Vorrei non raccontare la Shoà. E’ tutta la vita che evito il confronto, ma pare che il confronto m’insegua.
Ero piccola, ed era un dato di fatto che mio nonno l’avevano “portato via i tedeschi”. Insieme al padre di mia nonna. Insieme ai suoi fratelli. Insieme ai mariti delle sue sorelle.
Non se ne parlava in casa.
Libri inquietanti erano sulle librerie, titoli del tipo “Come torturavamo gli ebrei”.
Non se ne parlava in casa, e io vorrei non parlarne.
Se ne parlò solo affrontando il concetto del perdono, quando nel 1970 uscì il libro di Wiesenthal “Il girasole”.
Racconta l’autore: «Nel giugno del 1942, a Leopoli, in circostanze insolite, una giovane SS che stava per morire mi confessò i suoi delitti. Voleva morire in pace, mi disse, dopo avere ottenuto il perdono da un ebreo. Ritenni di dover rifiutarglielo.
Questa vicenda continua a tormentarmi. Così decisi di fissarla per iscritto, e alla fine del mio racconto rivolgo la domanda che ancor oggi merita una risposta, per il suo significato politico, filosofico e religioso: ho avuto ragione o torto negando il perdono?».
Se ne parlò molto in casa, e lì uscirono fuori tanti e tali episodi, che ognuno conosceva e soffocava dentro di sé. Una spiata, un rastrellamento, mio nonno su una camionetta dei tedeschi, mia zia, bambina di otto anni, che esce in strada urlando “papà!”.
Si racconta di esperimenti. Ma voi li conoscete, non voglio stare qua a fare l’elenco degli orrori.
E la frase di Wiesenthal, quando decide di dedicare la sua vita a ricercare i criminali nazisti, per consegnarli alla giustizia. Wiesenthal, che è scampato alla morte nei lager non so quante volte, e si è spento all’età di 97 anni. Quella sua frase, che così spiega il suo rifiuto di tornare alla sua professione, e la sua scelta di dedicarsi a quella che per lui è diventata una missione: “Quando io incontrerò le persone che ho visto morire nei lager, voglio poter dire loro ‘Non vi ho dimenticati’ “.
Una manifestazione di follia circoscritta nel tempo? Non credo. Se se ne ripresentassero le circostanze, avverrebbe la stessa identica cosa, perché il seme del razzismo non è mai morto, perché il popolo è bue, e ci sarebbero ancora persecuzioni, ancora delatori, e ancora eroi.
Sì, degli eroi ho parlato a mia figlia: non mi va di raccontarle orrori, ma che si può essere diversi sì, che si può fare una scelta diversa in qualsiasi circostanza, questo sì, gliel’ho voluto dire.
Venerdì, mentre andavo alla cerimonia per la posa della targa che un Comune ha voluto porre in memoria dei suoi concittadini deportati, ripetevo a mia figlia le parole proprio di Wiesenthal “Ogni ebreo, anche se nato dopo la guerra, è un sopravvissuto”.
Ride mia figlia. Lei non sa di cosa parliamo. Ride mentre sottolinea che io non c’ero, lei non c’era, non abbiamo fatto nessuno sforzo, non siamo sopravvissuti a niente.
Io sono della generazione che non ha vissuto la guerra. Lei è della generazione di quelli i cui genitori non hanno vissuto la guerra.
Andiamo alla cerimonia, sono presenti le forze dell’ordine. Si sente male mia zia, diventa piccola, la voce si fa flebile: si rivolge a quelle persone in divisa, con quel corpo piccolo, con quella voce sottile, a spiegare che insieme al nonno hanno portato via suo padre: all’improvviso è tornata quella bambina di otto anni, che chiede agli uomini in divisa di ridarle suo padre.
Temo che stia svenendo, le vado vicino, la sostengo. L’abbraccio, e mi fa effetto quanto sia piccola. Io l’ho conosciuta grande mia zia, ma quando parla di suo padre ha otto anni, tutto di lei ridiventa quella bambina la cui vita si è fermata lì.
“Questo significa che siamo sopravvissuti” spiego a mia figlia. “E’ con questo che abbiamo dovuto convivere ogni giorno. Questo dolore si respirava nell’aria, anche se non se ne parlava mai. La mutilazione delle nostre famiglie si respirava nell’aria. L’infanzia rubata. La famiglia rubata. La dignità rubata. La vita rubata.
Quando capirai quello che è successo, figlia mia, anche tu proverai quella sensazione angosciante di essere nient’altro che sopravvissuta.”
**** Francesco Guccini – Auschwitz ***
Una foto della cerimonia.
In parte posso capirti. L’olocausto è passato anche dalle “mie parti”. Ma forse ne proverei lo stesso orrore e lo stesso spavento comunque.
Lo spavento di ciò che l’uomo può fare… quello stesso uomo di cui ricordavo, con il salmo, che Lui l”ha “fatto poco meno degli angeli”. E’ bastato questo piccolo scarto tra noi e il cielo per permettere tutto questo. E molto altro, perchè troppo spesso dimentichiamo gli olocausti ancora in atto.
Non ho quindi il diritto di pronunciarmi sulla questione del perdono. Non so se al posto di Wiesenthal avrei agito diversamente – probabilmente no.
E tuttavia qualcosa sospira dentro di me. E penso che perdonare è possibile, Lo deve essere. E’ la mia speranza mai sopita nella Pace.
Ma, ripeto, non lo so, al suo posto, se ne sarei stata capace…
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Credo che la religione ebraica non preveda che si possano perdonare i torti fatti a un altro. Dio perdona ciò che è stato fatto a lui, la bestemmia, la mancata santificazione di una festa, etc., ma per il torto fatto a un altro è alla persona stessa che va chiesto perdono, e neanche basta: bisogna agire per ripararlo.
Ora, mi spieghi come si ripara un olocausto?
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Cara Dm, ora quegli uomini quelle donne e quella bimba hanno ora un “luogo” dove poter riposare. Immagina quando in quel giardino andranno tanti bambini a giocare e potranno leggere i loro nomi. Sono loro i vincitori, anche se ridotti in cenere sono sopravvissuti nel ricordo e questa credo che sia la più grande vittoria.
Se vuoi possiamo ricordare il tuo bisnonno nella testimonianza di chi lo conobbe: ricordarlo e trasmettere memoria della sua esistenza credo che sia il modo migliore per onorarlo.
Un abbraccio
Mi chiamo=========== e sono nato a ======= il 24 agosto del 1928.
Ho abitato in Piazzetta della Trinità fino al 1967.
La bottega di […] si trovava dopo la Piazzetta sulla strada che arrivava in Via Borgia.
Negli anni ’30 sorgeva lì il palazzo Borgia e al piano terra si entrava in un portone dal quale si accedeva ad in lungo corridoio sul quale si affacciavano delle grandi stanze, in una di queste […] aveva la sua bottega e la sua abitazione. […] comprava ferro e piombo, in tutte le famiglie che abitavano nella zona quando c’erano degli oggetti ed utensili che ormai non potevano essere più utilizzati si diceva “Portiamoli da […]”
Io lo ricordo alto, grosso, sempre serio e solenne con una lunga barba “ Un vero e proprio patriarca!”
Allora eravamo ragazzi e ne avevamo grande rispetto e non ci permettevamo di scherzare davanti a lui, mi ricordo che era il punto di riferimento per le altre famiglie ebree che vivevano nella zona.
Poi scoppiò la guerra, io e la mia famiglia ci rifugiammo prima in una grotta in campagna poi ci trasferimmo a Roma quando tornò finalmente la pace di […] e della sua bottega non c’erano più tracce, ci dissero che era “ morto bruciato”.
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“Perdono” ma di che stiamo parlando?
Devi sapere che, nel marzo del 1943, mio nonno, del quale con orgoglio porto il suo nome, dopo essere stato buttato fuori dalle “ferrovie dello stato”, fu costretto a rifugiarsi per 18 mesi presso parenti, in tutt’Italia, solo a causa del suo cognome. E con la nonna, la zia di appena 15 anni e papà che all’epoca ne aveva 13, iniziò questo “viaggio”, come l’ha sempre definito, prima a Torino, poi a Reggio Emilia e alla fine, solo con papà, in Calabria, al suo paese nativo.
Quando la famiglia si ricongiunse definitivamente, non so se la gioia fu più forte del dolore.
La nonna mori dopo qualche anno con una crisi cardiaca.
Quante volte ho chiesto a mio padre, in questi anni, di raccontarmi la storia di quel periodo, lui, scuotendo la testa e con un accenno di sorriso, mi ha sempre risposto, “vedi figlio mio i viaggi sono tutti uguali per i bambini e non riesco, anche sforzandomi, a ricordare nulla di negativo”.
Papà sei un bugiardo, tu non vuoi ricordare.
Solo i tuoi occhi dicono la verità!
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Io col perdono non lego molto. Capisco tuo padre, nessuno vuole ricordare, e anche chi ha parlato, per dovere di testimonianza, ha lasciato trascorrere anni prima di trovarne il coraggio.
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Quando fai riferimento all’AMPUTAZIONE FAMILIARE mi viene facile associare quest’immagine alla c.d. SINDROME DELL’ARTO FANTASMA. questa sindrome è studiata in neurologia ed esiste davvero. in pratica soggeti con un arto amputato, anche a distanza di anni, continuano a sentire dolore come proveniente dall’arto,riferito a quell’arto anche se l’arto non c’è più (probabilmente per sofferenza dei nervi che hanno perso continuità al momento dell’intervento di amputazione).
Questa associazione di pensieri, questo confronto con la medicina (che poi è ciò che mastico quotidianamente) mi permette di capire bene, credo, il senso delle parole che letto.
Per quanto riguarda il fatto che nessuno voglia ricordare o che ricordare costi molto sacrificio ai testimoni rimasti, credo sia una cosa normale… chi è rimasto, chi si è salvato, ha salvato il corpo…il corpo, credo, che ormai non era che un guscio vuoto a cui avevano rubato l’identità, la dignità. Capisco tua zia, alla quale hanno “rubato” il padre, con violenza, e che da quella violenza non le è stato restituito e lei è costretta a tornare a quel momento per rivederlo.
Il dramma è di proporzioni tali che non sembra reale. Ma è stato e il dolore resterà.
Ma io sogno (“I Dream” diceva qualcuno più importante di me) che gli ultimi testimoni trovino la forza di raccontare ancora e ancora, che i giovani aprano le orecchie per ascoltare e la mente per non avere barriere.
Io sogno che chiunque tratterà l’argomento non lo renda come uno di quei romanzetti da fiction televisiva, che non lo minimizzi, che non ce lo faccia accettare “perché visto in tv mille volte”. Io sogno che un dramma del genere non si accetti mai!
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Conosco la sindrome dell’arto fantasma…
I testimoni di quella tragedia a mano a mano stanno scomparendo, trovando finalmente quella pace che è stata loro rubata. Ma secondo me non è così importante ricordare, quanto impedire che ciò possa accadere di nuovo. Purtroppo vediamo focolai di odio razziale accendersi dappertutto, e la diffusione della stupidità umana è impressionante: il livello culturale e morale di chi è al potere troppo spesso non è quello auspicato, e nulla impedisce che il “malcontento” popolare diventi nuovamente legge.
Io non dormo sonni tranquilli, e non per me, perché probabilmente a questo giro le vittime della xenofobia sarebbero altre, ma perché certo non resterei a guardare, e non vorrei che si verificasse mai più l’orrore di un mondo intero che sta immobile di fronte a un genocidio.
*** O forse già ci sta? ***
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Ho trovato questo articolo su Wiesenthal, che vi segnalo: a chi lo conosce non aggiunge niente di nuovo, ma chi lo sentisse nominare ora per la prima volta può trovare qui una sintesi della sua vita e del suo operato
http://www.viveresenigallia.it/index.php?page=articolo&articolo_id=125290
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Prima di tutti vennero a prendere gli zingari e fui
contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto
perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi
niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendermi e non c’era rimasto
nessuno a protestare.
(Bertold Brecht)
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Cara Anto2, da tanti sento queste parole attribuite a Brecht, ma sono di Niemoller:
https://donnaemadre.wordpress.com/2007/06/10/contro-il-pericolo-dellapatia-contro-la-gente-che-lascia-che-sia/
a meno che Brecht non le abbia rivisitate in qualche modo, perché non sei la sola ad attribuirle a lui (e in effetti, come le hai scritte tu, sono diverse da quelle di Niemoller, per il quale il non dire nulla era dovuto solo al fatto di non essere coinvolto).
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purtroppo l’olocausto, dal dopoguerra ad oggi, si è riproposto più volte. Basta pensare alla Cambogia e al regime di Pol Pot. Alle guerre nella nera Africa, che neanche le ricordiamo, le minimizziamo come guerre fra tribù.
Ma con la guerra in Bosnia ci siamo andati molto vicini, anzi, gli stessi crimini si sono ripetuti. Questo ci dice che la storia e gli errori insegnano poco. Ci dice anche che la memoria storica va sempre tenuta viva, ad alta voce.
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Sì, caro Pani, quei crimini si sono ripetuti e, purtroppo, si ripeteranno, perché questa è la natura umana. Io dico sempre di non essere razzista, di non avere pregiudizi, ma in realtà divido l’umanità in due grandi gruppi, gli esseri umani, e gli esseri disumani, intendendo per essere disumani quelli che non hanno rispetto per la vita e la dignità del prossimo.
Poi, certo, c’è il problema della gente “che lascia che sia”: per debolezza, per stupidità.
Non credo che finirà mai.
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Questa storia fortunatamente non è entrata nel vissuto della mia famiglia, di olocausto ho sempre e solo sentito parlare, l’ho solo studiato sui libri di scuola, l’ho letto da ragazzina sul Diario di Anna Frank, l’ho visto al cinema con Shindler’s List…
Concordo su quanto ha detto Pan circa i corsi e ricorsi storici, certe barbarie continuano a perpetrarsi nelle strade del mondo e nessuno (di quelli che contano) sembra accorgersene.
Ma continuare a parlarne è già un modo per non dimenticare che “…life is beautiful that way”
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O forse parlarne è un modo per farlo entrare nella normalità e banalizzarlo? Per renderlo quasi ineluttabile, impedendoci di inorridire? Io non credo nel valore delle chiacchiere, non in questo caso.
Ogni persona che soffre, ogni persona che nel mondo viene privata della libertà, torturata, uccisa, è una persona che ha bisogno di intervento immediato.
Secondo me anche nelle scuole il tema non viene affrontato né abbastanza, né nella giusta prospettiva. Sembra sempre che quello che è scritto nei libri di scuola sia altro da noi.
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Sì Diemme, purtroppo è vero…non sempre ciò che è, è ciò che dovrebbe essere.
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Mia figlia mi riferisce che il suo insegnante in classe (quello che difendeva le due bulle, hai seguito tutta la storia?) ha fatto l’apoteosi di Hitler, grande uomo politico e grande condottiero. Ha detto che gli ebrei un po’ se l’erano voluta.
Lo stesso è quello che fa il buonista con serial killer, pedofili, and so on.
*** Contro l’idiozia umana, mi sento le armi spuntate ***
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mamma mia… di tutti i “difetti” dell’uomo, la stupidità è quella che temo di più. hai ragione, non sai proprio come combatterla!
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Hai perfettamente ragione “il seme del razzismo non è mai morto”..cambiano le circostanze, cambiano le vittime, ma l’aggressività verso le minoranze, verso il “diverso” e, soprattutto, la ricerca di un “capro espiatorio” cui imputare i problemi non risolti e verso cui catalizzare la rabbia della gente..sono meccanismi che abbiamo ancora sotto gli occhi, tutti i giorni.
E’ la fabbrica dell’odio. Magari non arriverà mai più all’atrocità dei campi di concentramento. Ma certo non porta bene, a nessuno.
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Già, la ricerca del capro espiatorio, del totem negativo cui imputare ogni male, novello Tersìte che incarna ogni bruttura
*** dagli all’untore… ma la peste non passa ***
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Ho trovato l’articolo che qui vi riporto a questo link: http://www.romacivica.net/anpiroma/Resistenza/resistenza2c6.html
Ve lo riporto solo per comodità… no, non solo… a volte certi articoli spariscono dalla rete, e io questa testimonianza invece voglio conservarla:
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“Si può perdonare qualcuno per il male che ti ha fatto,ma non per quello fatto ad altri”
Simon Wiesenthal
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Eh già, lo conosco bene quel concetto di Wiesenthal, che peraltro ho avuto l’onore di conoscere di persona.
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Sono appena stato in un campo o meglio dire “mattatòio”; Mauthausen. Ho fatto una domanda alla guida, gli ho chiesto cosa quegli uomini andavano a raccontare alle proprie famiglie, con quale coraggio guardavano negli occhi i propri figli, festeggiare i Natali, andare a messa dopo tutte le atrocità commesse. E poi in questi campi esistevano anche i cappellani militari, e questi cosa dicevano, distribuivano il Pane di Cristo, assolvevano le coscienze come se tutto fosse normale? Ma Dio dove era? Come ha potuto permettere tutto questo? Sono anni che mi tormento, che mi faccio domande e non riesco ad avere risposte. Un conto è combattere una guerra tra soldati di eserciti diversi, e un conto è sopprimere degli esseri umani indifesi. E poi in una comunità possono esserci dei criminali, ma non tutti, non è possibile che una intera nazione la pensasse allo stesso modo.Rimango con i miei interrogativi, e scusate lo sfogo.
Salvatore Orlando
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Caro Salvatore, intanto ti ringrazio del tuo intervento e della tua solidarietà. Dov’era Dio? Beh, se non sappiamo dove era Dio, sappiamo dov’erano alcuni dei suoi rappresentanti: hai detto tu, erano nei campi ad assolvere i carnefici.
Ciò sconvolge le nostre coscienze forse ancora più dei fatti criminali, ma la storia ha visto cose anche peggiori: questi crimini erano commessi in nome di un delirio di presunta superiorità e presunta inferiorità etnica, ma quanti crimini si sono commessi a nome diretto del Signore? Abbiamo dimenticato l’Inquisizione? Le lotte all’eresia e, se vogliamo andare ancora più indietro, le Crociate?
E’ inconcepibile che l’essere umano possa concepire crimini come quelli perpetrati dal nazismo contro altri esseri umani: ma chi commette tali crimini, può essere definito “umano”? La paura di rappresaglie, la viltà, fino a che punto possono giustificare il chiudere gli occhi e non intervenire?
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Non possiamo incolpare Dio delle colpe degli uomini; l’essere umano può essere colpevole di orribili nefandezze, lo ha dimostrato troppe volte, e l’unica responsabilità del Signore è di averci dato il libero arbitrio.
Detto questo, quando sento della persecuzione degli Ebrei di Roma, mi viene in mente quella considerazione per cui, alla faccia dei razzisti di ieri e di oggi, i più romani di tutti i romani sono proprio gli appartenenti alla comunità ebraica, che esiste da più di 2mila anni, mentre si sa che la gran parte degli attuali romani viene dall’immigrazione interna, anche molto recente.
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E infatti in Dio continuiamo a credere, negli uomini meno.
E certo, gli ebrei sono i più romani di tutti, ma poi che c’entra? Se così non fosse, dove sarebbe comunque il problema?
Le persone sono persone.
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A me non importa nulla, per andare al paese dov’è nata mia nonna devo passare il confine, e dov’è nata mia trisnonna ne devo passare ben due.
Importa invece per tutti quelli che pensano che essere nati in un determinato posto ti dia più diritti di chi c’è arrivato dopo, e che si dimenticano che praticamente tutti gli Italiani, dai Longobardi in poi, sono discendenti di immigrati.
Ecco perché secondo me è bene ricordare, in faccia a certi personaggi innamorati della romanità imperiale, che i più romani di tutti sono proprio i componenti della comunità ebraica
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sono rimasta senza fiato. ed ho una cosa dentro, qui nel petto. lacrime?
tutti dovrebbero leggerla, la tua storia. grazie per averla condivisa con me. lo considero un privilegio.
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….ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh eccola quella con gli occhiali…alla fine ci sono arrivata………..solo perchè al mattino forse sono un pò più sveglia…ora però più o meno so 😉
baciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
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…bella Sissi…come la immaginavo…
e anche la mamma però 😀
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una vergogna che porteremo sempre sulle nostre coscienze
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Oh no, cara @Fab, sulla coscienza la devono portare solo i colpevoli, diretti o indiretti.
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ed anche coloro che sono stati in silenzio a guardare
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E infatti ho scritto non a caso anche indiretti. Quelli che sono stati a guardare, peggio ancora quelli che hanno fatto la spia, per denaro o per “dispetto” (far torturare una persona, farci fare esperimenti, mandarla ai forni crematori perché stava antipatica, ma ci rendiamo conto??? 😯 ). Ma anche quelli che hanno lasciato che il seme della discriminazione attecchisse, come quelli che oggi lasciano che vengano attribuiti agli immigrati tutti i mali e tutte le nefandezze della nazione.
Gli italiani devono stare bene attenti quando parlano contro gli extracomunitari, perché non possiamo più ignorare quale seme si sta seminando!
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Ha fatto bene a negarle il perdono, lo avrei fatto anch’io!!! Troppo facile chiedere perdono in punto di morte, bisogna pensarci prima di farle le cose. Poi, secondo me, questi avvenimenti così terribili sono impossibili da perdonare!
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Infatti, davanti a una cosa del genere, che senso ha il perdono?
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