiare le persone o attendere che il flauto suoni. E’ arrivato il momento di mettersi in cammino e cercare quelle persone.
    Potrei chiedere alla signora Rosmini, forse ne sa qualcosa”.

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    • Ma in quel momento la signora Rosmini aveva altro da fare, e così lei rimase in finestra ad aspettare che quell’uomo uscisse, per poterle chiedere qualche informazione. Stava in finestra e pensava… Se quei due si fossero incontrati, come sarebbe finita? Tanti anni insieme li avrebbero resi come i coniugi Rosmini, lui che aveva intrecciato una relazione con la sua commercialista (questo era noto a tutti!), e lei che riceveva in casa un amante, piovuto da un fico, approfittando dell’assenza del consorte?

      No, questo no. Se lei avesse consegnato quella partitura, le cose per quei due sarebbero andate in modo diverso; non avendola consegnata, le loro strade non si erano incontrate, ma loro due no, non sarebbero mai stati come i Rosmini, in nessun caso.

      Finalmente, un paio d’ore dopo, quell’uomo uscì…

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  9. … lei lanciò un urlo, come se all’improvviso si fosse spaventata della sua presenza, l’uomo la guardò, prima con fare meravigliato, poi guardandosi in giro, si assicurò che nessun altro l’aveva visto e con un sorriso si avvicinò a Sara, facendole segno di stare tranquilla.

    Adesso che riusciva a vederlo più da vicino, si accorse che era molto alto, portava un vestito color tortora con la camicia a scacchi e una cravatta rossa e gialla, aveva i capelli lisci pettinati con una riga in mezzo e pieni di brillantina, il viso era bello, ma gli si leggeva nel volto un non so che di tristezza, lo sguardo di uno che nella vita n’aveva visto tante.

    E fu proprio allora che si accorse di averlo già visto, forse la sera prima alla festa del paese, dietro ad una pianola di quelle a manovella, insomma sembrava proprio quell’ambulante a cui lei aveva lasciato pochi soldini, dopo aver sentito un po’ della sua musica, e più lo guardava e più gli sembrava lui, solo che improvvisamente provò anche paura, non era più tanto sicura di aver fatto bene a chiamarlo, ma ormai era fatta e allora, sempre guardandolo negli occhi, aspetto che lui le dicesse qualcosa.

    La prese per la mano, la fece alzare e canticchiando una melodia, incominciò a ballare, facendola volteggiare come una gran dama e lei, passata la paura, si abbandonò a quella meraviglia, ormai dimentica d’ogni cosa…

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  10. Ciao, Ema mi ha parlato del vostro gioco.
    Mi sono permesso di giocarci pure io anche se l’ho fatto scrivendo una storia completa sul mio blog.
    Non ho messo la foto ma ho aggiunto una piccola citazione musicale. Chissà se qualcuno la coglie…
    Un saluto

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    • Questa è la storia che ha scritto markinho:

      Un mercoledì di settembre (*)

      Questa breve storia inizia un mercoledì mattina di settembre.

      Il vento spira dal mare con un’insolita energia. Compiendo allegre giravolte supera il porto, indugia un attimo di fronte ad un vecchio bar poi, dopo aver rubato un po’ di aroma di caffè, riparte veloce verso la sua prossima preda: una pescheria di piazza Cavour a cui sottrarre un po’ dell’inconfondibile odore di pesce fresco. Non domo continua il suo viaggio incanalandosi per uno dei caruggi fino ad arrivare ad accarezzare le narici di una minuta ragazza che risale lentamentente la leggera salita.

      È qui che noi lasciamo proseguire il vento per la sua strada e iniziamo invece a seguire la fanciulla.

      Ciò che attrae l’attenzione sono la sua espressione completamente assorta e la sua andatura leggermente claudicante.
      La prima è dovuta ai suoi pensieri: sta ripassando mentalmente la partitura sulla quale dovrà cantare. Ha ripreso da poco le lezioni di canto e ne è talmente felice da dedicargli tutte le sue energie.
      La seconda è dovuta alla ginocchiera che porta nella gamba sinistra. Anche se i medici hanno detto che potrebbe toglierla e oramai gli è più di impaccio che altro, lei ancora non lo ha fatto perchè non si sente abbastanza sicura. Teme possa cedergli il ginocchio e, un po’ sorda ai pareri altrui, preferisce non rischiare.

      La ragazza imbocca una via sulla sinistra e si dirige verso piazza De Ferrari, è talmente concentrata sulla musica che le danza nella testa da non accorgersi del piccolo pettirosso che, dopo averle svolazzato attorno per un attimo, le si appoggia sulla spalla.
      Solo al cinguettare dell’uccello la giovane se ne avvede.
      A quel punto il suo viso si illumina di stupore e tenerezza:

      esclama con quella sua voce dolce come il suono di un flauto.

      risponde il pettirosso.

      Già! Non sto scherzando. Magari penserete che mi stia sbagliando o che la mia sia solo una prosopopea per rendere più interessante la storia.
      No credetemi! Quel pettiroso parla! E non ha finito:

      La ragazza lo guarda ammutolita.

      La fanciulla vorrebbe ribattere qualcosa, chiedere spiegazioni, ma l’uccello apre le ali e spicca il volo lasciandole solo un’ultima frase:
      <<E getta quella ginocchiera una volta per tutte!>>

      La ragazza è paralizzata. I pensieri nella sua testa sono talmente tumultuosi che non sa che fare.
      Passano almeno due minuti.
      Poi, lentamente, si appoggia al muro, si toglie la scarpa sinistra, alza leggermente la lunga gonna bianca, armeggia un po’ con la stupida ginocchiera e finalmente la sfila e la lascia cadere a terra.
      E assieme alla ginocchiera cadono tutte le paure e i dolori che si porta dentro. Le paure e i dolori che ha accumulato negli anni della sua ancora giovane vita.

      Si guarda attorno e il suo sguardo si ferma sull’angolo indicato dal pettirosso. Capisce che il destino è lì che la aspetta e mentre il cuore inizia ad accelerare il battito il suo sorriso solare si allarga.

      La nostra storia finisce qua… con la ragazza che se ne va via leggera che pare volare.

      Complimenti a Markinho, non solo per la storia, ma per il sentimento e la speranza che ci sono dentro.

      (*) Se andate sul blog di Ema, troverete una poesia che si intitola per l’appunto “Un mercoledì di settembre“, e si riferisce al giorno in cui un’emorragia cerebrale le lasciò la parte sinistra del corpo bloccata. Markinho è più spesso che può in ospedale accanto a lei.

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  11. Dimentica anche della sua gamba lesa ballava, e le sembrava che il suo corpo potesse volare. D’istinto si abbassò a toccare il suo ginocchio, ma la ginocchiera non c’era più. “Cosa sta succedendo?” chiese stupita.

    “Queste sono le note della tua vita” rispose l’uomo, “quelle che stavi cercando di suonare dalla partitura sbagliata: ora vai, e porta a termine ciò che ti è stato chiesto”

    Sarin Saretta si mise in cammino.

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  12. Come ci siamo incartati! Io lo sapevo che quei piedi non avrebbero portato nulla di buono.

    Mi era venuta un’idea per la prosopopea: siccome, oltre alla boria, come si usa nell’accezione comune, la prosopopea indica anche una figura retorica che consiste nel dar voce ad oggetti inanimati, animali, o a defunti, facciamo parlare la partitura e così abbiamo pure la prosopopea servita in un piatto d’argento.

    Io sapevo anche che il parlare ad una cosa inanimata si chiamasse prosopopea, ma a una prima ricerca superficiale non l’ho trovata in questo ulteriore significato, eppure mi ricordo che fu proprio questo il primo significato in cui la studiai.

    Mi ricordo pure l’esempio, tratto da “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” in cui l’autore, Giacomo Leopardi, si rivolge alla luna con queste parole:

    Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
    Silenziosa luna?
    Sorgi la sera, e vai,
    Contemplando i deserti; indi ti posi.
    Ancor non sei tu paga
    Di riandare i sempiterni calli?
    Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
    Di mirar queste valli?

    *** etc., etc., etc. … ***

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  13. A un certo punto si trovò ad attraversare un ponte, si affacciò e… prese la partitura e la gettò nel fiume.

    Un atto di boria? Prosopopea da parte sua non aiutare il destino?

    In realtà, superato l’entusiasmo di bambina, aveva iniziato a pensare “aiutati che Dio t’aiuta”, e quei due non s’erano certo aiutati.

    Gettò dunque la partitura, si fermò a vederla volteggiare nell’aria e la seguì con lo sguardo fino a quando non la vide cadere in acqua; poi, tranquillamente, se ne tornò a casa, risedette sul davanzale della sua finestra e, dopo aver fissato a lungo fuori, si richinò sui suoi appunti e si accinse a scrivere una nuova storia…

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