Non è vero che sono invincibile, mi rompo in mille pezzi anche io…è solo che ho imparato a non fare rumore. *** Amami quando meno lo merito, che è quando ne ho più bisogno (Catullo) – Non sprecate tempo a cercare gli ostacoli: potrebbero non essercene. Franz Kafka —- Non è ciò che tu sei che ti frena, ma ciò che tu pensi di non essere. Denis Waitley — Non c'è schiaffo più violento di una carezza negata
Hanno delle idee davvero geniali, peccato che quei pubblicitari siano impiegati in un’agenzia di pompe funebri, però è vero pure che in quel campo la sfida è maggiore!
Non per andare controcorrente …. ma TAFFO è nulla rispetto al CARO ESTINTO, che già a metà degli anni sessanta dello scorso secolo, proponeva casse mortuarie, abiti, trucchi della salma … e quant’ altro fosse necessario per il benessere dell’ estinto … così :
Quanto si specula sulla morte! Per dirla tutta, la speculazione sul dolore è tra le più diffuse e redditizie, che si tratti di morte, malattie, ma anche preoccupazioni, paure, angosce… Qui ci stiamo ridendo, ma è veramente un comportamento tanto vergognoso quanto diffuso.
Uh, la Madonna!
Non entravo su wp da settimane causa faldoni di lavoro e stamattina che riesco a farlo che mi ritrovo tra le prime notifiche? due post di Marghian che comunica la morte del fratello (mi spiace), il tuo post su Arthur (mi commuove pensare a lui) e ora Taffo!
Meglio spengo il pc, ….magari proseguo domani con le letture dei post: mi sa che oggi tira un’aria un pochetto così…
🙂
Ma che geniacci davvero! Oltretutto mica hanno torto, a volte la gente non vive proprio, e arriva alla sua ora già morta da anni… Mi piacciono anche le altre campagne che vedo nei commenti, anch’io non ci trovo alcun cattivo gusto, ce n’era molto di più a volte nelle campagne di Oliviero Toscani
Oliviero Toscani è stato spesso di pessimo gusto, ma comunque le sue campagne pubblicitaria avevano perlopiù un loro perché (voglio dire, se ne salvano tante!)
Tu ci scherzi, ma per chi ha fede la questione è questa: la nostra esperienza terrena è solo una parentesi, breve, di una superiore esistenza spirituale. Nasciamo con un incarico da svolgere, e quando lo abbiamo svolto, che ciò sia avvenuto in un anno o in cento non importa, ritorniamo all’esistenza superiore cui apparteniamo. Il “morire giovani” è un concetto umano (ciò nulla toglie al dolore inconsolabile di un lutto, visto che siamo umani e umani sono i nostri sentimenti!), ma di fronte all’eternità la nostra vita terrena, lunga o breve secondo i nostri parametri, è sempre un attimo.
Io mi auguro un giorno di rivedere i miei cari (anche se, lo ammetto, vivere mi piace e spero che quel giorno sia il più lontano possibile), e lo stesso augurio rivolgo a te: vi riabbraccerete, e il tempo passato ad aspettare questo abbraccio da lassù vi sembrerà un battito di ciglia. Da lassù, certo, capisco che noi siamo quaggiù e il tempo sembra non passare mai. Goditi i nipotini, cresceteli nel ricordo della meravigliosa mamma che hanno avuto!
Fuori dallo scherzo …. se anche avessi la fede ( autentica) di mia moglie e quindi fossi certo che un giorno io potrò riabbracciare mia figlia, ebbene quelle spoglie racchiuse nella bara, quel viso bellissimo che, presto ahimè, si decomporrà, mi sono assai care …. e, nel mio cuore sanguinante, preziose ed uniche ! Quanto ai miei due nipotini … farò di tutto affinchè essi crescano colti, liberi e felici, come avrebbe fatto, se non fosse salita anzi tempo in paradiso, la loro sfortunata mamma !
Forse non mi sono spiegato bene, mia sensibile Diemme : io, se avessi la stessa fede di mia moglie, sarei certo che il Paradiso esiste, ma, anche in questo caso, sarebbero per me unici e preziosi quei poveri resti di mia figlia che si stanno consumando dentro la bara … quel suo viso, quel suo perenne sorriso, quella sua dolcezza di donna, io li ho perduti per sempre ormai, e non c’ è Paradiso che me li possa restituire !
Beh, io questo l’ho premesso, dicendo che persino con la Fede non c’è consolazione per chi qui, sulla terra, rimane senza la persona amata un tempo che è comunque sempre troppo lungo e troppo doloroso.
Buon giorno, Diemme … posso continuare a “scherzare” ???
Sine ???
Bene … allora mi permetto di dire a FulviaLuna che, una cosa è affrontare il sonno eterno macerandoci nell’ umile terra di un anonimo cimitero, altra cosa è portare la nostra salma a riposare nei Sentieri Melodiosi ( cfr. il cennato film Il Caro Estinto ), illuminati da una lampada ardente caricata a butano ( così si avrà in perpetuo una “luce azzurra” davvero celestiale ), ristorati da cori angelici ( e chi se ne frega se, detti cori, provengono da un disco … ), confortati da nugoli di turisti che, muniti di macchine fotografiche con autoscatto, si immortalano sorridenti accanto alla nostra tomba realizzata in puro alabastro di Volterra !
Si dice : Ma quando uno è morto … è morto” !
“D’ accordo, rispondo io, ma vuoi mettere” ?
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l’obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
e l’estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi? Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ‘l compianto de’ templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d’lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t’appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de’ buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino
lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov’io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch’or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d’evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l’ossa
col mozzo capo gl’insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d’umane
lodi onorato e d’amoroso pianto.
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
all’etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
ed are a’ figli; e uscían quindi i responsi
de’ domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
fean pavimento; né agl’incensi avvolto
de’ cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d’effigïati scheletri: le madri
balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l’amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando
perenne verde protendean su l’urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell’uom cercan morendo
il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti
de’ suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
cne tronca fe’ la trïonfata nave
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l’opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell’Orco
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l’amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l’esempio.
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
– Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l’idïoma
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte
serbi l’itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t’ invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi, errava muto
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a’ Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,
la virtú greca e l’ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna
oltre l’isole egèe, d’antichi fatti
certo udisti suonar dell’Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l’armi d’Achille
sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all’Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l’onda incitata dagl’inferni Dei.
E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: – E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de’ fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama. –
Cosí orando moriva. E ne gemea
l’Olimpio: e l’immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l’amoroso
apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospirando: – Oh se mai d’Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
Chapeau … Diemme !!!
Quante volte abbiamo letto, a partire dalle aule del liceo e fino ai giorni d’ oggi, questo splendido carme ??? Eppure ogni volta ci emoziona … e ci scuote fino alle midolla !
li seguo su facebook 😀
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Hanno delle idee davvero geniali, peccato che quei pubblicitari siano impiegati in un’agenzia di pompe funebri, però è vero pure che in quel campo la sfida è maggiore!
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Anche quelli che preparano le pubblicità dell’Esselunga non sono male. Ma non ai livelli di Taffo!
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Non la conosco, mi andrò a documentare!
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Sono andata a guardarle, geniali anche quelle, simpaticissime!
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semplici, dirette ed efficaci
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Troppo forti davvero, uno spot originale e per niente stupido.
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Ho ridato un’occhiata anche alle altre loro campagne pubblicitarie, davvero un valore sociale aggiunto.
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Top di gamma! Decisamente.
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Al pensiero di essere sepolta da loro muoio più serena, mi ci faccio una bella risata e non ci penso più!
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Taffo è micidiale…. Taffo for president
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E che campagne sociali che fa!
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Niente…. Geniali fino all’aldila’
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😆
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Davvero geniali. Anche se a volte con un po’ di cattivo gusto, ma d’altra parte visto quello che vendono…..
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Io il cattivo gusto non ce lo vedo, tutt’altro, anche se ovviamente l’argomento è quello che è e per i più risulta inappropriato a prescindere.
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No, non in questa qui. Ma altre che ho visto forse erano un po’ eccessive. Dipende dai gusti!
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In fondo è il vecchio monito “Ricordati che devi morire!” modernizzato e vivacizzato ma con la stessa identica sostanza.
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Non per andare controcorrente …. ma TAFFO è nulla rispetto al CARO ESTINTO, che già a metà degli anni sessanta dello scorso secolo, proponeva casse mortuarie, abiti, trucchi della salma … e quant’ altro fosse necessario per il benessere dell’ estinto … così :
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Quanto si specula sulla morte! Per dirla tutta, la speculazione sul dolore è tra le più diffuse e redditizie, che si tratti di morte, malattie, ma anche preoccupazioni, paure, angosce… Qui ci stiamo ridendo, ma è veramente un comportamento tanto vergognoso quanto diffuso.
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Uh, la Madonna!
Non entravo su wp da settimane causa faldoni di lavoro e stamattina che riesco a farlo che mi ritrovo tra le prime notifiche? due post di Marghian che comunica la morte del fratello (mi spiace), il tuo post su Arthur (mi commuove pensare a lui) e ora Taffo!
Meglio spengo il pc, ….magari proseguo domani con le letture dei post: mi sa che oggi tira un’aria un pochetto così…
🙂
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😆
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Ma che geniacci davvero! Oltretutto mica hanno torto, a volte la gente non vive proprio, e arriva alla sua ora già morta da anni… Mi piacciono anche le altre campagne che vedo nei commenti, anch’io non ci trovo alcun cattivo gusto, ce n’era molto di più a volte nelle campagne di Oliviero Toscani
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Oliviero Toscani è stato spesso di pessimo gusto, ma comunque le sue campagne pubblicitaria avevano perlopiù un loro perché (voglio dire, se ne salvano tante!)
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Già …
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Ma ci devo già pensare? No è…manco se so’ geni!!!
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😆
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Fulviè …. chi ha tempo non aspetti tempo !
Vuoi mettere ???
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Tu ci scherzi, ma per chi ha fede la questione è questa: la nostra esperienza terrena è solo una parentesi, breve, di una superiore esistenza spirituale. Nasciamo con un incarico da svolgere, e quando lo abbiamo svolto, che ciò sia avvenuto in un anno o in cento non importa, ritorniamo all’esistenza superiore cui apparteniamo. Il “morire giovani” è un concetto umano (ciò nulla toglie al dolore inconsolabile di un lutto, visto che siamo umani e umani sono i nostri sentimenti!), ma di fronte all’eternità la nostra vita terrena, lunga o breve secondo i nostri parametri, è sempre un attimo.
Io mi auguro un giorno di rivedere i miei cari (anche se, lo ammetto, vivere mi piace e spero che quel giorno sia il più lontano possibile), e lo stesso augurio rivolgo a te: vi riabbraccerete, e il tempo passato ad aspettare questo abbraccio da lassù vi sembrerà un battito di ciglia. Da lassù, certo, capisco che noi siamo quaggiù e il tempo sembra non passare mai. Goditi i nipotini, cresceteli nel ricordo della meravigliosa mamma che hanno avuto!
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Fuori dallo scherzo …. se anche avessi la fede ( autentica) di mia moglie e quindi fossi certo che un giorno io potrò riabbracciare mia figlia, ebbene quelle spoglie racchiuse nella bara, quel viso bellissimo che, presto ahimè, si decomporrà, mi sono assai care …. e, nel mio cuore sanguinante, preziose ed uniche ! Quanto ai miei due nipotini … farò di tutto affinchè essi crescano colti, liberi e felici, come avrebbe fatto, se non fosse salita anzi tempo in paradiso, la loro sfortunata mamma !
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Forse non mi sono spiegato bene, mia sensibile Diemme : io, se avessi la stessa fede di mia moglie, sarei certo che il Paradiso esiste, ma, anche in questo caso, sarebbero per me unici e preziosi quei poveri resti di mia figlia che si stanno consumando dentro la bara … quel suo viso, quel suo perenne sorriso, quella sua dolcezza di donna, io li ho perduti per sempre ormai, e non c’ è Paradiso che me li possa restituire !
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Beh, io questo l’ho premesso, dicendo che persino con la Fede non c’è consolazione per chi qui, sulla terra, rimane senza la persona amata un tempo che è comunque sempre troppo lungo e troppo doloroso.
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Buon giorno, Diemme … posso continuare a “scherzare” ???
Sine ???
Bene … allora mi permetto di dire a FulviaLuna che, una cosa è affrontare il sonno eterno macerandoci nell’ umile terra di un anonimo cimitero, altra cosa è portare la nostra salma a riposare nei Sentieri Melodiosi ( cfr. il cennato film Il Caro Estinto ), illuminati da una lampada ardente caricata a butano ( così si avrà in perpetuo una “luce azzurra” davvero celestiale ), ristorati da cori angelici ( e chi se ne frega se, detti cori, provengono da un disco … ), confortati da nugoli di turisti che, muniti di macchine fotografiche con autoscatto, si immortalano sorridenti accanto alla nostra tomba realizzata in puro alabastro di Volterra !
Si dice : Ma quando uno è morto … è morto” !
“D’ accordo, rispondo io, ma vuoi mettere” ?
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All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l’obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
e l’estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi? Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ‘l compianto de’ templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d’lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t’appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de’ buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino
lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov’io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch’or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d’evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l’ossa
col mozzo capo gl’insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d’umane
lodi onorato e d’amoroso pianto.
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
all’etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
ed are a’ figli; e uscían quindi i responsi
de’ domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
fean pavimento; né agl’incensi avvolto
de’ cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d’effigïati scheletri: le madri
balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l’amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando
perenne verde protendean su l’urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell’uom cercan morendo
il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti
de’ suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
cne tronca fe’ la trïonfata nave
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l’opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell’Orco
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l’amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l’esempio.
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
– Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l’idïoma
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte
serbi l’itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t’ invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi, errava muto
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a’ Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,
la virtú greca e l’ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna
oltre l’isole egèe, d’antichi fatti
certo udisti suonar dell’Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l’armi d’Achille
sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all’Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l’onda incitata dagl’inferni Dei.
E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: – E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de’ fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama. –
Cosí orando moriva. E ne gemea
l’Olimpio: e l’immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l’amoroso
apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospirando: – Oh se mai d’Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
(Ugo Foscolo)
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Chapeau … Diemme !!!
Quante volte abbiamo letto, a partire dalle aule del liceo e fino ai giorni d’ oggi, questo splendido carme ??? Eppure ogni volta ci emoziona … e ci scuote fino alle midolla !
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😂
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