***
E’ tanto che non scrivo, ma tanto tanto.
Sono stata male, ma non è stato solo per questo, forse c’è stato un tempo per il blog, e questo tempo ora non c’è più.
Quando morì mio nonno mia madre disse, sommessamente, “Il prossimo turno è il nostro”, e io le risposi piccata “Ma che accidenti dici, ci sono trent’anni tra una generazione e l’altra, se morirai tra trent’anni non mi pare il caso di cominciare a piangerci adesso!”.
Un discorso logico, razionalissimo, ma poi, quando il tuo ultimo genitore muore, quando vedi che tutti i pilastri della tua vita, prima i nonni, poi genitori, zii, insegnanti, tutor di vario grado, sono venuti meno, ti accorgi di essere tu il capolista, ti accorgi che è il tuo turno di essere loro.
Ti accorgi che è il turno dei rimpianti, ma non quei pochi che si hanno sempre nella vita, fin da bambini, no, non quello. Questo è il turno, il tempo dei soli rimpianti, quelli senza possibilità di aggiustare il tiro, quello non dei treni che passano, ma di quelli in disuso e dei binari abbandonati.
E’ il tempo degli acciacchi, non di quelli che guariscono, ma quelli con cui impari a convivere, e persino ti mancherebbero se non li avessi.
E’ il tempo in cui tutto sommato ringrazio di aver preso da tempo una decisione saggia, quella di non rimandare mai, e di dire ciò che ho da dire.
In questo tempo, quando tante persone se ne sono andate, a tutti è capitato di rimpiangere quella visita rimandata, e ho visto il non detto pesare più delle perdite subite e allora mi sono detta no, non farò questo errore, e non l’ho fatto.
Di fronte alla precarietà della vita ho deciso di non dare importanza alle cose che non ce l’hanno e non mi sono avvelenata il sangue per delle sciocchezze, ma ho spesso sperimentato che il resto del mondo non si regola così, e allora va a finire che diventi una bestia rara, un animaletto strano, e ti ritrovi in una dimensione diversa con poche anime al fianco.
Oggi sono sette anni che Xavier mi ha voltato le spalle, Xavier, il mio fratello per scelta, la persona preziosa e diversa, che poi tanto diversa non era.
Ho convissuto con questa ulteriore scheggia nel cuore, evitando il pensiero e guardando avanti, e ho risolto problemi, raggiunto traguardi, tutto come nulla fosse, ma in realtà era, urca se era, e quella scheggia fa male.
Oggi però mi è venuta voglia di tornare a cucinare, vado a prendere un ricettario, lo sfoglio, e in un’attività così prosaica penso che c’è un tempo pure per ricominciare, un tempo per ricrearsi e guardare avanti, un tempo per continuare ad esistere fino all’ultimo giorno, come se ci fosse un tempo per tutto, come se ci fosse sempre tanto, tanto tempo per tutto.
Forse c’è un tempo pure per capire che c’è tempo.