
Le lacrime di Freyja – Anne Marie Zilberman
E mi sono trovata così, all’improvviso, a piangere calde lacrime per la Lobot. Chissà che m’è scattato, sono duecent’anni che non mi parla, né io ne ho mai sentito la mancanza. Ma, d’altra parte, perché dovrebbe essere strana la cosa, o incoerente, era lei che non parlava con me, mica io con lei!
Per certi versi l’ho sempre stimata molto, una leonessa, una donna combattiva che sembrava indistruttibile, certamente più simile a me di quanto non lo sia mia madre, che è decisamente ai miei antipodi. L’ho stimata, fiera, indomita, sgobbona oltremisura. Di diverso da me aveva nel bene una gran voglia di vivere, e nel male un certo egoismo/egocentrismo, che poi magari alla voglia di vivere è pure collegato.
Ne parlo come non ci fosse più, e invece c’è ancora, grazie al cielo è andato tutto bene, e pare possa tornare ben presto pimpante come prima, ma ha fatto effetto a tutti toccare con mano che non è immortale e non è indistruttibile. La parola “malattia” pareva non essere associata a lei in nessun modo, mi dice Attila che, in quasi sessant’anni di vita, la mamma malata non l’ha vista mai.
E invece è umana, fragile, sottoposta alle medesime leggi della natura di noi comuni mortali.
Giorni fa parlavamo di lei per cose che non mi pare opportuno riferire in questa sede, ma insomma, il titolo era la difficile convivenza tra lei e il figlio, e io scherzando commentavo con mia figlia: “Ora capisco perché tua nonna ce l’ha con me, perché le ho lasciato tuo padre sul groppone!”. Ci abbiamo riso. Fino a due giorni fa ci abbiamo riso.
Ora, meno male che il figlio era là sul suo groppone, visto che è stato il suo intervento tempestivo a salvarla. Come dire, non tutto il male viene per nuocere!