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Independence day

Caccia Alieno (dal web)

Strano, tutto tanto strano, ogni giorno una restrizione in più, surreale è il termine adatto sì, ma anche inquietante, sembra di vivere una di quelle situazioni che in genere vediamo solo nei film, uno ci si trova dentro, all’improvviso, e non ha scampo.

Si stanno verificando situazioni tristi, gente che sta morendo senza poter essere raggiunta dai familiari, e il dramma è che è pure giusto così: oddio, forse giusto no, ma necessario (ricordate l’enigmatico inizio di “2022: I sopravvissuti“?).

Non usciamo da casa, si raccomandano di non svuotare i supermercati perché i generi alimentari non mancheranno, ma a questo punto beato chi ci crede, qui tutto cambia nottetempo, la mattina ti alzi e c’è una restrizione in più, oggi mi hanno riferito di un barista che bestemmiava perché non poteva aprire.

Speriamo serva.

Speriamo davvero che serva.

All’improvviso mi è ritornato in mente quel film che mi piacque molto, per quanto io non ami particolarmente i film sulle invasioni aliene, quel film che parla di tutta l’umanità finalmente unita per sconfiggere un nemico comune. In realtà non è tanto fantascienza, il virus è un alieno, è un nemico comune, e uno che ci deve far stringere forte gli uni agli altri – metaforicamente – per sconfiggerlo.

C’è bisogno dello sforzo di tutti, ognuno il suo, chi è medico o infermiere ed è in prima linea, ma anche chi provvede al rispetto delle semplici regole che ci sono state indicate, quel lavarsi le mani, stare a un tot di distanza, quelle regole che andrebbero rispettate sempre, ma da cui oggi dipende la vita di tante persone.

Consapevolezza, responsabilità, sinergia tra stati e popoli, quella sarà la strategia vincente. Il vaccino? Tutti devono condividere i risultati delle ricerche, non bisogna nasconderli per arrivare prima: ricordate Sabin? Rinunciò allo sfruttamento commerciale del vaccino antipolio affinché potesse essere disponibile prima, disse che era il suo regalo a tutti i bambini del mondo, e quanti bambini di allora oggi sono sani e liberi grazie a lui? Chi avrebbe pagato il prezzo se lui non fosse stato l’anima generosa che è stata? L’autore della scoperta avrà solo messo un punto al duro lavoro di altri? E’ da quando esiste il mondo che l’uomo va avanti aggiungendo qualcosa a quanto costruito da chi è venuto prima di lui, “nos esse quasi nanos gigantum humeris insidientes“, siamo come nani che siedono sulle spalle di giganti, per questo possiamo vedere più lontano.

Vi immaginate se ogni essere umano avesse dovuto costruire ex novo tutto il suo sapere? Saremmo ancora all’età della pietra!

E allora, umanità unita, cha arrivi quanto prima per noi tutti il nostro Independence Day!

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Mamma, intanto puoi…

… morire, tutta sola in riva al mare.

Si concludeva così una struggente canzone che mio marito scrisse per sua madre, una donna che era stata brillante e piena di vita, ora anziana oramai incapace d’intendere e di volere, chiusa in un istituto per lungodegenti sito sul litorale romano.

Io mio suocera l’avevo conosciuta anziana, quindi la sua decadenza non mi faceva lo stesso effetto che al figlio, ma il figlio non si rassegnava a quel simulacro di sua madre, così diverso dalla donna che l’aveva cresciuto, difeso e protetto come una tigre.

Quel simulacro che non somigliava per niente a quell’elegantissima donna dell’alta società che frequentava i salotti bene e altri luoghi di lusso di cui era sempre all’altezza, spesso declamando le sue bellissime poesie, a volte duettando con il marito, inventando versi entrambi in maniera estemporanea e assolutamente brillante.

MI ricordo quando era ricoverata, l’avevano imbottita di Valium ma lei ancora non cedeva, non dormiva oramai da giorni, girava per la clinica come un fantasma, e il figlio alla fine la prese per le spalle e le urlò scuotendola forte: “Ma perché fai così, perché? Ma non lo capisci che se continui così ti ricovereranno, non ti potremo riportare a casa?” e lei tremando, piangendo e poco capendo gli rispose “Perché mi dici questo, perché mi tratti così?”.

I figli non si arrendono all’idea che i genitori stiano male, che non siano più quei genitori che come leoni li difendevano, quei genitori che li accudivano, quei genitori che tutto sapevano e tutto potevano. Non si arrendono all’idea che spariscono, che non sono più loro, che li perdono molto prima che lascino fisicamente questa terra.

Tra le parole della canzone, che probabilmente mai più sarà possibile ascoltare, c’erano queste: “Piangi lacrime di marmo/ che nessuno può asciugare/ né dottori né infermiere”. Io ricordo le lacrime di mio nonno, ferme nei suoi occhi bianchi, ricordo quelle di marmo di Giulietta, e ora vedo quelle di mia madre, un velo represso, cionondimeno costante.

Si cerca di distrarla, torno presto, mamma intanto puoi… intanto puoi… che cosa? Le giornate passano davanti alla tv, in attesa di una visita, che forse stanca pure, di una telefonata alla quale spesso non ce la fa neanche a rispondere, forse passano piene di ricordi, di rimpianti, di bilanci.

Passano, intanto.

Dormendo morendo

Foto dal web

Mia madre, che era solita parlare per proverbi, spesso citava questo: “Bambini dormendo guarendo, anziani dormendo morendo”.

Vado da lei, spesso crollo io dal sonno e mi accascio, e così lei dorme a sua volta. La guardo, lei che era sempre così , come dire, composta, ora è scomposta, il corpo abbandonato, il respiro affannoso. Il seno, un tempo prosperoso, non esiste più, e ha lasciato il suo posto a un torace scarno che faticosamente si alza, e faticosamente si abbassa, e faticosamente si rialza, e faticosamente si riabbassa.

“Mamma ha sempre dormito dormito così” mi dicono i miei fratelli. “Nonna ha sempre dormito così” mi dice mia figlia.

Io a volte mi chiedo se ho vissuto un’altra vita, in un altro mondo, con altre persone, perché io me la ricordo mia madre, dormire sempre su un fianco, silenziosamente, con la bocca rigorosamente chiusa, le gambe accostate appena piegate, a volte le mani giunte sotto la guancia, a mo’ di cuscino.

Ora le braccia sono abbandonate a se stesse, le gambe sono abbandonate a se stesse, la bocca è abbandonata a se stessa, mentre il torace sembra opporre resistenza a ogni respiro.

La guardo, e ripenso alla sua vita faticosa, tanto faticosa. La guardo e penso a quando, sempre su un fianco e con noi alle sue spalle, ci leggeva qualcosa, generalmente sempre quello strazio inenarrabile del Libro Cuore, per cui regolarmente si commuoveva, oppure la cavallina storna, un’altra insopportabile palla, e ricordo quel suo indice che si alzava ogni volta quando pronunciava con voce solenne “Si alzò alto un nitrito”. Credo che mia madre avesse una visione un po’ mistica della vita, quella che mia figlia attribuisce anche a me, che vedo la mano divina dappertutto, e penso ai suoi sogni, e a come sono stati infranti, a come sia stata dura la sua vita, a quanto abbia lavorato, sempre, troppo, non si è mai risparmiata (come, d’altra parte, non mi risparmio io).

La guardo, abbandonata così, in quel sonno sofferente laddove da giovane è stata la veglia ad essere sofferente, e mi chiedo se poi sia questa la vita, difficile da vivere, difficile da lasciare.

Dorme, e già sappiamo che un giorno non si sveglierà più da quel sonno.

Mia nonna era solita dire “Nun se pòzza mai fini’ “, perché è solo uno il caso in cui uno finisce i suoi impegni di vita con tutte le sue tribolazioni, e cioè quando finisce il suo impegno di vita.

Bambini, dormendo guarendo, anziani, dormendo morendo, e mia madre non è una bambina, anche se forse il suo animo lo è rimasto sempre.

La vecchietta no no no?

Giorni fa mia figlia ha chiamato il comune per una segnalazione per la situazione rifiuti sotto casa nostra assolutamente insostenibile. Il Comune le passa l’Ama, dall’Ama pare abbia rispoto un disco che diceva che la segnalazione andava fatta esclusivamente on-line.

Ora, il fare le cose on-line dovrebbe essere un’opzione in più per chi è informatizzato, ma vi pare giusto che diventi l’unica possibile ed essere in possesso di un pc, avere una connessione internet e soprattutto saper utilizzare entrambe sia praticamente un obbligo di legge?

E’ questa la società del “Nessuno deve rimanere indietro”?

A me pare piuttosto il solito mondo del “Chi non salta zompa”!

Il caciocavallo (by Rita La Rosa)

“The Favorite” by Georgios Iakovidis

***

Cari amici, eccomi dopo lungo silenzio con una chicca per voi. Una mia amica ha simpaticamente raccolto il guanto della sfida lanciato anni fa su chi si sarebbe voluto cimentare in un’ode al caciocavallo, e ne sono usciti questi versi di una dolcezza unica. Io, pur non conoscendo il dialetto siculo (ah, quanto vorrei che Arthur fosse qui con noi!), leggendoli mi sono commossa, e comunque sotto c’è la traduzione in italiano. L’autrice ci prega, nel caso dovessimo copiare la poesia altrove, di riportare, oltre ovviamente al suo nome, anche la dedica al nonno e alla mamma, che del componimento desidera costituisca parte inscindibile.

U Cascavaddu, u vinu di Vittoria e a nustalgia

Eru ‘na picciridda e m’ piaciva
U nonnu mu civava pianu pianu
A vucca mia, ricordo, ca ririva
Mangiannu tuttu u pezzu sanu sanu

Ma Matre, mu civava cu lu pani
chiddu d’casa ch’m’ piaciva assai
Rraffavu su furmaggiu cu li mani
U pani, nonsi, un nnu mangiavu mai

U cascavaddu bbonu e sapuritu
M’ lassava a vucca assai salata
Eru ‘na criaturedda e cu lu dito
Rrattavu a ma lingua arrutuliata

U nonnu che assai bbene m’ vuliva
Senza cha Mamà virisse ch’ faciva
Dicennu “ma nipute è comu ammia”
Co vinu di Vittoria mallinchiva

Do bummulu u mittiva intru u bcchere
“Nanticchia – m’ diciva – sciatu miu “
“Un t’ fare viriri, girate i darrere
Ca Mamà tua ci penzu ggiustu iu”

Sentu a nustalgia do passatu
Eru ‘na criaturedda sapurita
Co cascavaddu in manu e fra li dita
Sentìa ca ‘mavivu arricriatu

di Rita La Rosa – 17 febbraio 2019

In ricordo di mio Nonno Vincenzo Coco (detto Nonno Cecè) e di mia Mamma Pina e delle mie vacanze marine a Gela

Traduzione

Il Caciocavallo il vino di Vittoria e la nostalgia

Ero una bambina e mi piaceva
Il Nonno mi imboccava piano piano
La mia bocca ricordo che rideva
Mangiando tutto un pezzo intero

Mia Mamma me lo dava con il pane
Quello di casa che mi piaceva molto
Arraffavo quel formaggio con le mani
E il pane, nossignore, non lo mangiavo mai

Il Caciocavallo buono e saporito
Mi lasciava la bocca molto salata
Ero una bambina e con il dito
Mi grattavo la lingua arrotolata

Il Nonno che mi voleva tanto bene
Senza che Mamma vedesse che faceva
Dicendo “Mia nipote è come me”
Col vino di Vittoria mi riempiva

Dall’orcio lo metteva nel bicchiere
“Poco – mi diceva – fiato mio”
“Non ti fare vedere, girati di schiena
Che a Mamma tua ci penso giusto io”

Sento una nostalgia del passato
Ero una bambina graziosa
Con il Caciocavallo in mano e fra le dita
Sentivo che mi ero ricreata.

Di Rita La Rosa – 17 febbraio 2019