Cara Amica ti scrivo…

…anzi no, non ci riesco, non c’è nulla che io riesca più a dirti.

Prendo e riprendo la tua lettera tra le mani, è uscita dalla tua anima e si sente, ma è giunta tardi. Tardi di un’incollatura.

Tardi di un articolo.

Ci rifletto sempre sul fatto che non bisognerebbe mai far calare il sole su una lite, ma sulla nostra è calato oramai centinaia di volte.

Mi hai spiazzato. Io pensavo che, al di là di tutto, noi fossimo noi. Quando ci si vuole bene, quando si è costruito qualcosa, quando l’Amicizia è con la “A” maiuscola, per quanto mi riguarda ci si può pure scannare, ma si rimane sempre noi.

Evidentemente per te non è lo stesso.

Qui si dice che alle storie non bisognerebbe mai permettere di formarsi il “soprosso”, quel qualcosa che con l’osso non c’entra niente, quel callo che lo deforma, ma che una volta formato non si può più eliminare, e mai detto fu più vero.

Non mi piacciono le saghe, non mi piacciono le guerre che nascono da una scintilla che di per sé non farebbe un gran danno, un piccolo cortocircuito, si tira su l’interruttore e via, e invece gli si permette di diventare incendio e di scatenare lacrime e lutti.

Bisognerebbe spegnerlo subito il fuoco, e invece si attizza, per dimostrare a se stessi chissà cosa, e si permette che da cosa nasca cosa, e dall’altra cosa un’altra cosa ancora, in una catena infinita di torti difficili da riavvolgere.

Potrei dire che non mi piacciono le minestre riscaldate, che quando un vaso si è rotto a rimettere insieme i cocci si vede sempre che è un vaso rotto, ma non è vero, non la penso così: le minestre riscaldate sono spesso più buone, e un vaso a cui tenevamo e che si è rotto, rincollato con amore, diventa spesso più prezioso di un asettico, anonimo vaso immacolato.

Si amano di più le cose sofferte.

A volte però si ritira fuori dal frigo l’amata minestra e vi si scopre la muffa (ahimé, troppo tempo è passato) o che, lasciata fuori, ci è andato un insetto, o s’è guastata e allora, per quanto possa essere stata buona (e chi lo nega!), per quanto possiamo aver desiderato di poterne mangiare ancora, quella minestra diventa un qualcosa di non più fruibile.

Lo stesso dicasi del vaso i cui cocci, raccolti troppo tardi, sono incompleti, perché abbiamo lasciato che si disperdessero in ogni dove, anche in “dove” oramai irraggiungibili. Può darsi allora che il pezzo, o i pezzi mancanti facciano parte del corpo di quel vaso, che non potrà contenere fiori freschi mai più, perché incapace di trattenere l’acqua, o manchino dalla base, per cui mai più potrà stare in piedi, o addirittura entrambi.

Forse allora, ogni volta che si guarderà una rosa, o un mazzo di fiori di campo, o qualche altro fiore sia umile o superbo, si penserà a quanto bene sarebbe stato in quel vaso così tanto amato ma che, ahimé, non esiste più.

Non esiste più.

78 thoughts on “Cara Amica ti scrivo…

  1. Parole sante e dette con semplici e indovinati esempi. Bastrebbe che il vaso stia in piedi rinunciando all’acqua? Rinunciare a qualcosa mi sembra almeno il punto di ripartenza. Saluti

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    • Non lo so, non saprei proprio che dirti, è difficile con una persona che hai visto come “dieci” abituarti a vederla come “sei”, e a un certo punto preferisci non rovinare il passato e conservarne il bel ricordo.

      C’è un’altra persona, a cui tenevo moltissimo, con cui il tentativo di ricominciare c’è stato mille volte, ed è servito solo a farsi male.

      Magari a volte, anziché ri-cominciare, bisognerebbe semplicemente cominciare, come se ci si fosse conosciuti quel giorno: è una cosa che io non sono mai riuscita a fare. Comunque, lapalissianamente, quando indietro non si può tornare, le uniche scelte che rimangono sono restare fermi o andare avanti, ed è quasi sempre meglio optare per la seconda ipotesi.

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  2. Vuoi mettere ..quanto è buona buona la “ribollita”??
    Non lo so. Il tuo discorso di cominciare.. anzichè ricominciare, è convincente.
    Ma non lo so, Diemme, non so se sia davvero possibile. In fondo mi piacerebbe ma..

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    • Anche a me piacerebbe ma… io non credo che il passato si possa semplicemente accantonare, va metabolizzato, digerito, smaltito. Non si può frequentare una persona come se fosse un’altra, o quantomeno come se non fosse quella con cui c’è stato un trascorso: altrimenti, a che serve ritrovarsi?

      Me l’hanno fatto questo discorso a proposito di un mio ex: una mia cara amica mi disse “Forse il problema è stato che tu volevi ri-cominciare, e lui semplicemente cominciare”.

      Nella mia testa la traduzione è stata: “Lui cercava una, io cercavo lui“. Questa era la vera differenza.

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  3. è vero i cocci si vedranno sempre ma dipende anche da come noi vogliamo vederli,
    perché non vederli come la possibilità di fare ammenda e accettare certe nostre fragilità???

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    • Non lo so Sabby, davvero non lo so. Qui io sto parlando non di cocci rincollati, ma di quelli impossibili da rincollare.

      Io credo che tanto più ci è stata cara una persona, tanto più difficile sia accettare un rapporto di fatto incrinato. Poi, ci sono torti imperdonabili: un conto è che sei ferita e l’amico di un tempo non ti soccorre, un conto è che si avvicina per mettere il sale sulle ferite. Nelle cose, al di là del carattere, ci vuole anche un po’ non dico neanche di stile, ma di buon senso.

      Io nella mia vita ho sempre avuto una forte tendenza a non lasciare andare il passato, ma ora ritengo giusto dare il dovuto spazio al presente e, possibilmente al futuro.

      Grazie della tua visita! 😉

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  4. questo si,
    l’importante è che quel passato per te non sanguini più, non in termini di dolore, quello ci sarà sempre, ma della tua capacità di aver capito l’origine delle cose, di aver addolcito, attraverso la comprensione e il distacco, certi rancori,
    non so se mi spiego!!
    riparliamone!

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    • @Sabby: veramente non ho capito né l’origine, né l’epilogo, ma proprio per questo per me è importante avere a un certo punto smesso di tormentarrmi a chiedermi. A un certo punto la spina la stacchi per sopravvivenza, e quando l’hai staccata non la riattacchi più, se non altro per il timore di riprovare le stesse cose.

      E’ una dura lezione che ho imparato (e neanche tanto bene), ma the show must go on. Rancori? No, rancori non ce ne sono, neanche un’ombra: solo nessuna voglia di ricominciare.

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  5. l’importante è che dentro di te non ci sia rancore, poi è giusto che non ricominci,
    non a tutte le cose si può dare nuova vita, ma ciò che conta è che noi ci siamo liberati da quei macigni di rancore e che il nostro io interiore sia integro!

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    • Io difficile che provi rancore, ma quando lo provo, purtroppo, è difficile che lo superi (anzi, francamente non saprei dirti se l’ho mai superato ma, ripeto, è talmente raro che lo provi, e solo di fronte a cose veramente gravi).

      Io interiore integro? Mah, nonostante gli studi di psicologia, non sono mai riuscita a capire a fondo il significato di certe parole. Però, per quel poco che ne ho capito, credo che nessuno di noi possa davvero considerarsi integro. Semmai, può avere la capacità di gestire e non farsi sopraffare dalle proprie zone erronee.

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  6. appunto!!
    proprio perdonandosi certe fragilità,
    comprendendo certi sbagli, certi percorsi, per ristabilire l’armonia iniziale,
    la psicologa Melanie Klain sosteneva che non dobbiamo giudicare gli altri dal male che ci fanno ma dalla loro capacità di ricucire gli strappi.
    Ricucire significa anche mettere da parte orgoglio e rancore, che non sempre siamo capaci di fare, non farsi accecare da quasti sentimenti.

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  7. avevo un’amica che nel momento mio più duro lei è venuta meno, anzi è stata sleale,
    noi ormai non siamo più amiche ma solo semplici persone che si salutano quando si incrociano, ma ciò che conta per me è stata la rimozione di certi sentimenti, di rabbia e di dolore,
    cercando di capire i miei e anche i suoi errori,
    con tempo e pazienza mi sono guardata e guardato lei, mi sono presa cura delle mie ferite per non farmi sotterrare da loro.
    Non sempre si può perdonare però si può capire e andare oltre.
    Ma tu questo lo sai bene, ora lo stò dicendo solo a me stessa!!

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    • Cara Sabby, io a quest’amica non ho nulla da perdonare anzi, spesso sono presa dai ricordi di mille attenzioni che lei ha avuto per me, mille prove d’amicizia, però tu dici che quello che è importante è capire, e io non è che abbia capito molto (anche perché nessuno me l’ha mai spiegato).

      Il momento in cui si è allontanata da me, ha percorso strade che l’hanno portata ancora più lontano, e allora che fare?

      Si fa punto e a capo, si tira una linea, si volta pagina: alla mia veneranda età ho il dovere di avere capito almeno questo.

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  8. Io mi sono resa conto che un “amico” è in fondo come un innammorato.. nel senso che, come l’amore, può finire così.. semplicemente.. senza alcun motivo preciso.
    Si esaurisce..
    Diffciile da accettare, ma credo che possa capitare..

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    • Forse può capitare, ma non lo accetto. Anche perché l’amicizia, al contrario dell’amore, non è esclusiva. Richiede cura, lealtà, rispetto, ma meno impegno e nessuna costrizione: perché mai dovrebbe finire?

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    • Sai perché finiscono le amicizie? Per i complessi. Finiscono per la gelosia, per l’invidia, quando una persona si sente in condizione di inferiorità, messa in posizione di scacco, e allora reagisce arroccandosi, una sorta di difesa passiva, peccato che a volte sia una difesa completamente fuori luogo, perché l’offesa, il rifiuto, la messa in scacco non esistono.

      Ne ho sofferto tanto per gli amici perduti, spesso senza un perché, senza un perché evidente intendo, e sono esperienze per le quali uno si augura di non ripassare.

      Mi sono ricordata di avere scritto, oltre tre anni fa, questo articolo, “L’amico perduto“, che ho riletto con lo stesso coinvolgimento con cui lo scrissi all’epoca: e ancora mi ha dato di che pensare…

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  9. Buongiorno, cara @Diemme,
    c’ è molta verità, sebbene dolente, in quello che affermi . Poichè non v’ è dubbio che il passato che vivemmo non è cosa facile da rimuovere . Ogni attimo che noi abbiamo vissuto, ha generato o felicità o infelicità . Talvolta anche indifferenza, ma a ben riflettere, e specie se a riflettere è una Persona di grande sensibilità, anche questi istanti vuoti di emozioni possono essere reinseriti nella prima o nella seconda categoria .
    E, col trascorrere del tempo, ciò che fu per noi soddisfacentemente felice e che si evolse in forma naturale ( fino anche a svanire, ma senza traumi ! ), ha generato ricordi dolci, mentre invece quello che ci procurò infelicità ha fatto scaturire un rimpianto .
    Come fare ? Il ricordo lieto è dolce da conservare, aiuta a vivere, mentre il rimpianto è cosa vana, che suscita sofferenza e inquietudine .
    Poco tempo fa, con un blogger di Torino che ben conosci, abbiamo elaborato insieme, partendo da una sua semplice e razionale idea, la “Casa dell’ Esistenza” .
    Questa costruzione è una Villa a tre piani . Ed esattamente : un piano interrato ( la cantina ), un piano terra ( camere e servizi ), un piano soprastante ( la soffitta ) .
    A nostro duplice parere condiviso ( neh ! ), il piano terra è il “presente/futuro”, la vita cioè come la stiamo vivendo in un oggi che è già domani . Il piano interrato, una cantina ben aerata, con finestre a ‘bocca di lupo’ per una sufficiente illuminazione naturale, è il “passato” . In questa cantina, su mensole bene allineate alle pareti custodiamo i ricordi come bottiglie di ‘vini pregiati’ . Le lasciamo invecchiare con dolcezza, ed ogni tanto ne stappiamo qualcuna per berla come berremmo un vino che ci delizia . Nei posti vacanti che si creano sulle mensole, di tanto in tanto, collochiamo nuove bottiglie di istanti vissuti maturati nel frattempo ‘a ricordo’ .
    Il piano soprastante ( la soffitta ) è un mero contenitore, come tutti i solai, di cose inservibili, ingombranti, spesso inutili e irriciclabili . In questa soffitta ‘dobbiamo’ mettere i rimpianti, e lo dobbiamo fare poichè essi il più delle volte occupano un spazio così ampio della “casa-esistenza” da impedire la libera circolazione dei suoi abitanti !
    Lo schema non è rigido, ovviamente . Può accadere infatti che una bottiglia di vino pregiato si sia ammalorata ( che so, il tappo non ha tenuto bene ) . Quella bottiglia di vetro, magari, ci è comunque cara ‘come involucro’ e noi non la buttiamo, semplicemente la portiamo in soffitta .
    Analogamente, può accadere che tra gli ingombranti buttati alla polvere nel solaio, ci possa essere un oggetto che torna a piacerci ( ad esempio, un nostro vecchio giocattolo con cui ameremmo vedere giocare anche un nostro figlio ) : noi lo prendiamo e lo riportiamo giù al piano terra, ove si sta svolgendo la nostra vita ‘presente/futuro’ . Oppure nella stessa cantina, se ci sembra che quell’ ingombrante ( il rimpianto ) abbia col tempo riacquisita una sua tenerezza diventando un ricordo piacevole come un ‘buon vino d’ annata’ .
    L’ esistenza, è vero, è un sistema così complesso da adattarsi assai difficilmente agli schemi ( che sono invece ‘sistemi semplici’ ) . Tuttavia, io e quel tuo amico blogger ( neh ) riteniamo, con parere confutabilissimo, che questo modo di vedere la vita non sia poi “un oggetto ingombrante” da buttare in soffitta, ma un discreto soprammobile da tenere in evidenza sul tavolo della sala da pranzo del ‘piano terra’ .

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    • Dolcissima e vera questa “Casa dell’esistenza”, ma in mezzo a una descrizione così lirica di quello che è la nostra vita, tra presente e futuro, ricordi dolci e rimpianti da abbandonare, che però possono ridiventare parti tenere della nostra vita, come al contrario i ricordi alterarsi un po’, la mia attenzione è stata catturata dal tuo riferimento a un blogger di Torino: mi sfugge chi sia!!!

      Sto facendo un torto a qualcuno? Tanti blog-amici tra Venezia, Padova, Vicenza, Verona, un caro amico siciliano a Bergamo, ma Torino mi manca: Carneade, chi era costui?

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  10. Ser ALAN si chiama, e guida una ruggente FORD anni ’50 . Ma seppi poi che il nome suo è Leonardo .
    Come ho già detto a ‘lontana tua parente’ che oggi ti onora e ti fa pubblicità, ci affratellò un comune amore per la ‘ragione’ non disgiunta dal sentimento e dalla nostalgia del tempo che fù !

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    • Il caro Alanford… avemmo un piccolo quiproquo anni or sono e, nonostante una pubblica riappacificazione, non ebbi più il piacere di vederlo presso i miei lidi…

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  11. Ho appena lasciato da Sabby un commento sullo stesso argomento, che riporto qui perché completa il pensiero espresso nel post:

    La penso come Anto.

    Da un po’ di tempo (da sempre invero) ho voglia di scrivere a un’amica con la quale ci fu uno strappo piuttosto grosso (no, ma che dico, non fu grosso, tale fu fatto diventare) ma poi mi rendo conto che, pur ammettendo una parte di errori, nello scrivere, nel ripensare a quel periodo, mi sale la rabbia, e finirei col rinfacciarle certe cose che, a distanza di due anni dalla rottura, che senso ha rivangare? Allora rinuncio.

    Il destino ha voluto, tanto per sapere che cosa si prova a stare “dall’altra parte”, che io ricevessi due lettere come “segni di pace”, da persone con cui avevo avuto vuoi un rapporto di grande amicizia, vuoi di semplice cordialità, ma comunque un rapporto positivo poi andato in frantumi: beh, vi dirò, quasi non so chi siano, e quello che è certo è che non ho nulla da dir loro. Come una piantina che si è seccata, non importa più chi sia stato a non dare l’acqua, o a cambiarle posizione, o qualsiasi altra cosa: si è seccata, è inutile piangere sul latte versato, che non potrà essere rimbottigliato e bevuto.

    Tutto è cambiato, tutti sono cambiati e sono cambiata anch’io.
    Il tempo passa e rimane solo l’amarezza di quel “buco” che non si può colmare.

    Sì, sono decisamente d’accordo con Anto.

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  12. Ho letto, Diemme, e sì.. sono ipotesi o anche congetture. Purtroppo la cosa determinate è che rimane in sospeso.. senza chiarimento. Ed è appunto per questo che io penso alla eventualità dell’esaurimento nel nulla dello stesso sentimento. Insomma non avere nemmeno voglia di sapere qualcosa di più significa che le cose sono troppo cambiate.
    E’ un pò quello che dice Anto..non dare un seguito a dei segnali.. significa che ci sono amari cambiamenti..

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    • @Dani: a me l’amicizia rimasta in sospeso, senza chiarimento, è avvenuta quasi esclusivamente con maschi. Ho riscontrato in loro una strana tendenza a sparire all’improvviso, senza spiegazioni, e proprio quando non sembra ci sia alcuna nube all’orizzonte.

      Con le donne invece, al di là o meno della validità e/o gravità dei motivi, più o meno ho sempre saputo cosa c’era che non andasse, salvo in un caso (ma sicuramente c’era almeno un uomo di mezzo).

      Che dirti, Venere parla, Marte tace (e comunque, se Atene piange, Sparta non ride).

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  13. effettivamente cercare un chiarimento, quando si può e si vuole da entrambe le parti, significa cercare di mettere luce in quelle ombre che altrimenti ci seguiranno sempre, quel chiedersi continuamente dove ho sbagliato, perché?
    Io una lettera due anni fa la scrissi realmente alla mia amica, quella che credevo tale ma non ci fu risposta, solo dopo tempo lei mi chiamò ma orami quello che dovevamo dirci si era esaurito nelle pieghe del tempo, in sospeso ci sono tante domande ancora ma poi ci si rende anche conto, dopo aver lavorato su se stessi, che certe risposte neanche servono più, dopo che il silenzio ha dato risposte di tante altre domande.
    Mio dio forse è un po’ contorto il mio pensiero oggi, solo che ancora il pensiero mi rendo conto che fa un po’ male.

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    • No, non è contorto, o quantomeno chi ci è passato ha chiaro il concetto.

      Tu hai scritto, lei non ti ha risposto. Io ho ricevuto due lettere, cui non ho risposto (anche se alla prima, in un certo senso, la risposta è questa).

      Vorrei scrivere io a un’ex amica una lettera cui non mi verrebbe risposto, e una ne scrissi tempo fa, che pure cadde (quasi) nel vuoto.

      Quelle di chiarimenti e ripensamenti retard sono e-mail a cui non si risponde, perché se l’amicizia era superficiale, non interessa riprenderla, se non lo era, il dolore è stato tale, e talmente costoso elaborarlo, metabolizzarlo e accantonarlo, che non si vuole riaprire il discorso.

      Allora, servono queste lettere? Secondo me sì.

      Servono a chiarire una posizione, a dire all’altro “questo è quello che provo e questo ciò che ho capito”, (che poi nella vita non si sa mai, sempre meglio lasciarsi alle spalle chiarezza, sia pure su una storia chiusa).

      Oppure, a poter dire a se stessi, purché in buona fede “Io il mio tentativo l’ho fatto. Ora, posso riprendere la mia strada senza voltarmi più indietro a chiedermi perché e percome, e magari se io“.

      Io la penso così. In fondo, un gesto di apertura, può essere doveroso nei confronti di chi abbiamo ferito, anche se non vorrà più saperne di noi (ma rimane sempre il fatto che nella vita “mai dire mai”) oppure, se siamo noi a essere stati feriti, può essere un unguento su quella ferita, che ci permetterà di andare avanti senza più voltarci indietro con il peso di questioni irrisolte.

      Insomma…

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  14. Diemme, anche per me la situazione in sospeso è accaduta con un “maschietto” e ne avevamo già parlato in altro scambio di post poco tempo fa.
    E questa cosa in sospeso è per me come un tarlo.. mi è quasi impossibile riuscire a mettere da parte.

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    • Non ricordo… se ti va riparliamone, ma era quasi scontato fosse così. Ti uccidono e non se ne accorgono.

      In qualche caso l’allontanamento avviene perché provano sentimenti che non si possono permettere, oppure che non vogliono esternare però si girano se tu hai una storia. Oppure magari la storia ce l’hanno loro, la compagna è gelosa e loro si vergognano di dire che “obbediscono”.

      Insomma, sai che c’è, io non credo che la casistica poi sia così ampia… 🙄

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  15. ma no è inutile riparlarne. Già visto che le situazione erano per lo più analoghe e.. anche le nostre idee coincidono 🙂
    Cerchiamo di dare quel benedetto taglio!

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  16. @Sabby, m’intrufolo qui da Diemme ma il mio commento vale anche per quanto tu dici sul tuo blog.

    C’è un sentimento umano che cerco di capire da diverso tempo ma che mi sfugge in continuazione, perché questa sembra essere una sua caratteristica.
    E’ potente, inrigante e destabilizzante: sto parlando del senso di colpa.

    Rispondo qui perché è su queste pagine che @Sabby mi offre l’aggancio quando dice “… quelle ombre che altrimenti ci seguiranno sempre, quel chiedersi continuamente dove ho sbagliato, perché? “.
    Poi naturalmente il mio intende essere un messaggio destinato anche a Diemme ed ai suoi lettori.

    Il senso di colpa è qualcosa d’infido, agisce in maniera sotterranea, come l’acqua si costruisce silenziosamente la via. E’ un sentimento complesso, perché ha a che fare con l’autostima, si manifesta tramite l’orgoglio, tendiamo continuamente a rifiutarlo.

    Non colpisce in egual misura uomini e donne. I primi sembrano più abituati a superarlo (non a risolverlo) forse con un’alzata di spalle, forse perché si reputano più forti (possiedono un ego più forte). Non tutti ovviamente.

    Cosa c’entra il senso di colpa con questo post? Certo non a capire quello che ha procurato una frattura, sia amicale che amorosa ma a spiegare le difficoltà nell’andare oltre lasciando che il passato sia passato o venga ridimensionato a semplice ricordo, a chiedersi perché dopo tanto tempo bruci ancora, forse sì.

    In maniera molto semplice, quando ci troviamo davanti ad una “separazione” con chi prima ci era stato così vicino, cercare una ragione equivale, in qualche posto del nostro profondo, a cercare una responsabilità. Abbiamo bisogno di non sentirci colpevoli di ciò che è accaduto.
    Farlo può significare andare contro l’idea che abbiamo di noi stessi, vederci “assassini e peccatori”.
    E volersi bene può non essere sufficiente ad accettare anche queste nostre zone d’ombra.
    Rifiutare una simile eventualità è solitamente la prima cosa che facciamo, come rifiutare quello che sto scrivendo. Non riguarda noi, noi sappiamo di essere stati corretti, sì, forse qualche erroruccio, qualche graffio lasciato involontariamente, ma sentirsi co-responsabili è dura.

    O forse la “colpa” è effettivamente in buona parte dell’altro, eppure noi siamo portati inconsciamente a credere che c’è anche il nostro zampino.
    Siamo culturalmente portati a sentirci colpevoli.
    Allora uscirne indenni diventa diffcile.
    Vorremmo forse che il nostro ex amico/a ci rassicurasse, ci dicesse “tranquilla/o” sono io che per fatti che esclusivamente riguardano me ho rotto e mi prendo la responsabilità del male che ti faccio.
    Forse non basterebbe, ma magari ci permetterebbe di chiudere la questione.

    Però e più frequente che l’interessato abbia effettivamente delle rabbie, dei risentimenti che non riesce a canalizzare, a comprendere, quindi scarica addosso a noi ciò che magari sarebbe destinato ad altri o forse solo a se stesso.

    Così diventa un gioco al massacro, fatto d’orgoglio, prese di posizione dure, dove fioccano le accuse, le incomprensioni o più dolorosamente il silenzio. Può diventare anche il momento giusto per fare delle manipolazioni. L’imperativo diventa “non dargliela vinta”.

    Quando mi capita e se ci riesco, provo a staccarmi da me stesso e guardare quello che succede come fossi uno spettatore e molte di questi meccanismi risultano evidenti.
    Ci s’incontra, si cammina insieme, e può capitare di lasciarsi, spesso in modo traumatico (così ti ricorderai di me).

    Io lascio che questo avvenga e, se mai dovessimo tornare ad essere fianco a fianco, sarà per qualcosa di nuovo, al di fuori (come dice Sabby) dei risentimenti per l’appunto passati.

    Questo è quello che mi è venuto in mente leggendo il post di Diemme e andando a leggere leamichedelsabato.
    Può darsi che sbagli, sicuramente non è tutto qui, però potrebbe essere quello che in alcuni casi accade. Lancio il sasso (e non nascondo la mano).

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    • I sensi di colpa. Mi pare normale che li proviamo, se l’altro ci volta la faccia, se l’altro ci rifiuta, ci sta accusando, ovvio che siamo noi ad avere sbagliato. Il meccanismo è facile, evidente.

      Dove abbiamo sbagliato? Una volta me lo chiedevo, mi maceravo, chiedevo all’altro di spiegarmi, ricevendo come risposta regolarmente l’indifferenza, il silenzio. Poi col tempo ho capito due cose:

      1) Che se uno non parla, potrebbe pure non avere niente da dire. Potrebbe, in fondo al cuore, sapere che il motivo è infondato, che ha le radici dentro di lui, e non nell’altro.

      2) Il sistema delle proiezioni è sempre vero: all’altro brucia ciò che di se stesso ha visto in noi. Un suo complesso, una situazione che gli è stata negata dalla vita, un qualcosa più forte di lui, cui non riesce a dare un nome, e allora il muso è semplicemente l’espressione di uno stato d’animo confuso.

      Quando ho saputo i motivi per cui alcune persone hanno scelto di allontanarsi, alla fine mi sono tranquillizzata. Tanto per cominciare, era qualcosa a cui non sarei mai arrivata neanche con anni di masturbazioni mentali, oppure qualcosa cui era stata data un’interpretazione non aderente alla realtà.

      A questo punto, io offro all’altro la mia disponibilità ad ascoltare: la rifiuta? Ciccia, io vado avanti.

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  17. No Diemme, io sto parlando dei sensi di colpa che ci macerano dentro, quelli invisibili, non portati in superficie se non con un grosso lavoro su se stessi.

    Dici “Mi pare normale che li proviamo, se l’altro ci volta la faccia, se l’altro ci rifiuta, ci sta accusando, ovvio che siamo noi ad avere sbagliato”.
    Anche qui spiego meglio la mia posizione. Non è affatto ovvio che siamo noi ad aver sbagliato. Noi tendiamo ad assumerci le colpe comunque, sempre inconsciamente, e chiediamo insistentemente all’altro di dirci che non è così.

    Poi apri il discorso delle proiezioni. Io non credo che sia sempre vero e comunque allora a maggior ragione sono chiamato (visto che anch’io proietto) a rivedere dentro di me il perché di questo mio agire.
    Ma me ne guardo bene proprio per non dover fare i conti con i sensi di colpa, cioè con quel qualcosa che mi dice che forse degli errori ne ho fatti anch’io.

    Per cui è molto più facile, per molti, in senso generale (non per te in particolare), dire che l’altro fa le proiezioni, che i problemi ce li ha lui.
    Sempre un modo per sfuggire alla propria ombra.

    Lui, o lei, “…Potrebbe, in fondo al cuore, sapere che il motivo è infondato, che ha le radici dentro di lui, e non nell’altro.”

    A lui, o lei, “…brucia ciò che di se stesso ha visto in noi”

    Lui, o lei, rifiutano la mia disponibilità ad ascoltare.

    Insomma, portiamo tutto fuori di noi, non cogliamo l’occasione per guardarci dentro.
    Ed invece è proprio da lì che dobbiamo partire, dall’accettare la possibilità che possiamo aver sbagliato.

    Sfrutto la tua risposta per precisare queste cose. Credo che personalmente siano analisi che comunque tu non manchi di fare.

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    • Credo di non essermi spiegata. “Ovvio che siamo noi ad aver sbagliato” non significa che noi abbiamo sbagliato, ma che è ovvio che il sentimento sia quello, dal momento che di fatto ci stanno rivolgendo un’accusa. Se ci arriva l’avviso di una multa, e noi non abbiamo letto il verbale, ci cominceremo a lambiccare il cervello su dov’è e com’è che l’abbiamo presa.

      Oggi, io aspetto il verbale. Se non arriva, mancata notifica, non la pago e pace.

      Per quanto riguarda le proiezioni, è una cosa che spesso ho toccato con mano, non un alibi. L’unico alibi, maturato in tanti anni di vita con le sue brave mazzate è “Non me lo vuoi dire? Pace, io la sfera di cristallo non ce l’ho, doti di telepatia nemmeno, non so proprio che farti”. Quel macerarsi con le ombre e coi dubbi, coi se e coi ma di cui è stato parlato in commenti precedenti, cerco di non farmelo appartenere più.

      Bisogna andare avanti, la vita è preziosa, non possiamo farcela rovinare dall’incapacità altrui pure di affrontarci e dircene quattro: troppo vile chiudersi in se stesso e lasciare all’altro il carico di capire.

      Sai quante volte ho detto a qualcuno “Ma gliel’hai detto?” e mi sono sentita rispondere “Gliel’ho fatto capire” oppure “Lo deve capire da solo”, al che io regolarmente rispondo “Dunque non gliel’hai detto”.

      E se non gliel’hai detto, lui/lei non lo sa.

      E se non lo sa, non capirà, non realizzerà, non rimedierà: insomma non se ne uscirà mai fuori.

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  18. Siccome sono dei processi e non delle mega sedute di autoanalisi, credo che sia tutto più difficile da spiegarsi che non da attuarsi.
    Basta imparare a porsi quelle poche domande chiave che ci mettono in contatto profondo con noi stessi.
    Io avevo imparato anche a riderci su.

    Quello che tu indichi è l’obbiettivo finale: sapere che anche noi possiamo sbagliare, se del male abbiamo fatto a chiedere scusa, ed andare avanti con un’esperienza in più.

    Qui invece mi sembrava che il problema fosse quello di non riuscire a superare la rottura. Un altro tipo di elucubrazione, stavolta per me sterile.

    E comunque un po’, nel tuo scritto, continui a finire per porre l’attenzione sull’altro. 😉 😆

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    • @Bali: certo che pongo l’attenzione sull’altro: se l’altro ha rotto il rapporto, l’altro ce l’ha con me e io non so perché, l’altro non si spiega, l’altro fugge i nostri tentativi di riavvicinamento e di chiarimento, su chi vuoi che la ponga?

      E’ chiaro che io la mia parte di esame di coscienza me lo faccio, cerco di ricostruire i fatti, magari qualcosa da questa “meditazione” esce pure fuori, ma poi arrivo a un punto in cui non dipende più da me: e allora, il passo successivo, è l’altro.

      E se lì il cammino si ferma, lì si ferma pure il pensiero e la ricerca di una soluzione.

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  19. Sì. penso di avere avuto a volte questo atteggiamento così vile da lasciare agli altri il compito di capire..
    Hai ragione, in effetti è un compito difficile.
    Ma forse può anche celarsi il desiderio di essere presi in considerazione..

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    • @Dani: “può anche celarsi il desiderio di essere presi in considerazione”. Appunto, è un proprio complesso, io non mi sento amato, non mi sento considerato, e mi chiudo in me stesso affinché tu cominci a girarmi intorno a chiedermi cos’ho.

      Questo può pure succedere, ma nessuno passerà la vita a chiederti perché hai il muso, a un certo punto desisterà: e allora, qual è stato il risultato, quale considerazione ne è scaturita? Da questi atteggiamenti nasce la rottura, non la comprensione.

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  20. Certo che è così. Ti stavo solo prendendo un po’ in giro. 😉

    Io volevo porre l’accento su due tipi di reazione che comunque hanno a che fare con il senso di colpa.
    Chi continua a macerarsi perché sente dentro di sé (falsamente) di aver sbagliato qualcosa, se non tutto, e chi risolve il senso di colpa (nascosto) continuando ad evitare di guardarsi dentro per la paura di trovarsi davanti un sé troppo brutto da accettare e, alla fin fine, si concentrano solo sulle responsabilità dell’altro.
    Sono solitamente quelli che “avrò sbagliato qualcosa PERO’ lui, o lei….”

    I primi cercano un’assoluzione, i secondi un’ammissione di colpa.

    Tempo ed energie mal riposte, a mio avviso. Il problema è altrove e mi sembra che te la cavi egregiamente. 🙂

    E direi di chiudere qui il mio intervento che cercava di stimolare qualche pensiero su un atteggiamento che continua a farmi riflettere e di cui so di non essere indenne. 😉

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  21. L’unica cosa che mi viene in mente ora è:
    “caro amico ti scrivo, così mi distraggo un pò e siccome sei troppo lontano, più forte ti scriverò, da quando sei partito c’è una grossa novità, l’anno vecchio è finito, ma qualcosa ancora qui non va…..”

    Ecco qualcosa non va, perchè in amicizia come in amore se è basta, quasi sempre è basta, un vaso rincollato può sembrare antico, ma alla fine non lo è , e alla prima si rompe di nuovo, se fosse il contrario beh , magari sarebbe da decidere secondo l’importanza che si da al rapporto!

    Smack kate

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    • Cara Kate, se non fosse possibile ricucire saremmo destinati a perdere tutti nella vita, credo che non esistano due persone che possano andare d’amore e d’accordo per sempre senza screzio alcuno.

      Il problema è un altro: chi è la persona (e qui ci saremmo, perché stiamo parlando di una bella persona), e in quale punto della tua anima risiede la parte lesa (e qui, il precipizio).

      Si rompono pure i vasi nuovi Kate, secondo me non è quello che fa la differenza, e la volontà di ricostruire o meno non dipende dall’importanza che diamo al rapporto: dipende dall’importanza che diamo a noi stessi.

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  22. Che dire, DieMme? E’ difficile e variegato il mondo dei rapporti amicali. Probabilmente esistono amicizie che vanno bene anche come vasi rincollati, anche se manca loro qualche pezzo, altre che vivono per la loro diafana trasparenza ed assoluta perfezione. Non credo esista una regola precisa. Forse è per questo che talvolta si accende quel mistero che è lo “scoprirsi” amici (che è vero, è come essere innamorati, ma su un piano diverso, anche se talvolta ha lo stesso sapore).
    E allora, se davvero è così, esistono tanti modi per scrivere la parola fine ad un amore, o per non scriverla.C’e’ chi il giorno dopo ha già dimenticato, e chi invece conserva il ricordo per tutta una vita, chi continua a piangere la propria disperazione, chi trova motivo di gioia in ciò’ che è stato, sebbene sia finito, sentendosi in qualche modo privilegiato.
    Ma in verità, esistono anche amori, o amicizie, che non finiscono mai, perché l’uno e l’altro – gli attori – hanno sempre in tasca un tubetto di colla, e sanno che i punti di saldatura sul prezioso vaso altro non sono che storia e gloriose ferite.

    “Amico, io lo so, ho capito. Hai resistito a questa grande ferita, hai scelto di portarne il peso. Cos’è più importante, il vaso o il frammento? Tu mi insegni che tutt’e due sono importanti, tutt’e due siamo “noi” …..”

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    • Hai ragione…nelle tue parole c’è la positività che ti è consueta, ma soprattutto l’amore per gli altri che è la tua veste: fosse rimasto pure solo un frammento, è lei (o lui), siamo noi…

      Forse tu mi hai dato la risposta che cercavo, anche se, credimi, sarà difficile ricominciare.

      Un’altra mia amica mi ha scritto proprio a questo proposito:

      “Ho letto il post su diemme, mi sono molto piaciute le immagini che hai
      utilizzato per descrivere la situazione.
      Ovviamente non conosco i dettagli, quindi non mi sento di giudicare la tua
      posizione … pero’ posso capirti.

      Come sai io forse sono un pochettino meno drastica di te su certe cose, quindi
      forse anche dopo anni e anni, dopo tanti soli tramontati e dopo tanti cocci
      persi sarei stata capace di recuperare il recuperabile.

      Sicuramente l’interezza sarebbe andata persa, ma, come ti dicevo, e’ una
      questione di carattere.

      Tu ne hai passate di ogni [genere?], quindi la tua prospettiva e’ diversa dalla mia, e
      sicuramente fai bene ad essere prima di tutto onesta con te stessa, a capire
      cosa fa bene e cosa no a te. Questo ti consente di essere sempre cristallina
      anche nei rapporti con chi ti sta accanto … io invece a volte lascio un po’
      correre, forse anche per codardia mia, e questo modo di fare sicuramente ha
      delle conseguenze non sempre positive.

      Ma e’ bello che tu prenda queste decisioni anche scomode lasciando trasparire
      una profonda serenita’ …

      Che dire, che siete amici straordinari, e che forse devo imparare da voi l’antica arte della tolleranza. Però è vero pure che bisogna imparare a convivere poi con una situazione che non ti trova più a tuo agio, il famoso vaso in cui sai di non poter più mettere i fiori, non quelli freschi almeno (e chi lo sa se per questo è meno vaso?), i pezzi mancanti per cui ci si deve muovere con cautela, i ricordi brutti da imparare ad accantonare subito, senza permetter loro d’invadere il campo.

      Non so che dire, chi vivrà vedrà.

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    • Brandy, sono quelli finti che non hanno bisogno d’acqua, o quelli secchi: non è così facile la situazione.

      Lei è andata ad aggiungersi a quella lista di cui parlavamo ieri, quella compilata dal “caro amico”. Insomma, uno fonda, organizza e dirige il comitato anti-Diemme, ricontatta e coordina di fatto tutte le persone che hanno in comune solo e unicamente l’avere avuto questioni con me; tra quelle fila continui a ritrovarci lei, spesso in prima linea: non ti pare il trionfo del cattivo gusto? Io, francamente, non lo so se ho voglia di ritrovarmici a tavola a ridere e a scherzare, non lo so se riavrò voglia di condividere con lei i miei pensieri e soprattutto, coi musi che mette da un momento all’altro e le serata fatte saltare a tutti non credo che avrò mai più voglia di presentarla ad altri e portarla a incontri conviviali.

      Mi rimarrà sempre nel cuore, questo sì, con il carico di bene che mi ha voluto, e con il carico di bene che mi ha fatto, che mai sarà negato (ma ritengo di aver fatto altrettanto per lei).

      Una volta scrissi a un’amica con cui c’erano state discussioni violentissime: “Per me rimarrai sempre una sorella, anche se una sorella con cui non parlerò mai più”, e questo lo confermo e sottoscrivo. Anche quest’altra amica mi manca tanto, anche per lei l’affetto è rimasto intatto: sono la confidenza e la fiducia ad essere venute meno, e non sono frammenti da poco.

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  23. … grazie per aver voluto che anche le mie parole arricchissero la discussione su quest’ argomento 😉

    Aggiungo anche un’altra immagine, che forse addolcisce il commento fatto da Brandy.

    Immagina di dover accendere tante candele, tante tante candele, che ti passano accanto velocemente, non hai molto tempo per pensare e per agire, devi accenderle, una per una.

    Sicuramente qualcuna rimarra’ spenta, perche’ magari sarai leggermente piu’ lenta nell’accenderne un’altra. Ma non puoi soffermarti su quella rimasta spenta, altrimenti rischi di non riuscire ad accenderne tante altre. La tua missione e’ accendere.

    Poi, chi lo sa’ … magari almeno una delle candele rimaste spente ripassera’ dalle tue parti per essere finalmente accesa.

    TVB!

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  24. Pingback: Un 2011 senza ponti « Diemme

  25. L’ha ribloggato su Diemmee ha commentato:

    Domani se ce la faccio (ma ne dubito, perché una giornata meravigliosamente perfetta come quella di oggi si è conclusa con una brutta seccatura che mi assorbirà nei prossimi giorni tempo e denaro), dicevo, se ce la faccio voglio parlare della riconciliazione, argomento toccato da un commentatore in un altro blog. Intanto, giusto perché l’ho ritrovato tra i più letti di ieri e mi è tornato in mente, vi ripropongo questo post, in cui proprio sulla questione della riconciliazione rifletto copiosamente…

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    • Mi dispiace… credo però di capirti, purtroppo storie come queste non sono certo capitate solo a me, ed è facile che qualcuno possa ritrovarci anche una parte di sé e della su storia.

      Ora però sorridi, che il tempo ne porta sempre anche di belle di storie e di esperienze 🙂

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    • @Luna: questa non è proprio un’amicizia per cui lottare, anzi, la signora ha il primato di essere l’unica ex-amica al mondo con cui non vorrei mai riappacificarmi: hai presente il disprezzo all’ennesima potenza? Neanche rancore, guarda, perché essere arrabbiata sarebbe pur sembre uno stimarla in grado di considerarla in grado di distinguere il bene dal male, cosa che non è. Ecco, vedi, è venuta fuori da sola la motivazione: lei non è.

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    • @Luna: io generalmente non rimango delusa, perché difficilmente mi illudo sulle persone. Magari capita che, nonostante la non illusione, dia fiducia a un rapporto, d’amicizia o d’amore, che nel frattempo si è creato: è un errore, certo, ma un errore che non credo si possa evitare di fare, non si possono rifiutare le persone a priori perché a pelle ci dicono poco.

      E poi, sai com’è, ogni rapporto alla fine dà qualcosa.

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  26. Un’amicizia che si rompe, senza un perché oppure per motivi che, guardati da lontano, sembrano abbastanza banali, è una ferita sempre aperta. Ovviamente mi riferisco alla mia esperienza, di cui tra l’altro ho parlato più volte in questo blog.

    Non è vero, a mio parere, che la minestra riscaldata sia più buona. E poi sono convinta che una vera amicizia, se dovesse ricominciare, continuerebbe ad essere la buona minestra che era stata. Certo, ci vuole impegno e, soprattutto, bisogna essere il due a volerlo. Alcune volte mi è capitato di riprendere delle amicizia che pensavo perse per sempre ed è stato come ricominciare. Mi viene in mente la famosa frase detta da Tortora quando riprese la conduzione di Portobello, dopo le vicissitudini giudiziarie: “Dove eravamo rimasti?”.

    E’ inutile, e anche doloroso, rivangare, rimuginare, sentirsi offesi, incapaci di dimenticare e di perdonare. Io, almeno, sono fatta così: se c’è davvero la volontà di ritrovarsi, tutto è come prima. A volte è stato anche meglio.

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    • @Marisa: e quindi la pensi esattamente come me… (anche se secondo me ti è saltato un “non”, penso che tu volessi scrivere “Non è vero, a mio parere, che la minestra riscaldata NON sia più buona”, come affermi dopo).

      Dipende da come ci si riappacifica, secondo me se ci di mette una pietra sopra e basta si rischia di ritrovarsi prima o poi allo stesso punto. La riappacificazione è un’arte, non si può chiudere una ferita infischiandosene che dentro c’è ancora pus: la pelle fuori magari poi sembra sana, ma dentro c’è un’infezione che lavora. Meglio riaprirla la ferita, farla spurgare bene, che poi magari rimarrà una cicatrice molto più visibile, ma il tessuto sarà finalmente sano, e si può ricominciare a vivere.

      Il problema è che non bisognerebbe rimuginare sui fatti, noti e triti, ma sulle nostre sensazioni, come noi li abbiamo vissuti, e l’altro dovrebbe fare altrettanto. Bisogna capire le dinamiche della lite, non le cause scatenanti, che lasciano il tempo che trovano e si riducono spesso a una sterile elencazioni di fatti, sempre poi più sbiaditi, lontani, incomprensibili.

      Quando riusciamo, e l’altro riesce, a verbalizzare la ferita, a darle un nome, allora possiamo aspettarci che l’altro comprenda noi e comprenda dove ha sbagliato. Attraverso la comprensione e la compassione (proprio nel senso di patire, sentire insieme all’altro), possiamo azzerare la ferita, uscirne con un sistema immunitario più forte, e davvero riprendere il discorso, come nell’esempio che hai portato, da dove era stato lasciato.

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  27. No, non ho tralasciato il “non”. Credevo fosse chiaro il concetto perché subito dopo ho scritto di essere convinta che «una vera amicizia, se dovesse ricominciare, continuerebbe ad essere la buona minestra che era stata.» Quindi, non riscaldata, semplicemente quella.

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    • @Marisa: capito. Io invece la penso ancora diversamente, non è proprio quella, o forse sì, ma con qualche insaporitore – che sia la foglia di basilico, la spolverata di parmigiano o una grattugiatina di noce moscata, che la rendono più gustosa di prima. 😉

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  28. Cara Diemme, bel dilemma il “vaso sofferto”. Io non so che dirti, perché sto vivendo la stessa cosa. Credo che l’importante è essere convinte della propria scelta. Io ho scelto di non rimettere insieme i cocci, ma in quanto convinta che dall’altra parte non siano stati affatto compresi i propri errori.
    D’altro canto, con un’altra amicizia con la A maiuscola, ci siamo ridate fiducia dopo esserci spiegate le incomprensioni che ci portarono alla rottura di un’amicizia pluriennale: ora andiamo meglio di prima!
    Forse è questo il sunto: dare una seconda occasione a chi sa imparare dai propri errori.

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    • @Maria: ecco, tu hai contemplato – e vissuto sulla tua pelle – entrambi i casi: quello dell’amico/a di coccio, con cui è inutile, i cocci, rimetterli insieme, e quello in cui si è passati attraverso il chiarimento, la comprensione, e la riconciliazione ha dato luogo a un’amicizia rinnovata, migliore assai della precedente.

      Ben detto, la seconda occasione va data a chi sa imparare dai propri errori: con gli altri si innesca la sindrome del disco rotto, che io personalmente mi risparmio volentieri.

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    • Aida, sai come si dice? Se perdi la partita non perdere la lezione. Al mondo ci sono sette miliardi di persone, se una l’hai persa, se la situazione non è ricucibile, pace, si guarda avanti, la vita ti porta tante tante amicizie, vorrà dire che con le prossime agirai diversamente (e, probabilmente, sarà sbagliato lo stesso, perché la vita funziona così): insomma, non mi vorrai mica vivere di rimpianti? Ti assicuro, non ne vale la pena, la vita è bellissima e non va vissuta con la testa all’indietro!

      Curiosa di leggere la tua risposta al mio commento sul tuo blog.

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    • si, hai ragione, devo farmene una ragione. dovrei andare avanti e… beh, sarà che un domani cercherò di non sbagliare più, per me stessa e per gli altri…. sempre gentile e con dei buoni consigli. al prossimo salotto ti porto il caffè!

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  29. @Rosigna, @Dani, @Kate e @Balibar ???
    Ah … quanto pesante, la loro “attuale” assenza …. loro che, un tempo, erano una parte virtuosa di questo blog, persone ognuna delle quali ci ha insegnato qualcosa ….
    Ma io, e @Valentino e @Aquilanonvedente non demordiamo : siamo ancora qui, ed a noi “nuovi virgulti” ( eh …. si fà per dire ) si sono uniti, quali @Pjperissinotto in primis … insieme ad altri !
    Gente che va 😦 , gente che viene 🙂 …. c’est la vie ! 😀

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    • A rileggere i commenti sui vecchi post mi viene il magone, perché non solo quei tre che hai elencato (anche se con Kate siamo sempre in contatto, con lei non ci siamo perse!), ma sono davvero tanti quei commentatori che uno alla volta se ne sono andati, rimpiazzati, pure uno alla volta, da lettori nuovi, per cui uno ci ha fatto pure poco caso; invece, rileggendo i vecchi post, ci si accorge che la platea è praticamente completamente cambiata, salvo poche eccezioni (tra cui, per fortuna, tu!)

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  30. E’ così … romantica @Diemme, disperatamente così, ed anch’ io, come te, ne soffro tantissimo ! 😐
    E non l’ avrei mai creduto ‘solo pochi anni fa’ ( quando ancora non conoscevo il mondo dei blog … a cui mi introdusse, con una dolcezza inaudita, la nostra @Sabby ), anzi, a chi mi avesse avvertito in tal senso, avrei risposto con estrema convinzione : “Ma sei matto ??? Con tutte le pene reali che ci riserva la vita, con tutto il dolore che ognuno di noi assaggia, volente o nolente, nella propria esistenza …. io, maturo @Cavaliere che ancora mi interrogo sulle stelle, dovrei/potrei soffrire come un dannato per amicizie e/o amori che sono del tutto virtuali ???” E invece, amica cara, è accaduto proprio questo !
    Ma se leggendo quei cari nick-name ora svaniti, mi coglie un rimpianto acerbo, e vivo … vivissimo è il loro ricordo nel mio cuore, così come incancellabile è il tanto che, ognuno di essi/di esse, mi ha insegnato, mi resta l’ orgoglio di andare avanti …. di andare avanti con la mia corazza logora, con la mia memoria insostituibile …. e con le bellissime parole che, come nel tuo precedente commento, talvolta mi dedichi attingendole al cuore !
    🙂

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  31. Mia cara Diemme … quel magone ancora sussiste in me ! Io, mi trovo a Pesaro … coccolato dai miei antichi amici ed amiche, ma la tristezza è tanta ! Dove sono quei quattro nostri amici, dove ??? E Sabbi, l’ amatissima Aquilotta, dov’ è ??? Ne soffro, ma vado avanti in questo tramonto della mia vita che non ha fine !
    Un bacio a te, e grazie per esserci ancora !

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    • Su Sabby ti posso rassicurare, sta benissimo, lontano dal mondo web, ma benissimo. Anche Kate va avanti, con le sue lotte di vita quotidiane, ma sempre in gamba.

      Degli altri invece ho più o meno perso le tracce, salvo Rosigna che ogni tanto compare su fb.

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