La solitudine dei (non numeri) primi.

solitudine ragazza tetto ali

L’articolo sulla “socializzazione” (nella sua accezione più errata), ha avuto un gran ritorno, sia da me che da Monica: eh sì, perché è un problema che tocca un po’ tutti, e tutti ci siamo trovati su un qualche fronte, o del bambino timido in difficoltà, o di quello bravo cui il docente delega il compito di “salvare” il compagno che ha qualche disagio, o del docente che con più o meno perizia tenta di risolvere un problema, o del genitore con figlio in difficoltà, per l’uno o per l’altro motivo.

Molto signicativo l’intervento di Dea Silenziosa, che ha subìto sulla propria pelle questa “trovata” pseudopedagogica dell’affidare chi è in difficoltà a chi è più bravo, dimenticandosi che il più bravo è a sua volta bambino, con le sue fragilità, i suoi aspetti ancora irrisolti, e spesso il grosso eterno dramma dei più bravi, la solitudine.

C’è una letteratura riguardo ai primi della classe (a scuola e nella vita), invidiati ma sbeffeggiati, sostanzialmente isolati.

Ricordate, nel film “Notte prima degli esami”, il secchione Santilli, evitato ma sfruttato (o sfruttato ma evitato che dir si voglia)? Alla fine quando, splendida ciliegina sulla torta di un film davvero delizioso, viene detto cosa poi hanno fatto da grandi i ragazzi, si apprende che il Santilli è diventato un serial killer, e mica mi stupisco!

Quante ho volte ho asciugato le lacrime di mia figlia, che è davvero una persona altruista, collaborativa e buona amica, che mi diceva: per loro sono un cervello, un’enciclopedia, non una persona, con un cuore, con la voglia di stare con loro e giocare, non solo passare i compiti!

Le avrei risposto tanto volentieri, e forse l’ho fatto “Quanto ti capisco figlia mia!”.

Un’anziana signora mi ha raccontato più volte di come da ragazzina, in collegio, venisse addirittura svegliata di notte dalle sue compagne di camerata e costretta dietro minaccia a fare i loro compiti, e solo dopo rimandata a dormire, non prima di averle intimato il silenzio. Durante il giorno, isolata, sola, sola, sola!

Leggete da Monica l’intero intervento di Dea, perché estrapolarne una parte può alterare il messaggio che voleva trasmettere lei, ma io qualche punto lo vorrei riportare:

Per quanto riguarda me, e la mia esperienza scolastica, ero la migliore della classe e per questo alle medie ho vissuto la forzatura al lavoro di gruppo, ove per gruppo s’intendevano 4 alunni di cui 3 di rendimento scarso o molto scarso e la quarta (io) che doveva fungere da capogruppo trainante gli altri.

Questo è appunto, generalmente, il modello di comportamento adottato da alcuni insegnanti, e che io deploravo nel post precedente.

Ora… io non ho visto mai nulla di sensato in questo tipo d’esperimento

Appunto.

Sono meno d’accordo sul fatto che una compagna di classe non poteva arrivare dove non riusciva l’insegnante; magari poteva non essere così, a volte una persona più al nostro livello, che parla un linguaggio più vicino al nostro, ci può trasmettere dei messaggi in modo più comprensibile: ma provare, sperimentare, sperare, non significa aspettarselo necessariamente, pretenderlo e addirittura, come nel caso di Dea, colpevolizzare il ragazzo bravo per non aver saputo trasmettere non dico neanche le proprie competenze, ma addirittura le proprie capacità al compagno in difficoltà.

Infatti scrive:

La prof d’italiano un giorno che io ero assente disse alla classe che non dovevano prendermi ad esempio, poiché io ero un’individualista: questo perché il metodo del ‘lavoro di gruppo’ non dava i risultati sperati nemmeno in altri ‘gruppi’, sicché invece di rifletterci sopra, quella prof pensò bene di dare la colpa del ‘cattivo esempio’ alla più brava della classe che non riusciva a fare il miracolo di tirare su i voti dei suoi tre ‘affidati’

Questa è la negazione della didattica, la negazione della pedagogia, la negazione del rispetto!

Vi potrei raccontare mille altri episodi, ma vorrei solo invitare tutti, quando si parla di aiuto, di solidarietà, di essere vicini e non abbandonare, di pensare pure a quei primi della classe, a quelli che al lavoro sono più coscienziosi, o più brillanti, o che hanno l’idea migliore.

A quelli che per capacità o che per volontà vanno avanti, a quelli che riescono, e che non sono individui infetti da odiare, scacciare, isolare. Ricordo di aver letto una citazione, non ricordo di chi (ma mi sembra Einstein), che più o meno diceva che chi sostiene che una cosa sia impossibile dovrebbe risparmiarsi di prendersela con chi invece ce la sta facendo.

Avete letto, nell’altro post, la testimonianza di Cytind? Anche lei ha sofferto spesso, a scuola e nella vita, la solitudine che tocca in sorte a chi ha una marcia in più.

70 thoughts on “La solitudine dei (non numeri) primi.

  1. Ahimè quelli che s’impegnano e riescono sono sempre odiati dai fannulloni, o perlomeno da quelli che non riescono ad ottenere gli stessi risultati. Avevo fatto un corso che mi piaceva tanto, mi ci sono impegnata come non credevo sarei stata capace. Ero la prima, orgogliosamente la prima 🙂 i miei colleghi, tutti adulti, non ci mettevano le stesse energie ed erano cominciate le prese in giro. Io sminuivo il mio impegno per cercare di uniformarmi, ma i risultati dimostravano lo studio e la passione che ci stavo mettendo. Peggio per loro, e tontolona io che mi stavo vergognando di essere brava. A distanza di tanti anni i risultati del mio impegno perdurano 🙂

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    • @Luisa: vedere qualcuno che riesce dovrebbe essere uno stimolo all’impegno, e invece succede che si vorrebbero gli stessi risultati senza profondere il medesimo sforzo.

      E’ così da sempre, abbassare gli altri è più facile che elevare noi stessi: migliorare è la vera sfida dell’esistenza, perché fatti non fummo a viver come bruti… 😉

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  2. Non riguarda la socializzazione intesa come nel tuo post e nei post che citi, ma voglio riportare la mia esperienza dell'”essere la più brava della classe”:
    io mi sono ritrovata spesso a far finta di non capire.
    Avevo insegnanti che “lei è da 10, ma studia da 6, quindi anche se si merita 8, le diamo 6 lo stesso, perchè non studia da 10 come potrebbe”.
    Ma hai un’idea di quante volte mi hanno abbassato il voto che mi sarei meritata, con questa lagna?? Non era certo abbassandomi il voto che mi avrebbero incentivato a studiare…
    Così, cambiata classe, cambiati insegnanti, ho iniziato a non far vedere di “essere da 10”. Così non se ne sarebbero accorti ed avrei preso i voti che meritavo, punto e basta. Non avevo voglia di studiare da 10, preferivo studiare il minimo indispensabile e utilizzare il resto del tempo per giocare!
    Idem con i compagni di classe, mi ha reso molte più amicizie far finta di non capire. Fingere di chiedere consigli o spiegazioni agli altri compagni, che si sentivano gratificati nell’aiutare gli altri, allo stesso livello di preparazione.
    Insomma, io sono l’ennesimo caso di quella brava bravissima, che veniva isolata.
    Ho rimediato, a modo mio.
    E sinceramente, questa “tecnica” mi frutta anche nel lavoro attuale, trovo più collaborazione quando chiedo spiegazioni ai colleghi, piuttosto che quando sarei io a doverle dare.
    E per uscire completamente fuori tema, adoro quando vado dal benzinaio “non mi potrebbe cambiare l’acqua del tergicristalli… mi scusi sa, sono una tale imbranata…”
    …soprattutto quando il benzinaio è piacevole a guardarsi 😀 😀

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  3. Cara Diemme, io non ho avuto figli, ma tanti nipoti dei quali ho seguito, ovviamente da zia, i progressi scolastici e poi lavorativi, non è come avere di figli propri, lo so bene, però non sono così ignorante sul tema. Non sono più giovane, ma nemmeno troppo vecchia per dire la mia a mente lucida 🙂
    Io a scuola non ero certo una che splendeva per bravura e neppure per condotta 🙂 pensa che mettevano nel banco con me sempre le ragazze più brave e silenzione della classe, dopo poco più di un mese diventavano peggio di me, chiacchierone, allegre, comunque sempre brave e, soprattutto, pronte ad aiutarmi nelle materie nelle quali non brillavo molto (e non erano poche) … ahahahah
    Tutto questo prologo per dirti che le cose che racconti oggi, accadevano anche quarant’anni fa e si ripeteranno fra altri quarant’anni, con la differenza che i professori che avevo io erano molto più formati e sicuramente più attenti a certe cose, di quelli di adesso. Non voglio colpevolizzare nessuno, ma ognuno di noi deve farsi la propria esperienza, c’è chi subisce e chi fa subire, a scuola come nella vita, è così, non c’è niente da fare. E’ brutto a dirsi, ma anch’io, seppur furbacchiona, ho subito e non poco nella vita, sia a scuola che poi al lavoro ma, ripeto, così è la vita, come è giusto che i genitori devono sì difendere i propri figli, come potrebbe essere altrimenti, ma non troppo, il carattere si forma lottando e vincendo ed anche perdendo! Ora i ragazzi sono troppo difesi dai genitori, la colpa è sempre degli insegnanti, i genitori pensano sempre che i loro figli non possono aver fatto un qualcosa che secondo loro è incredibile, eppure ……..
    Io comunque non ho mai isolato i secchioni, anzi, cercavo di farmeli amici così mi davano una mano, ma per quanto questo ti sembri ignobile, non lo facevo solo per convenienza, anzi tu non sai quanto li invidiavo e con alcuni, dopo tanti anni siamo ancora molto amici!!
    Sai cosa succede? Che ora la società è completamente diversa da una volta. I genitori non sgridano e non castigano i figli altrimenti si traumatizzano, qualche anno fa invece i genitori erano l’esatto contrario di quelli di adesso, i figli avevano sempre torto e gli insegnanti sempre ragione. Non è giusto assolutamente nemmeno questo, ora più che mai, che, purtroppo, abbiamo insegnanti figli di generazioni un po’ sballate (non certo tutti, per fortuna, non sono certo io che fa di tutta l’erba un fascio, come potrei!!!).
    Ho detto la mia e spero proprio di non aver offeso nessuno, non è certo nelle mie intenzioni, ma ho un grande difetto, o dico quello che penso o sto zitta.
    Un’ultima cosa, genitori di adesso, lasciate che i vostri figli facciano la loro vita (difendendoli quando ce n’è bisogno, ovvio, ora la gente è molto più cattiva di un tempo … o forse no), ma devono cavarsela da soli, solo così si formeranno un carattere deciso e saranno, in futuro, sicuri di se stessi, altrimenti avranno sempre, anche da adulti, bisogno dei genitori e noi sappiamo bene che i genitori ad un certo punto della vita non ci sono più.
    Un bacione
    Marta

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    • @dupont: sul fatto dei genitori che difendono a oltranza i figli, non insegnando loro né dovere né responsabilità, e danno addosso agli insegnanti impedendo loro di fare il proprio mestiere non posso che darti ragione! Ho ascoltato molte testimonianze di insegnanti a proposito, e non c’è davvero da invidiarli.

      Però, bisogna dire, che dietro a questi genitori c’è uno Stato che permette loro tanta ingerenza e tracotanza, la dirigenza scolastica generalmente non s’immischia, le denunce volano, e i giudici… mah!

      Ricambio il bacione e buon week end!

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    • @Dupont: abbiamo leggi fatte per coprire delinquenti e fannulloni. Agli insegnanti andrebbe steso un tappeto rosso, e invece sono additati al pubblico ludibrio come nullafacenti, e quotidianamente minacciati.

      Questo Stato si sta facendo un autogol di portata enorme, e chi pagherà il conto saranno le menti e i cuori migliori.

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  4. I lavori di gruppo e la nomina del capogruppo più bravo non è un’invenzione degli insegnanti incapaci ma si chiama cooperative learning e/o peer tutoring. Non ci vedo nulla di male e metto in pratica ogni anno questa strategia didattica in quasi tutte le classi. E’ un modo per far lavorare tutti con tutti e non per far sì che i più bravi vengano sfruttati. I ragazzi non la vivono come un’imposizione, almeno io non ho mai avuto questa impressione. Soprattutto non è una violenza nei confronti dei più timidi o solitari, anzi, li si aiuta a collaborare, se non proprio a socializzare. Perché in fondo, nessuno pretende che in classe si sia tutti amici, si è compagni di classe. Punto. L’amicizia è tutt’altra cosa e quello che si vuole creare a scuola è solo un clima sereno di collaborazione che agevola l’apprendimento. Chi ricorda la propria esperienza come un trauma ha dei problemi che vanno ben al di là della scuola, dei lavori di gruppo, dell’essere il più bravo della classe ecc. ecc.

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    • @Marisa, io non sto parlando di gruppi di lavoro, ci mancherebbe, anzi, sono la prima a sponsorizzarli, e quella sì che è una bella occasione di integrazione e socializzazione, educazione al sostegno reciproco e alla collaborazione, e ben venga il leader positivo, guida preparata del gruppo!

      Sono momenti importanti e formativi, e non ho mai negato questo. Io mi riferivo soprattutto a problemi che ho riscontrato alla scuola primaria, e in misura inferiore anche alle scuole medie, di pilotare le amicizie del bambino, con un uso distorto di un sistema che invece, se applicato correttamente, potrebbe dare buoni risultati.

      Ripeto, parlo soprattutto del compagno di banco, non di un gruppo di lavoro, e soprattutto mi scaglio contro la valutazione che si dà del bambino che con questo compagno imposto può pure non andarci d’accordo.

      Nulla a che vedere con la socializzazione, la scuola che la promuove, il lavoro di gruppo, la possibilità di scoprire nell’altro un tesoro nascosto, e tutte quelle cose che sono state dette, anzi, che MI sono state scritte per dimostrare che ero in torto, mentre sono tutte cose con cui concordo e so benissimo essere giuste.

      Meno d’accordo sono sulla tua ultima affermazione: per un bambino essere separato da un amico e essere costretto a convivere con persona sgradita può essere traumatico eccome! Essere giudicato negativamente dall’insegnante perché non sufficientemente “simpatico”, comunicativo e accogliente, può segnare sì negativamente un bambino, e su questo rimango della mia idea.

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    • Io comunque mi riferivo al commento di Dea sul blog di Monica che hai riportato parzialmente e in cui si parla del lavoro di gruppo come qualcosa di deleterio.

      Io sono convinta che se uno si sceglie un compagno, non dovrebbe mai subire l’imposizione di un vicino di banco diverso. Ma a volte è necessario dividere alcune coppie perché si distraggono. In quel caso, se proprio la richiesta proviene dai genitori o da altri colleghi, preferisco affidarmi alla “sorte” (estraggo i numeri del registro e li abbino): in questo modo tutti hanno la possibilità di sperimentare vicinanze nuove e ciò credo comunque non costituisca un trauma. Rimango della mia idea: i problemi sono a monte e ho potuto constatarlo molte volte. Ovviamente non ho esperienza di bambini delle elementari, mi riferisco ai più grandi.

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    • @Marisa: io l’ho percepito diversamente, mi pare che Dea abbia parlato della Sua esperienza in gruppo come deleteria, e deleteria date le premesse e le aspettative da parte dell’insegnante.

      Mi pare che lei stessa abbia detto che dal punto di vista umano, di rapporti “non didattici” tra lei e i suoi compagni d’avventura, l’esperienza sia stata invece positiva.

      Bene dividere quelli che si distraggono, ma perché si distraggono, perché disturbano, non perché sono amici e non ci si può fossilizzare, bisogna invece “socializzare” con un altro che non è nelle nostre corde…

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  5. Beh, a me davvero non verrebbe mai in mente di recitare la parte dell’ochetta per farmi accettare, di far finta di non sapere, di simulare di non avere capito. Sia perché io sono io e nessuno mi convincerà mai che sia meglio far finta di non esserlo, sia perché essere apprezzata da chi apprezza gli imbecilli non è esattamente la mia massima aspirazione. Poi oltretutto quando vado dal meccanico e non gli dico “ogni tanto sento un rumore non so dove”, bensì “quando sterzo a sinistra c’è un rumore sul giunto anteriore sinistro”, lo sguardo è decisamente ammirato. Se poi risulta che si è rotta la cuffia del giunto anteriore sinistro con conseguente fuoriuscita di olio, l’ammirazione diventa quasi venerazione.

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    • @Barbara: “essere apprezzata da chi apprezza gli imbecilli non è esattamente la mia massima aspirazione”: posso trascriverla e incorniciarla? Ma perché non me l’hai detta anni fa, quando era “un certo capo” a fare le valutazione (questo di adesso non meriterebbe un’osservazione simile 🙂 ).

      Tu hai ragione, ma non mi sento di giudicare chi lotta per sopravvivere (prendila per il verso giusto, e considera che io sono come te). Ricordo un film, mi sembra Superman, in cui l’attrice, che se ne stava tranquillamente leggendo la critica della ragion pura in solitaria, appena arriva qualcuno nasconde il libro e ricomincia a far l’oca: nella vita parlare una seconda lingua è indispensabile! 😆

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  6. Imparare sin dalla tenera età che gli amici sono una cosa e i compagni un’altra di sicuro aiuterà in futuro quando si dovrà dividere il lavoro con qualcun altro … Di sicuro cambiare banco e relativo compagno a rotazione aiuta nel venire a contatto con tutti quelli che ci piacciono e quelli che non ci piacciono (che è diverso dal ‘socializzare’) … Però, vuoi mettere la socializzazione con l’avere l’amica (o come nel mio caso ‘le’ – due – amiche) del cuore a sei anni e dividere con lei/loro pane e cioccolata, i colori, i compiti? Pensa, io ce le ho ancora e, dai miei sei anni, ne sono passati 46!
    In ogni caso, io non ero la prima della classe ma ero comunque bravina … Ho fatto le ricerche di gruppo e i cartelloni che le rappresentavano, ho studiato con i compagni assegnatomi … Ma questo non ha fatto di una classe, una classe unita!

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    • @Lilla: ecc, dopo 46 anni siete ancora amiche: se avessero distrutto quest’amicizia, imponendoti la “socializzazione” con qualcun altro che non era nelle tue corde, e con cui la cosa non sarebbe durate e, probabilmente, neanche decollata, non sarebbe stato un peccato? Non ti avrebbero tolto qualcosa anziché dartela?

      E anch’io, come Luisa, quoto la tua frase “questo non ha fatto di una classe, una classe unita”, e chi sostiene invece che un tale metodo porti risultati diversi, incassi e porti a casa!

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  7. Ironizzo dicendo che io non sono mai stata la prima della classe e chi stava con me lo faceva per motivi diversi dalla mia personale bravura! Tuttavia questo è davvero un serio problema. Questo come tutti gli altri ad esso equiparati. Come chi ha i soldi e viene sfruttato e frequentato solo per la sua grana… chi è bello e considerato solo per portarselo a letto… chi è stupido e preso di mira per ricattarlo…. spetta a noi difenderci… gli altri a volte sono solo dei bastardi.. Luna

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    • @luna: hai inquadrato perfettamente il problema: dei ricchi, dei bravi, dei belli, di chiunque abbia qualcosa che fa gola agli altri.

      Sfruttati, praticamente mai considerate persone degne d’amore per se stesse.

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  8. Leggendo le varie esperienze, riconosco di aver avuto davvero molta fortuna, perchè per me andare a scuola era una festa e mai in nessun anno della mia carriera da studente ho avuto problemi di socializzazione e, in generale, non ho mai percepito che questa fosse vissuta da qualcuno come problema. meno che mai io o altri ritenuti “bravi” abbiamo subito invidie, vessazioni, solitudine da parte di altri compagni. Torno a dire che mi sorprende e mi fa pensare il fatto che oggi, invece, questo aspetto, come pure quello dell’isolamento del più bravo, emerga con forza e non credo che la soluzione possa essere lasciare i ragazzi liberi di fare quello che vogliono, ma anzi è più che necessaria una guida intelligente che possa armonizzare il gruppo.
    Inoltre, mi chiedo se anche il carattere non abbia il suo peso, perchè bisogna anche avere il coraggio di ammettere che qualcuno ha decisamente un brutto carattere!! Nel caso di chi si fa sfruttare la questione è più delicata, perchè ci vuole un certo tipo di carattere anche per opporsi e non tutti ce l’hanno, proprio per questo i bambini hanno bisogno di adulti che sappiano vigilare e indirizzare.

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    • @Monique: anche per me la scuola è stata una specie di paradiso, considerando poi l’nferno che avevo in casa era pure facile! Però l’isolamento forse l’ho subito, dico forse perché non è che me ne sia tanto accorta, se non col senno di poi. Io avevo la mia amica del cuore, avevo i miei mille interessi, e che gli altri mi filassero o meno non è che neanche me ne accorgessi.

      No, la soluzione non è quella di lasciare i ragazzi liberi di fare quallo che vogliono, giusta la guida di un adulto, a scuola poi, giusto che l’insegnante sia un educatore: però, dovrebbero pure essere comprovate le sue capacità di esserlo, onde non fare danni, come invece, spesso e volentieri, mi risulta facciano.

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    • @Diemme: ecco sì, sul comprovare le capacità sono pienamente d’accordo ed è vero che questo aspetto manca, oppure i criteri che dovrebbero attestare l’adeguatezza di un insegnante sono unicamente burocratici e sarebbe invece ora di fare una riflessione seria.
      Purtroppo, a scuola come altrove, non è la meritocrazia che vince se parliamo di verificare i requisiti…

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  9. Non so cosa sia successo ma ho perso l’altro post. Ho recuperato ora.
    Tu sai quanto a me sia caro questo argomento. Da mamma di bimbo di scuola primaria concordo con la tua risposta a marisamoles (e magari ce ne fossero di più come lei!).
    E concordo anche con la tua affermazione sull’autogol del nostro Stato.
    Insomma, sono d’accordo con te. Che novità!!!! 😀

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    • @Patrizia: sì, magari ce ne fossero come Marisa, come Monique e altre insegnanti che ogni tanto ho letto da me e da lei.

      Purtroppo, così, non è 😦

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  10. Sono da incorniciare due frasi “Questo non ha fatto di una classe, una classe unita!” di Lilla e “è più che necessaria una guida intelligente che possa armonizzare il gruppo” di Monique. Si, Monique è stata veramente fortunata a vivere la scuola nel modo in cui ce l’ha raccontata,e se da insegnante cerca di riproporre quello che ha amato da studentessa, non è una brutta cosa. Mi chiedo solo dove stavano gli insegnanti intelligenti quando ero io la studentessa. Dov’erano? si sono mai adoperati per fare di noi qualcosa che almeno assomigliasse ad una classe(sperare nell’ “unita era già troppo)? non mi pare proprio. Eravamo alla sbando e così siamo rimasti. Non ricordo un giorno che fosse uno in cui andare a scuola sia stata un’esperienza gratificante. Ok, la particolarità del mio carattere l’ho già raccontata, ma gli altri? O abbiamo avuto una sfortuna tremenda nel momento in cui è stata formata la classe, o chi ci doveva guidare non è stato all’altezza. E questa è la mia esperienza…

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    • @Luisa: e infatti, sulle capacità di alcuni insegnanti (quanti?) nutro dei seri dubbi. La percentuale di questi sul totale non saprei proprio dirtela. Io ho avuto quasi tutti insegnanti eccellenti, mia figlia ne ha avuti un paio che erano da impiccare per i pollici (meglio per gli alluci), ma per il resto li ha avuti anche migliori dei miei, una mia parente dai suoi insegnanti è stata fatta a pezzi, dalle elementari all’università, ed era una persona del tutto normale, dal punto di vista caratteriale intendo (forse tendente appena appena al timido).

      Credo, cara Luisa, che purtroppo la tua esperienza non sia infrequente.

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  11. Quella del “perché non me l’hai detto prima?” l’ho già sentita parecchie volte. Per esempio quando la collega quarantenne ancora bellissima ma piena di rughe si chiedeva come mai io, quasi sessantenne, praticamente non ne avessi, e io ho detto: “Sai, secondo me il motivo è che non ho mai avuto un marito fra i piedi”. E lei: “Disgraziata, e me lo dici adesso?! Vent’anni fa dovevi dirmelo!”
    Sì, concordo che in casi di emergenza una seconda lingua è indispensabile per sopravvivere, ma – precisando che, ovviamente, neppure io mi permetto di giudicare le scelte altrui – deve essere proprio questione di vita o di morte, altrimenti, per me, non se ne parla proprio.

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    • Se ti capita di convivere con un uomo, o comunque sei in un posto di lavoro, e sei spudoratamente meglio di chi ti sta intorno, in certi casi è meglio soprassedere, girare la testa dall’altra parte e concedere agli altri una piccola soddisfazione, un handicappino piccolo piccolo (a me non me l’hai detto del marito, ma me ne sono comunque liberata prima della prima ruga, tiè! 😛 )

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  12. Mi avrebbero tolto tantissimo!! Anche se le mie amiche non le frequento più molto spesso, in questi 46 anni non ci siamo mai perse di vista e, soprattutto, ci siamo sempre state l’una per l’altra!! Una delle due ha una figlia di esatti 9 mesi meno di mia figlia (messa in cantiere la sera stessa che è nata la mia; dopo averla vista hanno subito detto: “pure noiiiiii”!!) anche le nostre figlie sono amiche per la pelle e ci sono sempre state l’una per l’altra … Pensa che ora che mia figlia è incinta, la sua amica l’ha accompagnata a TUTTE le ecografie fatte finora, facendosi persino cambiare i turni al lavoro!! Quindi, se mi avessero impedito di avere “l’amica del cuore”, non solo avrebbero tolto qualcosa a me, ma pure a mia figlia!! 🙂

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  13. Tornando a temi toccati prima, io credo che il discorso di Marisa fosse un po’ diverso. Ogni tanto sentiamo di ragazzi che si suicidano dopo aver preso un brutto voto o una nota da far firmare, e tutti a scagliarsi contro la crudeltà della scuola, l’insensibilità degli insegnanti ecc. Ovviamente sono tutte stronzate, LA causa non è la nota o il voto, bensì chi ha fatto in modo che la morte fosse preferibile alle conseguenze del portare a casa una nota o un votaccio, o ha messo in testa al ragazzo che se non raggiunge la perfezione è una tale merda che non merita neppure di vivere. Fatte le debite proporzioni, farei un discorso analogo per la questione dell’amicizia: per stare con l’amica del cuore hai a disposizione diciannove ore al giorno, più le ricreazioni, più i cambi d’ora, più circa 160 giorni pieni all’anno. Se lo stare nella stessa classe ma in due banchi diversi ti crea un trauma, ciò significa, per usare quel linguaggio sessantottino che detesto tanto ma ogni tanto serve, che il problema è a monte. Anzi, dirò di più: una tale dipendenza dalla vicinanza fisica con una persona è già di per sé sintomo di un notevole disturbo della personalità, che va seriamente affrontato.

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    • @Barbara: sulla prima parte sono d’accordo, sulla seconda no, ovvero sì, sono d’accordo messa in quel modo, ma non è quello che s’intendeva.

      Non si tratta di aver bisogno fisico di una persona, ma di una “posizione” che agevola la comunicazione (non per niente il discorso è partito proprio da lì).

      La ricreazione, le altre 19 ore, non rappresentano la stessa opportunità. I bambini, soprattutto alle elementari, non hanno grosse possibilità di frequentazioni extrascolastiche, non vivono insieme, e la ricreazione è uno sputo di minuti. E poi, non si tratta di tempo, ma proprio di condividere certe esperienze. Già c’eri quando ho scritto di A(2)? Ora che che non siamo più dirimpettaie, la situazione è cambiata: ci vogliamo sempre bene, siamo sempre amiche, è sempre una grande gioia vederci, ma è un’altra cosa, che ha un decimo, un ventesimo della valenza della situazione precedente.

      Nel mio ufficio, nella stessa stanza, ci sono due gruppi di persone che fanno orari diversi: beh, l’amicizia, l’accordo, si può dire sia per fasce orarie: il periodo di sovrapposizione è più “ufficiale”, nelle ore invece in cui ci sono solo le une o solo le altre si crea una forma diversa di confidenza e di familiarità.

      Il trauma non è il fatto che la persona ci stia a mezzo metro di distanza anziché dieci centimetri, ma che non abbiamo la possiblità di avere un certo rapporto estemporaneo e immediato, che crea intimità. Direi che i disturbi di personalità sono un’altra cosa.

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  14. Ciao, vi racconto cosa mi è successo anni fa. Una delle prof aveva istigato i maschi ad avere contatti fisici con le ragazze più timide, fra le quali la sottoscritta. Lo scopo era deriderci nel momento stesso in cui ci ribellavamo e non stavamo “allo scherzo”. Così era stato. Avevo cercato di scappare via, inutilmente. Risa da parte di tutti inclusa la prof. Io non avevo riso. Questi sono educatori?
    Buona serata.

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    • @Tita, intanto benvenuta. Secondo, sono rimasta senza parole. La tua prof non era “inadeguata”, era proprio una mentecatta cerebrolesa!

      Mi ricorda, anche se in un contesto ben diverso e con persone adulte, quegli odiosi giochi cui, nei villaggi vacanze, gli “animatori” (rompipalle col pedigree) ti costringono (vorrebbero costringerti) a partecipare.

      Prendere una persona per un braccio e buttarla nella mischia, magari a fare giochi scemi e pure sessualmente allusivi, non significa coinvolgere, significa mettere in difficoltà e imbarazzo chi non sa come chiamarsene fuori.

      Certo, lì parliamo di adulti, e l’animatore non è un educatore cui sono affidati, ma lo stile mi pare proprio lo stesso.

      Con me cascano male, ma di un male… prima parlavamo di parlare una seconda lingua, ma abbiare e alla bisogna mordere in certi casi dovrebbe essere la lingua madre 😉

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  15. Non so, sinceramente non mi convince. Nella nostra scuola nessuno ha mai scelto il compagno di banco: i posti li stabilisce l’insegnante coordinatrice di classe e ogni due settimane si cambia. Non mi sembra che ci siano mai stati traumi, né che il sistema abbia mai impedito il nascere e il durare delle amicizie del cuore. Che ci siano esperienze che si possono condividere se si sta in banco insieme e altrimenti no, abbi pazienza, sarà sicuramente un difetto mio, ma proprio non ci arrivo.
    La terrificante esperienza di Tita mi ricorda una cosa che mi ha raccontato la signora che mi fa le pulizie. Quando la sua figlia più piccola era alle elementari, un giorno era alla lavagna, e ha fatto un errore. Quando la maestra se n’è accorta ha detto: “Bambini, fermi tutti che adesso dobbiamo ridere tutti della R.!” Se c’è una cosa sulla quale sono sempre stata addirittura feroce, è il ridere degli errori dei compagni, e questa addirittura invitava a ridere non dell’errore bensì DELLA PERSONA. Come si dice dalle mie parti, coparla sarìa oncora poco.

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    • @Barbara: eppure, se hai letto quello che ho scritto ad A(2), abitare di fronte anziché, come adesso, a due isolati di distanza, ha fatto la differenza.

      Terrificante sì l’episodio che hai raccontato, anche se forse la signora può non averlo raccontato esattamente come accaduto, ma sicuramente non si discostava di molto: soprattutto alle elementari, dove il bambino è più fragile e indifeso, bisognerebbe trovare il modo di rimuovere certe insegnanti e non permettere loro di massacrare la dignità dei bambini; una maestra della primina mi riferiva che il suo scopo era umiliare mia figlia, che si doveva vergognare davanti a tutti: lei però superava se stessa, perché la portava anche nelle altre classi per additarla anche ai più grandi!. Hai perfettamente ragione, coparla saria oncora poco!

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  16. Cara Diemme, peccato che qui non ci sia la possibilità di rispondere direttamente ai commenti, perché mi tocca rispondere qua in fondo all’intervento a dir poco offensivo (e anche abbastanza vigliacco, perché presumeva che “Dea” non leggesse) di Marisa Moles.
    Son sette anni che faccio la blogger e ho sempre visto che c’è qualcuno ansioso di sputare sentenze a caso su persone sconosciute, per giunta tramite il web, partendo addirittura da estrapolazioni di un commento e quindi senza aver capito nulla di quanto hanno detto. Mi chiedo come si possano considerare intelligenti delle persone che giudicano così.
    E così, dopo tanto tempo che non mi succedeva più mi succede ora che di prima mattina mi accingo a fare il viaggio di ritorno dal Trentino a Genova, viaggio già di suo non bello perché siamo tornati in Trentino per il funerale del nonno di mio marito.. e così me lo devo fare pure con questa inca**atura.
    Cominciamo allora, permettimi di rispondere, perché mi pare più che giusto nei miei riguardi: vedo travisate un sacco di cose che mi riguardano, e ora per un enorme equivoco su quanto ho scritto in un commento, passo per la secchiona maltrattata o traumatizzata e anche, secondo la Moles (che si prende delle libertà piuttosto ‘forti’ senza pensare troppo), anche per una che ha ‘problemi ‘a monte’, “che vanno ben al di là della scuola, dei lavori di gruppo, dell’essere il più bravo della classe ecc. ecc.”.

    @MarisaMoles, che cavolo hai capito? Innanzitutto metto in chiaro che non ero né secchiona (ero intelligente e attenta, e sfruttavo quello, perché preferivo uscire di casa piuttosto che stare sui libri) né sfruttata dai compagni, e che dal punto di vista sociale la scuola NON è stata un trauma per me, e tanto meno il fatto di essere brava: la mia bravura mi ha procurato fin dalla elementari il rispetto di tutti i miei compagni di classe, grazie a Dio, e il carattere m’ha procurato amici, e nessuno pretendeva che gli facessi i compiti!
    Alle scuole medie alcune professoresse applicavano appunto il Cooperative Learning, e nessuno mi toglierà mai dalla testa che è un metodo fallimentare.
    Ho raccontato in quel commento dell’insensatezza del metodo, NON perché io fossi problematica o ne fossi ‘traumatizzata’ (sì aspetta.. si vede che non mi conosci), ma perché, come ho specificato nel commento originale, non ha mai funzionato in tutta la classe (suddivisa in gruppetti di 4), per tutti e due gli anni in cui è stato applicato (al terzo è stato smesso, per tentare di raccogliere i cocci della classe intera!).
    Il Cooperative Learning prevede (trovatevi un qualsiasi sito web che ne parli) un “miglioramento reciproco dell’apprendimento” degli studenti: ora io personalmente mi sono trovata caricata di tre compagni dai voti sotto la sufficienza e non vedo dove fosse la reciprocità.
    Il fatto è che nemmeno io potevo ‘insegnare’ a loro come apprendere (ma davvero, vi rendete conto di quanto è assurdo che degli alunni debbano ‘mediare’ le lezioni ad altri, senza sapere come fare?): come faccio a trasmettere ai cervelli altrui il funzionamento dei miei neuroni?
    Me lo chiedevo allora, qualcuno tanto saccente, Marisa Moles, me lo spieghi adesso!
    Se io una lezione la capivo al volo e riuscivo ad applicarla subito, cosa potevo fare coi compagni che non avevano capito un tubo?
    E se non avevano capito un tubo, di chi era poi la responsabilità? Forse di chi non sapeva spiegare bene, o forse i compagni non avevano la capacità di capire e necessitavano di un metodo diverso d’insegnamento.
    E non si tratta nemmeno di una questione di “Quantità”: sarebbe stato lo stesso se avessi dovuto ‘insegnare’, o ‘rispiegare’ anche a un solo compagno!
    Pensi non ci abbia provato? Purtroppo ci provavo ogni giorno, ma non c’era verso, e per togliere una volta per tutte l’equivoco che io fossi ‘maltrattata’ dico subito, anzi ho già detto nel commento originale, che la prima solidarietà ce l’avevo proprio dai compagni di sventura, ovvero, sia quelli che avrei dovuto ‘trainare’ (che si rendevano conto di non riuscire a capire quello che io capivo al volo, e vedevano l’inutilità di quell’esperienza), sia quelli degli altri gruppetti di lavoro, che vedevano lo stesso fallimento nei propri gruppi, e una grande perdita di tempo.
    Il tempo perso in questa stupidata del cooperative learning era una delle cose più esasperanti: infatti eravamo sempre indietro (tutta la classe intendo!) coi programmi.
    E un’altra cosa forse non s’è capita, anche se l’ho detta già, sempre nel commento originale: NON sto parlando di ‘socializzazione’, ma del ‘metodo di lavoro’, e ripeto che è assurdo considerarle la stessa cosa. Sono due cose diverse!
    Personalmente non avevo alcun problema a socializzare, ma TUTTI gli alunni avevano problemi in classe col cooperative learning!
    Lo so, questo faceva rabbia soprattutto all’insegnante che lo sosteneva di più, e che per i primi due anni ha cercato di dare la colpa a noi.
    Poi TUTTI gli insegnanti a metà del terzo anno sono stati d’accordo nel lasciar perdere il metodo, perché stavano rallentando l’apprendimento e abbassando anche il rendimento dei migliori!
    Nel mio caso, anche se ottenevo ancora ottimi voti, ero molto stressata, perché non rendevo alla velocità che m’era sempre stata propria (ho imparato spontaneamente a leggere a 3 anni, scrivere e fare conti a 4: e per l’ennesima volta, questa cosa non mi ha affatto rovinato i rapporti con gli altri! Arrivata alle elementari suscitavo ammirazione anziché livore..).
    Tornando alla socializzazione, tanto per far capire quanto siano due cose diverse, ‘socializzare’ e ‘lavorare in gruppo’, il cooperative learning ci stressava tutti, ma in compenso mi ha procurato proposte di “metterci insieme” da parte di tutti i maschi con cui ho ‘lavorato’, regalandomi così una discreta quantità di fidanzatini.
    Ora, se questa è lo scopo serio di questo metodo… allora per me è stato un successo!
    Qualche problema ce l’ho avuto, ma con l’insegnante d’italiano, quella che più sosteneva il cooperative learning: io ero una ragazzina che, come si suol dire, “rispondeva”, ovvero dicevo quello che pensavo agli insegnanti. Ammetto che sarei stata anche un po’ arrogante, ma ero beneducata e soprattutto non ero stupida, quindi mi trattenevo. Io osservavo e mi facevo le mie idee e avevo anche un caratterino promettente, e avevo detto più volte alla professoressa, in classe davanti a tutti, che le cose non funzionavano (civilmente ed educatamente). Da cui, il famoso episodio della professoressa che disperatamente, poveraccia, davanti al SUO fallimento, durante una mia assenza disse agli altri di non prendermi ad esempio.
    La reazione degli altri fu di riferirmelo, e continuare a pensarla come me. La verità è che non prendevano esempio da me, ma stavano tutti vivendo sulla propria pelle dei seri problemi con questo metodo, e soprattutto quelli più bravi e quelli pieni di insufficienze. I mediocri si limitavano a vedere il programma rallentato.
    Non per niente prima della metà del terzo anno i docenti smisero l’esperienza del cooperative learning, altrimenti portavano all’esame una classe a pezzi e un programma non finito.
    Per completare la mia precisazione aggiungo che non ho mai pianto né mi sono lamentata a casa (non ne avevo motivo onestamente, ne avevano maggiore motivo quelli che avevano un rendimento pessimo e non miglioravano, anzi). I miei genitori andavano sempre alle udienze, ma non si intromettevano nelle mie faccende di scuola, sia perché il mio rendimento non li preoccupava sia perché sapevano che ero in grado di sbrigare le mie cose da me poiché, appunto, non ero affatto ‘problematica’ sotto nessun aspetto, né di socializzazione, né d’amicizia, né di rendimento, né qualsiasi altro genere di problema la Moles avesse in mente.
    Il cooperative learning, nella teoria, sostiene che si hanno “migliori risultati degli studenti” e “maggiore benessere psicologico”, ma le ritengo, appunto, teorie e nulla più: posso assicurare che in TUTTA quella classe erano andati peggiorando sia i risultati sia il benessere degli studenti, e quelli che ne avevano ricavato più disagio guarda caso erano proprio quelli che andavano male a scuola e avrebbero dovuto trarre qualche beneficio da questo metodo, ma non fu così: erano i più disperati!
    Una volta usciti finalmente dalle medie tutti più o meno trovammo la nostra strada, e, dato che mi porto dietro ancora amici delle medie, ci siamo più volte detti in questi anni quanto è stato brutto quel periodo di studio, proprio per via dello studio, non dei rapporti sociali.
    Io personalmente mi sono infilata nel liceo classico, che nella sua severità mi sembrò una boccata d’aria fresca: c’era una meravigliosa selezione naturale, per cui dopo il primo, massimo secondo anno, metà degli iscritti alla classe iniziale volarono verso altre scuole più facili. Il resto fu una passeggiata. Non ho avuto mai problemi, signora Moles, né prima né dopo il cooperative learning, ho fatto felicemente liceo e università, socializzando anche troppo, sempre.
    C’è un’altra cosa: che male c’è a essere individualisti quando si lavora?
    Non tutti i lavori del mondo, non tutti i lavori necessari agli altri, presuppongono di essere ‘inquadrati’ in un team: un idraulico lavora da solo (eppure quanto è necessario!), un elettricista spesso pure (il mio amico Giorgio, che era l’ultimo della classe, è stato nel mio ‘gruppo di lavoro’ e mi scriveva e dedicava poesie, ha scelto di fare proprio l’elettricista appena finite le medie, non ne poteva più delle scuola!). Chi lavora nel campo dell’artigianato o dell’arte fa un lavoro solitario. Molti liberi professionisti spesso anche, nel senso che non hanno superiori né per forza lavorano in team.
    Non comprendo l’accanimento nel voler ‘educare’ i ragazzi come se dovessero per forza un giorno essere degli ingranaggi di qualche ‘azienda’: non tutti scegliamo questo tipo di lavoro, molti di noi hanno scelto percorsi lavorativi felici in cui rendono conto solo alla Legge, alla propria coscienza e ai propri clienti. Io appartengo a questo tipo, mio marito anche. La socievolezza c’entra come i cavoli a merenda: un conto è il metodo di lavoro che ci è più congeniale, un altro la capacità di socializzare in genere. Ho conosciuto molte persone appartenenti equamente a entrambe le categorie. Dove sta il problema?
    Per favore Diemme, dato che un po’ sei responsabile di avermi trascinata in questa situazione (abbastanza spu**anante), fà in modo di far valere questo mio diritto di replica. Grazie.

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    • Cara @Dea, rispetto il tuo diritto alla replica nonostante la forma in cui hai attaccato Marisa, che per me è una cara amica, anche se capisco ti sia sentita attaccata per prima. Per questioni per me dolorose avvenute anni fa su questo blog, oramai la scelta di redazione è di censurare tutte le espressioni di disaccordo che vadano oltre “La penso diversamente”, “Sono in totale disaccordo” e così via.

      Capisco però che questo è un caso un po’ eccezionale, perché sei stata tirata in ballo da me direttamente all’interno del post, e quindi tutto quello che è stato detto è suonato come un attacco personale e giustamente hai reagito.

      Ora, premesso che non ritengo che Marisa abbia espresso il suo pensiero pensando che tu non lo leggessi (anzi, credo che, come me, abbia dato per scontato il fatto che ti arrivasse, se non altro per la notifica di questo post su quello di Monique in cui intervenisti), per quanto riguarda il lavoro di gruppo e tutte le altre osservazioni che hai fatto sono pienamente, direi totalmente d’accordo, con buona pace di tutti i docenti qui intervenuti che, pur essendo in alcuni casi persone diversissime tra di loro, per carattere, esperienza e modalità d’approccio, di fronte a questa problematica hanno fatto quadrato, mentre tutti gli altri mi pare abbiano concordato con la mia – e tua – differente posizione.

      Peraltro, mi era sfuggito totalmente un particolare, che voi eravate costretti a lavorare in gruppo in pianta stabile, mentre io, dichiarandomi favorevole all’esperienza del lavoro di gruppo mi riferivo a fatti sporadici e occasionali, non alla violazione sistematica del diritto a studiare come accidente ci sentiamo, come è nelle nostre corde secondo le nostre capacità e inclinazioni.

      Avevo un’amica che cantava in un coro e mi spiegava come, per cantare nel coro, ti dovessi uniformare. Le voci soliste, a cantare nel coro, la voce se la rovinavano e qualcuna, per conservarsela, aveva imparato a muovere solo le labbra facendo finta di partecipare.

      Questa non è una metafora, è un fatto reale: vogliamo appiattire le grandi voci di tenori e soprani per renderle parte del coro? Perché è questo che mi pare si voglia fare con un lavoro di gruppo concepito come l’avevano concepito i tuoi insegnanti.

      E sono d’accordo anche sul “dov’è la reciprocità” quando il gap è tanto forte. Quando io dovevo fare un lavoro di gruppo con i miei compagni, non si trattava di guidare, ma di fare tutto il lavoro. Devo dire che qualche risultato con loro l’ho ottenuto, qualcosa sono riuscita a trasmettere ed effettivamente la spinta c’è stata, e ne sono felice, vederli risalire è stata per me una gioia e una soddisfazione, ma dov’era la reciprocità? Era tempo e impegno che regalavo loro, con tutto il cuore, ma senza nessun ritorno, né didattico né amicale (che i pomeriggi tolti ai miei studi, che recuperavo di notte, i loro migliori risultati, non è che valessero mai un invito a un cinema, perché io evidentemente, ai loro occhi, ero di un altro pianeta).

      Rispondo anche a Barbara, per il fatto del problema è a monte. Se con una piccola spinta uno cade da un burrone, sono d’accordo che il problema è che era sul ciglio del burrone, ma non è un buon motivo per non evitare di dargliela quella spinta. Questo non deve trasformarsi nella scuola inutile e buonista che abbiamo avuto modo di vedere, il sei politico (o che per esso) e la selezione zero, ma non può neanche trasformarsi in una cecità totale che ignori le caratteristiche e le peculiarità di un ragazzo del quale la scuola non è autorizzata a lavarsi le mani perché sono problemi pregressi.

      Insomma, se io non sono colpevole di una situazione, non è un buon motivo per non prendersela a cuore: se uno è a terra, il mio dovere di soccorrerlo esiste anche se non ce l’ho buttato io. Ma buttarmi anche io non aiuta. Vivere in ginocchio, o sdraiato, per “pareggiare” la situazione, non mi sembra decisamente un’idea geniale.

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  17. PS- Ripeto qui, per conoscenza della signora Moles, il brano del filosofo Henry David Thoreau, che avevo citato nel commento originale: “Se un uomo non tiene il passo coi suoi compagni, forse è perché ascolta un altro tamburo. Lasciate che marci alla musica che sente, qualunque ne sia il ritmo”.
    Il riformismo di Thoreau partiva dall’individuo, prima che dalla collettività (e non è stato l’unico grande pensatore a dire ciò). E sosteneva la disobbedienza civile, laddove la collettività “va contro la coscienza e i diritti dell’uomo, ispirando in tal modo i primi movimenti di protesta e resistenza non violenta.”
    Il cooperative learning sostiene esattamente il contrario (“non può esistere il successo individuale senza il successo collettivo”). Ovviamente per me quel che sostiene la teoria del cooperative learning è assurdo, ritengo che sia elementare e lapalissiano partire senz’altro dall’attenzione verso l’individuo per avere una collettività funzionante.
    Quindi non vedo come chi mette in pratica questo metodo possa ritenersi nella ragione assoluta, visto che al mondo, per fortuna ci sono tante scuole di pensiero (e pure illustre). Buona giornata.

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    • @Dea: concordo pienamente anche col PS.

      Ti invito solamente, se vorrai tornare tra le mie pagine, cosa che mi farà immensamente piacere, a evitare gli attacchi frontali. Le persone che sono qua sono tutti amici, ognuno chiaramente con le proprie idee, e vederli attaccati è per me un dispiacere a livello personale.

      Per quanto invece riguarda il dissenso da tutto quello che diciamo, sentiti liberissima di esprimerlo e rimanere accolta a braccia aperte.

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  18. Cooperative learning e dintorni.
    Una decina d’anni fa mi è venuta l’idea di un progetto particolare: osservando il fatto che in tutte le classi ci sono alunni particolarmente dotati, interessati, volenterosi, e che questi sono sistematicamente lasciati indietro, l’idea era di fare, al pari della classe con indirizzo musicale, una classe per italiano (io insegnavo italiano come seconda lingua in una scuola in lingua tedesca): chi fosse stato interessato a lavorare di più avrebbe fatto domanda, i candidati, esattamente come quelli per la classe musicale, sarebbero stati sottoposti a delle prove e con i migliori si sarebbe costituita una classe che avrebbe fatto sette ore di italiano la settimana invece di cinque, partendo da un livello piuttosto alto e sostanzialmente omogeneo, permettendo così a questi ragazzi di avere lezioni al proprio livello e risultati corrispondenti alle loro capacità e ai loro interessi. Il progetto è stato approvato, ma è andato in scena fortemente zoppo, a causa del feroce boicottaggio di quasi tutte le maestre delle elementari che, terrorizzate all’idea di veder indirettamente giudicato il proprio lavoro tramite i risultati ottenuti dai loro alunni, hanno immediatamente dato il via a una campagna a tappeto per convincere scolari e genitori a non fare domanda. Risultato: a fronte di oltre ottanta famiglie che si erano dichiarate interessate a iscrivere i propri figli a questo progetto nel corso di un sondaggio esplorativo, ci sono state poi 23 domande. A questo punto sono entrate in scena le madonne (http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2005/10/13/le_madonne.html), che pretendevano di ammetterli tutti. Ho dovuto lottare con tutte le mie forze per ottenere di lasciarne fuori almeno tre, incapaci perfino di capire, dopo cinque anni di italiano a cinque ore la settimana, una domanda del tipo “Come ti chiami?” Ce n’erano anche altri cinque a un livello catastrofico, lontanissimi dalla sufficienza, assolutamente incapaci di parlare, di capire, che praticamente non sapevano niente di italiano, ma sono stata costretta a tenermeli perché “Sono tutti motivatissimi”. “E tu come fai a saperlo?” “Sono venuti a fare l’esame accompagnati dalla mamma”. E come diavolo sarebbero dovuti venire bambini di dieci anni che arrivavano da paesi lontani? Vabbè. Poi è risultato che alcuni erano venuti unicamente perché aveva fatto domanda il compagno di banco, altri perché li avevano iscritti di forza i genitori proprio per il fatto che erano debolissimi e speravano di tirarli su facendogli fare più ore di una materia in cui erano totalmente negati e per la quale non avevano il minimo interesse. Ovviamente, essendoci molta disomogeneità e, da parte di parecchi, scarsissimo interesse, immediatamente sono emersi grossi problemi. E allora sono intervenute “per aiutarmi” le suddette madonne. Che mi hanno imposto quello che per loro era l’unico possibile modo di fare lezione, ossia il famigerato cooperative learning. E una volta la settimana avevo in classe una di loro che seguiva tutta la lezione e poi nel pomeriggio la dovevamo analizzare insieme: per due ore, quattro ore, a volte anche sei sette ore. La prima regola era che io non dovevo assolutamente parlare. (Voleva a tutti i costi portarmi a vedere una lezione di un insegnante che era un autentico campione in questo campo: entrava in classe, andava alla lavagna, scriveva le consegne per quella lezione, gli scolari, in gruppo, cominciavano a lavorare, se uno aveva un problema andava a un pannello e metteva accanto al proprio nome una molletta di colore diverso a seconda del tipo di problema… un’ora intera senza che nessuno pronunciasse una sola parola. Già solo a scriverlo mi viene ancora freddo alla schiena). Mai. Per nessuna ragione. Mi cronometrava il mio tempo parola: “Hai parlato per undici minuti: troppi”. “Nove minuti: ancora troppi”. “Sette minuti: devi calare ancora”. Va da sé che in quei sette minuti erano compresi il saluto, la domanda manca qualcuno, eventuali spiegazioni su lavori o esercizi mai fatti prima… E tutta la lezione si doveva svolgere con lavori di gruppo o a coppie, la lezione frontale totalmente cancellata. E io non dovevo intervenire MAI. Ovviamente i miei scolari erano tutti di madrelingua tedesca, in casa parlavano tedesco, guardavano la televisione tedesca, nei negozi dal medico in banca si parlava esclusivamente tedesco: l’unica persona di madrelingua italiana che frequentavano ero io, ma io non avevo il diritto di parlare, non avevo il diritto di intervenire nei loro dialoghi, soprattutto, qualunque cosa sentissi, mi era categoricamente vietato correggerli (“si frustrano”), mi era categoricamente vietato informarli che avevano sbagliato (“si avviliscono”), mi era categoricamente vietato pronunciare la parola “no” (“si bloccano”). Dovevano correggersi reciprocamente, imparare l’uno dall’altro e basta. La faccio breve, anche perché l’ho già fatta lunga abbastanza. Il primo effetto è stato che, nonostante avessimo sette ore invece che cinque, ossia il 40% in più, siamo arrivati a fine anno che ci mancava quasi mezzo programma. Il secondo è stato che, proprio per il fatto che si trattava di un progetto particolare, a fine anno c’è stata una valutazione “scientifica”, che ha inconfutabilmente dimostrato che non solo nessuno aveva fatto progressi rispetto all’inizio dell’anno, ma addirittura tutti, senza eccezione, erano radicalmente regrediti: capivano meno, parlavano meno, possedevano meno lessico e facevano molti più errori. Quanto a me, dopo un intero anno passato a sentirmi dire un giorno sì e l’altro pure, qualunque cosa facessi, che avevo sbagliato tutto, che qualunque cosa succedesse era colpa mia, che ero l’unica responsabile di ogni fallimento, sono caduta in uno stato di depressione che le vacanze estive non sono bastate a recuperare del tutto. Quando sono andata al mare ho passato una intera settimana chiusa in casa, letteralmente incapace di affrontare il mondo.
    L’anno dopo ho mandato tutti al diavolo e ho ripreso a fare lezioni “vere”. Naturalmente ciò non è bastato a rimediare a tutti i danni dell’anno precedente, ma almeno siamo riusciti a progredire un po’.

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    • @Barbara: a questo punto sono curiosa si andare a leggere il tuo post sulle madonne…

      Per quanto riguarda il tuo racconto, non mi stupisce per niente: vogliono boicottare, poi vogliono per forza, poi vogliono metterci bocca, poi se non va la colpa è di qualcun altro. Mi dispiace solo che tu ci sia andata in depressione, davvero non meritano che ci rimettiamo la salute, anche se capisco che a volte non se ne possa fare a meno, e anch’io non è che mi sia salvata.

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  19. Cara Diemme,
    non ci conosciamo e anche io avrei preferito fare conoscenza in un modo migliore.
    Sono appena tornata da un lungo viaggio dal Trentino e sono molto stanca e ho mal di testa, ma vorrei aggiungere una cosa che mi preme moltissimo.
    Non sono affatto contenta che un mio commento sia stato strumentalizzato e distorto per esprimere altri concetti rispetto a quello che ho effettivamente detto io.
    Da Le lune di Sibilla ho parlato esclusivamente del METODO DI LAVORO usato nella mia classe alle medie, invece mi trovo a essere protagonista involontaria di un post in cui io non c’entro per nulla, che s’intitola ‘la solitudine dei primi’, ed è taggato, fra l’altro, ‘isolamento del secchione’, solitudine, isolamento, etc… E dove si parla di episodi di ‘bullismo’ vero e proprio, di esperienze infelici coi compagni di classe, di solitudine appunto.. Bè, io non ho dovuto sperimentare nulla di tutto ciò e ho avuto una vita scolastica socialmente felice, quindi non posso gradire di trovare le mie parole e il mio intervento (messo in un altro blog, per altro argomento) abusati per esprimere cose che vuoi esprimere tu, ma che non ho mai espresso io e in cui non mi riconosco!
    Ora, io non ho MAI nominato da Monica la parola solitudine o isolamento nel mio commento, non ho nemmeno espresso questo concetto proprio perché non mi riguarda e non mi ha riguardata assolutamente mai: qui nel tuo post invece le mie parole sono inserite in un contesto che parla di persone isolate o addirittura maltrattate dai compagni, come se io fossi l’emblema di ciò.
    Questo è scorrettissimo, perché non ho affatto avuto esperienze di questo genere, e il mio commento non toccava per niente queste tematiche.
    Per di più, mi espone appunto qui ai commenti di gente che partendo dal tuo post (a cominciare dal titolo) spara giudizi su di me come persona, indicandomi avventatamente come ‘problematica’, e sto usando un eufemismo, la Moles è stata pesante, se non te ne fossi accorta (non si può negare che sia accaduto proprio questo qua dentro!).
    Ora pensa un po’ se fosse capitato a te e a un tuo commento, di essere volutamente travisata in questo modo!
    Io ho due blog, ci sono moduli contatti, mi si poteva chiedere almeno un parere e avvisarmi in che contesto e in che modo sarebbero state usate le mie parole.
    Questo lo considero un comportamento civile fra blogger.
    Però io penso che qui sia successo qualcosa di molto simile a quello di cui tu ti lamenti. Ovvero, io come blogger non faccio parte del ‘giro’ di ‘amiche’ di blog, quindi nessuno mi ha usato la cortesia di chiedermi se le mie parole potevano essere usate e come. Le mie parole sono state usate e distorte con leggerezza e altre persone hanno pensato bene di insultarmi, tanto non sono del ‘giro’: pensaci bene e onestamente, se fossi stata del giro mi avreste usato una certa correttezza e cortesia, giusto? Lo dimostri dicendo che Marisa Moles è un’amica -quindi può permettersi tutto? – e tu probabilmente non avresti usato il mio commento in questo modo se fossi stata ‘amica’ di blog anche io!
    Hai messo in pratica la logica del branco di cui ti stai lamentando!
    Una mail prima del post non costava niente, visto che da qualche tempo sono pure in pausa dal blog e oggettivamente non posso controllare in tutta la blogosfera se qualcuno va usando i miei commenti in modo errato.
    E pensare che ho messo quel commento da Monica perché mi aveva scritto circa la mia assenza, e che ero “una persona con cui mi piaceva confrontarmi”, quindi gradivo farmi viva in qualche modo.
    Se avessi immaginato le conseguenze del mettere un ragionevole commento… d’ora in poi mi toccherà avere paura anche di questo.
    Io comunque ho un nick che voglio mantenere e un blog che non voglio chiudere, a causa di essere stata arbitrariamente esposta altrove a giudizi sbagliati su di me, quindi ti chiedo gentilmente di tenermi fuori da questo post.
    Rileggi bene quel che ho scritto da Le lune di Sibilla, e vedrai che la mia presenza come protagonista in questo post non è opportuna, non è pertinente, non è stata discussa con me e tutto quel che ho detto là non c’entra con i messaggi che volevi dare tu.
    Il mio non è un attacco frontale, sto solo chiedendo di non essere usata in modo scorretto (alla stessa stregua dei ‘secchioni’ di cui parli nel post).
    Grazie

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    • Cara Dea,

      la tua reazione mi stupisce non poco, tanto da non sapere da dove cominciare a risponderti, ché di carne al fuoco ce n’è tanta. Intanto rigetto l’accusa di scorrettezza: quando tu pubblichi una cosa, per l’appunto la pubblichi, la rendi pubblica, e chi la riprende ha il solo obbligo, semmai, di citare la fonte. Le tue parole non sono state manipolate, sono state copincollate tali e quali come le hai scritte tu, e precisando che si trattava solo di stralci e invitando i lettori ad andare sul blog di Monique a leggersi il tuo pensiero per intero.

      Considera che i miei post vengono riportati in continuazione altrove, su social network, su giornali, cartacei e on line, e non è che nessuno mi abbia mai detto niente, e a me è sembrato normale così. Magari, grazie ai rimandi, l’ho scoperto dalle statistiche, ma non sempre, chissà quanta roba mi sono persa, e non mi è mai passato per la testa di pensare fosse una scorrettezza, anzi, l’ho ritenuto un onore!

      Nel post si parla d’altro rispetto al tuo problema, sicuramente, si parla “anche” di altro, e i tag si riferiscono all’insieme degli argomenti trattati, non a te e alle tue singole parole che, ripeto, ogni lettore interessato poteva leggersi nel contesto originale e nella versione integrale.

      Rigetto ancora al mittente l’accusa di “casta”: non hai usato questo termine, ma insomma, io così l’ho capita quando hai detto che le “amiche” qua avrebbero un trattamento diverso da quello che riservo agli altri. Quelli che arrivano qui per partecipare alla discussione per me sono tutti “blogamici” (mi scuso per l’uso eccessivo delle virgolette, ma a quest’ora non me la sento di chiarire ogni termine e fare i dovuti distinguo), poi ci sono ovviamente quelli che conosco da più tempo, ma qui non ci sono cittadini di serie B.

      Se però tu hai proprio ritenuto le tue parole manipolate – manipolate no, visto che le ho riportate tali e quali, diciamo inserite in un contesto da te giudicato fuorviante – hai avuto tutta la possibilità di intervenire e chiarire con dovizia di argomenti e di particolari, più che sufficienti a fugare ogni dubbio.

      Per tutto il resto, mi chiedi di tenerti fuori dalla discussione: io, al massimo, posso impegnarmi a non pubblicare più cose tue, se questo – che per me invece era un dare importanza alle tue parole e renderti onore – ti deve far sentire non coinvolta ma strumentalizzata: per me non c’è problema, ce ne sono tanti di blogger che ignoro, uno più o uno meno non mi fa nessuna differenza.

      Buona serata.

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  20. @ Dea Silenziosa

    Replico a questo commento che reputo davvero indelicato e inopportuno solo per rispetto all’amica Diemme.

    Premesso che non ho letto l’intero intervento sul blog di Monique ma solo gli stralci che Diemme ha qui riportato con l’esclusiva intenzione, almeno secondo la mia interpretazione, di continuare la riflessione iniziata nel suo post precedente e non esplicitamente per “analizzare” il tuo caso, puntualizzo quanto segue:

    1. Diemme ha già risposto alla prima illazione: è più che evidente che abbia dato per scontato il fatto che ti arrivasse, se non altro per la notifica di questo post su quello di Monique in cui intervenisti. Io e Diemme, proprio perché siamo amiche, ci capiamo al volo. In ogni caso, chiunque abbia un minimo di esperienza sa questo genere di cose, mi stupisco, quindi, che in otto anni di vita da blogger tu non l’abbia nemmeno ipotizzato (probabilmente perché, avendo interpretato in modo del tutto errato il mio commento, ti eri creata già dei pregiudizi, a meno che non sia una pratica diffusa da parte tua comportarti in modo “vigliacco” parlando di persone che immagini non ti leggano. Ovviamente la mia è solo una supposizione).

    2. Che cos’ho capito io? A me sembra che tu non abbia capito quello che intendevo. Partendo dal presupposto che Diemme, citando parte del tuo commento da Monica, facesse sue le tue opinioni, e visto che nella replica del 15 marzo 2013 alle 4:36 PM ha scritto:
    «@Marisa, io non sto parlando di gruppi di lavoro, ci mancherebbe, anzi, sono la prima a sponsorizzarli … », citando il tuo commento sui lavori di gruppo intendevo solo ricordarle che era stata lei a riportare le tue parole e che ritenevo, quindi, condivise da parte sua le tue opinioni.
    Certamente NON mi riferivo alla tua esperienza, non avendo nemmeno letto il tuo intervento completo sul blog di Monica, e comunque in quel caso avrei certamente replicato sul quel blog e non qui.

    3. Su tutto il discorso fatto riguardo al cooperative learning non intendo replicare. Mi limito ad osservare che quella da te descritta è stata un’esperienza fatta con ragazzini delle medie e si è protratta nel tempo, mentre io mi riferivo ad esperienze brevi, giusto un modulo di 2-4 ore, e comunque rivolto a dei liceali, per approfondire un argomento o mettere in pratica delle abilità diverse rispetto a quelle richieste solitamente.

    Per il resto, io avrò meno esperienza di blog, visto che ne ho aperto uno quattro anni e mezzo fa e l’altro due anni e mezzo fa, ma la mia esperienza di insegnamento si avvia al compimento del 30° anno.

    Infine, non pubblico la copia del commento lasciata sul mio blog, visto che ho già replicato qui. Quanto all’altro commento, non pubblicherò nemmeno quello perché scritto con l’unico scopo di ferirmi, partendo, tra l’altro, da un’errata interpretazione delle mie parole, cara signora Dea Silenziosa.

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    • @Marisa: la signora cui hai risposto ha postato qui un commento aggressivo, pieno di accuse e livore che non intendo pubblicare, parimenti alla tua decisione di non pubblicare quelli lasciati da te. I blog, questi nostri blog, sono a mio avviso dei luoghi tranquilli dove scambiare quattro chiacchiere serene tra amici, parlando del più e del meno, sia pure esprimendo pareri diversi.

      Per amor di pace e gesto di distensione ho rimosso i tag, ma non è escluso che ce li rimetta. Pensavo giusto che, poniamo per esempio, qualcuno scrivesse “Come sostiene Diemme, ognuno è responsabile delle proprie azioni” in un post che parla di delinquenza, taggato “prostituzione, spaccio di droga, delinquenza comune” io non mi sentirei minimamente offesa o toccata da quei tag.

      Sono andata pure a rileggere il mio post, dove le sue parole sono state riportate unicamente per sostenere quanto possa essere errata una simile impostazione del lavoro in classe, punto. Sono state riportate avallandole e condividendole e, per massima espressione di rispetto ho premesso “Leggete da Monica l’intero intervento di Dea, perché estrapolarne una parte può alterare il messaggio che voleva trasmettere lei, ma io qualche punto lo vorrei riportare:”.

      Questo l’ho scritto come premessa generica, non che pensassi davvero che le sue parole potessero travisate, chiare com’erano, e se lo sono state non è certo colpa mia. Faccio presente che spesso, nelle selezioni, vengono usati dei test di comprensione perché c’è gente che non è in grado di capire neanche se legge “Mario è andato a comprare il latte”, e di questo non si possono decisamente accusare terze persone.

      Comunque, il fatto che io e te, che abbiamo espresso pareri contrari, siamo qui a chiacchierare, e un’altra persona con la quale mi trovavo pienamente d’accordo sia qui ad aggredirmi, la dice lunga sulle modalità di rapportarsi agli altri delle persone stesse.

      Tutto questo per dirti che, se la signora cui ti rivolgi vorrà rispondere al tuo commento, dovrà farlo in altra sede perché qui, come mi sono impegnata a fare in un altro intervento, la signora sarà ignorata in sæcula sæculorum.

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  21. Vedo interventi fiume, che sono sicuro saranno molto interessanti, che però non ho tempo di andarmi a leggere, se voglio, a mia volta, lasciare un piccolo contributo a questa discussione.
    Anch’io, almeno per certe materie, ho avuto occasione di far la parte della persona trainante, come è inevitabile che capiti in ogni gruppo impegnato in attività che comportano studio, comprensione ed applicazione, al fine di fornire risultati poi valutabili.
    Premesso che un certo senso della correttezza mi rendeva un po’ restio a far vivere di rendita qualcun altro, a me, nella mia timidezza di quei tempi, bastava e gratificava il bel voto, magari pure il riconoscimento dell’insegnante, tanto, coi compagni di classe, o si andava o non si andava d’accordo lo stesso.
    Piuttosto, una lezione imparata col tempo, al constatare l’inverso impiego (rispetto al loro impegno e risultati scolastici) di colleghi di scuola, al lavoro su una stessa azienda, mi ha fatto considerare relativa la misurazione che può dare la scuola e questo lo ripeto a chi ho occasione di consigliare, per non pensare che il voto sia tutto, specie se per esso si trascurano altre occasioni di crescita umana e sociale.
    Con tutto ciò vorrei comunque esprimere tutta la mia comprensione alla carissima @Sissi, per la sua generosità e disponibilità, anche verso chi non la merita.
    Un abbraccio forte a te amica mia, con un affettuoso augurio di buona settimana!

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    • Eccomi, ho riletto il tuo commento, che chiaramente avevo già letto (anche se i tuoi li approverei sulla fiducia 😉 ).

      Forse la mia omissione di risposta è stata freudiana, nel senso che per me è una cosa ben triste vedere poi come i risultati scolastici, la preparazione in genere, non siano direttamente proporzionali all’impiego che le persone trovano poi nel mondo lavorativo (ma forse solo in posti in cui, come in Italia, la meritocrazia non ha cittadinanza).

      Io credo che sia anche per questo che il nostro paese è abbastanza a rotoli, le persone competenti vengono messe a spazzare il pavimento (lasciami passare l’esagerazione… ), mentre quelle con meno capacità, meno competenze e, probabilmente, anche meno scrupoli, ci capita di vederle nelle stanze dei bottoni.

      Invece sono favorevole a quello che tu hai sottolineato, l’importanza di una crescita umana e sociale, più importante di una cultura libresca che sia limitante, cieca e solitaria, questo sì: meglio una persona che sbaglia un congiuntivo e sa entrare in sintonia col prossimo che un grosso letterato, o scienziato, cinico e/o sociopatico, che magari si vende la pelle del vicino per trenta denari (o un piatto di lenticchie o che per esso), o che comunque non sa armonizzarsi nel contesto sociale.

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    • Mi piace della tua approvazione sulla fiducia, forse mi capisci e conosci più di quanto io immagini!
      Non so se c’entri il capire ed il conoscere, ma posso affermare che, da parte mia, la fiducia nei tuoi riguardi è del tutto ricambiata!

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  22. Il mio non sarebbe stato un attacco a nessuno. Ma leggendo il commento di @Dea e l’opinione di @marisamoles….. bhe, con tutto il rispetto per le conoscenze di @Dea ma….. non ha capito un bel niente. Ma proprio NIENTE. Con tutti i suoi sette anni di blogger.
    Tu mi conosci DM. Non sono uno che ha peli sulla lingua. Ma non mi va nemmeno di accettare (silenziosamente) quello che mi sembra ingiusto. Pero vediamo cosa vedo io ingiusto in quello racconta la @Silenziosa.
    Prima di tutto leggendo il suo sfogo indicato da te su Blog di Sibilla mi rendo conto che non ha capito niente di quel compito assegnato. Né allora, e né oggi. Essere capo classe è non soltanto un merito, ma anche una responsabilità. Non possiamo essere leader senza avere anche le sue obbligazioni. Il lavoro di grupo ha come dovere non soltanto aiutare chi è più debole ma anche a rinforzare il spirito altruista e la cooperazione di gruppo. Ciò che a lei, mi pare che manca. Zero. Non c’è proprio.
    Questo tipo di socializzazione ha come scopo una migliore capacità di intendimento su oggetti più deboli. E che potrebbe meglio capire un alunno? Se non un altro alunno? Infatti, essa stessa riconosce che è arrivata a capire (meglio dei professori) i suoi amici “socializzati”. In fondo…. chi avrebbe capito che Giorgio…. ha talento di poeta? Oppure suo amico di banco che vuole diventare elettricista. Ma @Dea riconosce. Per lei, l’altruismo è una lingua straniera. Non se la sente. Anzi, preferisce di seguire i compiti dei suoi compagni, pur di non trovare le vie per aiutarli (a compiere da soli). E’ + FACILE.
    E poi, se la prende con i professori che (vedendo il suo sbaglio di “socializzazione”) la criticano, spiegando che non sia l’esempio da seguire (cioè fare compiti per loro). Perché facendo compiti a loro non soltanto non li aiuta, ma anche peggiora. Creando a loro l’impressione che se non c’è la fanno ci sarà comunque qualcuno a “risolvere”. I suoi punti di riferimento sono il fatto che alcune persone sono predisposte a lavorare meglio da sole che in gruppo. Si, è vero, ma sono pochissime. La maggior parte di noi, abbiamo e siamo dipendenti della società in quale viviamo. In percentuali variabili, ma sempre dipendenti. Come fa poi, una ragazzina di 12 anni a considerarsi più intelligente e decidere che Giorgio o suo amico di banco sono predisposti alla solitudine? Mi dispiace dirlo, ma per quanto essa si considerava la migliore della classe, sul discorso del sociabilità era forse la peggiore. Ed è rimasta.
    P.S. Nel 2000 mi trovavo con circo a Berlino. Uno degli elefanti stava male. Aveva una zanna cresciuta male e lo impediva a mangiare. I dirigenti hanno chiamato una squadra speciale di veterinari per tagliare un pezzo di quella zanna. Arrivati i specialisti hanno addormentato “il paziente” e con un filo abrasivo hanno tagliato il pezzo sofferente. Tutto…. in 10 minuti. Ma il problema si rivelerò quando hanno voluto svegliare il pachiderma. Non c’era modo di farlo. Anche se aveva occhi aperti e non più addormentato, sembrava che non riusciva ad alzarsi. I minuti passavano e la situazione diventava sempre più critica. Il suo polso si faceva sempre più debole. “Dobbiamo farlo alzare”, hanno concluso. Ma come far alzare un elefante? Abbiamo provato in dieci, in venti, con le mani ma…. purtroppo…. pesa. Abbiamo provato con le corde, con un muletto…. niente da fare. Avevamo a che fare con un elefante moribondo.
    Alla fine c’è l’abbiamo fatta.
    Volete sapere come? Abbiamo portato gli altri elefanti, i suoi compagni di circo, vicino a lui. Essi quando lo hanno visto in quella situazione hanno cominciato a spingerlo con i proboscidi, a urlarlo (chissà cosa dicevano?), a piangere. Alla fine…. si è alzato da solo.
    Per chi riesce a capire cosa vuol dire “la socializzazione”.

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    • Caro Valentino,

      bellissimo l’esempio che hai fatto dell’elefante, però vorrei chiudere il discorso perché la “signora che non vuole essere nominata”, non essendole più consentita la partecipazione alle discussioni di questo blog, non potrà rispondere, e allora diventa davvero scorretto attaccarla senza che lei abbia possibilità di replica.

      Peraltro, questo sembrerebbe dar ragione al fatto che aver pubblicato le sue parole l’ha esposta ad attacchi anche se così non è, non sono state le sue parole riportate nel mio post che l’hanno esposta ad attacchi, bensì i suoi interventi aggressivi, volontariamente da lei postati.

      Peccato, perché io continuo a credere che un dialogo sereno sarebbe stato possibile tra tutti, e che sarebbe potuto essere un momento di arricchimento una nuova amica a bordo.

      Per favore, chiudiamola qui, non diamo adito a ulteriori questioni. Per il resto, io continuo a seguire il mio motto “Ama chi t’ama e segui chi ti chiama”: la signora non ci ama, sopravviveremo, lo sai come la penso, non è che ci dobbiamo volere tutti bene per forza.

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    • Aggiungo: voglio sottolineare che tu hai dichiarato di aver letto le parole della signora direttamente sul blog di Monique, quindi non sei stato fuorviato dal fatto che io ne abbia estrapolato solo alcune parti.

      Comunque davvero, la stiamo facendo diventare la protagonista della discussione, e non mi pare il caso.

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  23. Caro Valentino,

    mi associo al commento di Diemme. Anch’io vorrei chiuderla qui. Ciò che dici è in parte condivisibile e l’esempio dell’elefante è davvero commovente e indicativo del fatto che nel mondo animale l’atteggiamento solidale, almeno in situazioni di “emergenza”, ha molto da insegnare a noi uomini.

    Dal momento che hai postato sul mio blog un commento off topic (si traduce “fuori tema”), non lo pubblicherò, così come ho fatto con quelli che Dea Silenziosa ha lasciato ieri. Non vorrei mai assumere un atteggiamento discriminante. 😯

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  24. @ Valentino

    In verità si è data molto da fare in quel senso. 🙂

    @ Diemme

    Anch’io in genere apprezzo anche i commenti off topic, ma in questo caso a Valentino (che mi chiedeva un parere sul suo commento a questo post) ho riSposto qui e a dea … pure.

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    • Io apprezzo sempre di più il buon carattere di Valentino che, pur essendo – diciamocelo… – permalosetto, ci ha sempre dato la possibilità di chiarire e ha sempre accolto di buon grado i nostri chiarimenti.

      Non per niente siamo qui a parlarne, e oramai sono anni che ci si bazzica in questi lidi, mica è la prima volta che si verifica un malinteso!

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  25. 😀 E’ cosi che mi vedi? eh eh
    “permalosetto”…. grrrrrrr
    bhe… forse è vero…. ma non sono soltanto “contro”….. e che, quando sono d’accordo con tutto quello che scrivi (oppure i commenti) preferisco il silenzio….
    e ci da l’impressione che sono “permalosetto”

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    • @Valentino: non intendevo quello, solo che è successo, a quanto mi ricordo più di una volta, che hai preso delle nostra affermazioni come manifestazione di xenofobia, cosa che non era.

      Per quanto riguarda il non intervenire, al massimo possiamo sentire nostalgia, ma ognuno ha il suo bel daffare, i suoi tempi, il suo carattere, e intervenire deve essere un piacere, non un obbligo di legge!

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  26. A proposito di “off topic”. Ho visto ultimamente “The last dance”. Un film stupendo sul odio tra ebrei ed i palestini. Se vuoi posso lasciarti l’indirizzo di “streaming”. Mi piacerebbe sapere la tua opinione.

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  27. @ Diemme

    Intervengo solo per dire che ho letto l’intero commento di Dea (ora rimosso dal blog di Monique) e sono senz’altro d’accordo con lei, nonostante io sia stata ingiustamente attaccata. E’ più che ovvio che, da docente ma anche come persona, io non possa appoggiare una pratica didattica, deleteria davvero, come quella imposta a lei e ai suoi compagni, in una scuola media, per giunta. Ma il mio discorso era un altro, lo ribadisco. Ho tirato in ballo lo stralcio del commento di Dea solo perché mi sembrava che tu ti contraddicessi, affermando, nella replica al mio commento, che appoggiavi i lavori di gruppo. Quando ho scritto: «Chi ricorda la propria esperienza come un trauma ha dei problemi che vanno ben al di là della scuola, dei lavori di gruppo, dell’essere il più bravo della classe ecc. ecc.», avendo lasciato lo spazio bianco dopo la prima parte del commento, per me il “capitolo Dea” era già concluso; il mio era un riferimento generale, senza voler colpire nessuno né criticare chi nei commenti qui aveva partecipato alla discussione.

    Tu lo sai che, oltre all’insegnamento, mi dedico allo sportello d’ascolto. Proprio sulla base di questa mia esperienza posso affermare ciò che ho detto, senza la pretesa di stabilire una “legge universale”, ovviamente.
    Cambiando argomento, cioè allontanandomi dal discorso “lavori di gruppo”, ricordo anni fa una ragazza che venne allo sportello dicendo: “nell’ultimo compito di latino ho lasciato il foglio bianco”. Al momento pensai che si trattasse di un problema legato allo studio, al metodo, alla motivazione, ambiti su cui oriento i miei interventi allo sportello. Alla fine del colloquio (ricordo, per chi non lo sapesse, che nella relazione d’aiuto l’operatore ha perlopiù il compito di ascoltare, piuttosto che dar consigli, perché è la persona stessa che alla fine si rende conto da sola del problema, semplicemente parlando) ti posso assicurare che il latino era proprio l’ultimo dei problemi di questa ragazza.

    Ora davvero la chiudo qui. Scusami se ho sentito l’esigenza di questa ulteriore precisazione e tu sai che non sono intervenuta affatto pensando che Dea non legga, anzi, spero proprio che legga e capisca quanto si sia sbagliata e quanto inutilmente, oltreché in modo del tutto gratuito, mi abbia insultata.

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    • @Marisa: per me il discorso è chiuso. Sarebbe molto bello che fossimo tutti in sintonia, ma quando ci si rende conto che si parlano due lingue diverse, che quello che per te è apprezzamento per l’altro è insulto e quello che per te è generale per l’altro è un attacco personale, bisogna solo prenderne atto. Nel mondo c’è posto per tutti, auguro una buona vita anche a coloro con cui non ho trovato un linguaggio comune, ma che sia una vita a distanza di sicurezza dalla mia.

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    • @Valentino: marzo è stato strangolante, e ancora non allenta la morsa: continuo a chiedermi come faccia la gente ad annoiarsi, io sono schiacciata da tutto quello che devo fare, e pure lavorando in multitasking non arrivo mai!

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