Attacco kamikaze a Gerusalemme

kamikaze.jpg NB. L’articolo è del 7 marzo 2008

Forse era questo che era nell’aria da ieri. Quest’uggia che aleggiava ieri, questo strano silenzio sul mio blog. Questo umore fosco manifestato da me e dai miei amici in tutta Italia, anche quelli bellamente in ferie: c’era una tragedia nell’aria.

E stamattina la notizia, strage di studenti a Gerusalemme, sette studenti di un collego rabbinico, tutti studenti intorno ai 16 anni, fatti a pezzi in un attentato kamikaze.

A Gaza si festeggia. Altro pugno nello stomaco: come si può festeggiare la morte di sette studenti sedicenni?

Ho sempre aborrito questa cultura di morte: morire pur di uccidere. Attentati in tutto il mondo, “per sollevare l’attenzione sulla causa palestinese”. Attentati contro innocenti, senza risparmiare né scuole né luoghi di culto. Anzi.

Ne ho già parlato, perché mi fece tanto effetto. Fu qualche anno fa, quando una madre tutta sorridente si fece fotografare con il figlio prossimo a un attentato kamikaze: l’attentato riuscì e la madre, felice, offrì dolcetti per festeggiare. Festeggiare un figlio fatto a pezzi. Non posso capirlo, non lo capirò mai.

Quando i nostri partigiani morivano, le loro madri piangevano. I nostri eroi erano disposti a morire per la libertà, per i loro ideali, per la causa: ma volevano vivere. Cercavano di vivere.

Mi ricordo quelle immagini del tg, dello sgombero dei coloni israeliani dai territori occupati. In nome della pace. Gente portata via a forza dalle proprie case, da fratelli soldati che li abbracciavano, e che non avrebbero voluto. “Perché, perché” chiedevano i soldati israeliani “perché dobbiamo strappare i nostri fratelli dalle loro case?”. “Per la pace”, veniva loro risposto.

Ma ora, a distanza di anni, questi coloni abitano spesso ancora nelle roulotte, ma non in un paese in pace: il loro sacrificio, enorme, non è servito a niente. La loro terra non è ancora sicura, i missili volano sulle loro teste, i loro figli muoiono sui pullman che li portano a scuola, i loro ragazzi muoiono in discoteca. Attentati kamikaze.

Gli israeliani lottano per una vita normale, riescono persino a viverla, tra un attentato e l’altro.

Non mi fate commenti sulla questione palestinese, non ho voglia di imbarcarmi in una discussione sulle questione arabo-israeliana: ne ho sentite tante, e non hanno mai portato da nessuna parte. Ognuno è rimasto della sua idea, e io rimarrò della mia: io sto con Israele.

9 thoughts on “Attacco kamikaze a Gerusalemme

  1. il tuo articolo mi fa un effetto strano: mi sento desolata, come se mi trovassi in un deserto, da sola, impotente e vedessi una grande spirale di odio che si ingrandisce sempre di piu’ e che viene alimentata costantemente ( e sempre piu’ frequentemente oramai). mi sembra che questa spirale cresca a dismisura a causa di scelte del passato, a causa delle scelte presenti ( parlo di governi, di capi religiosi ecc…). mi sento veramente impotente. non vorrei ascoltare piu’ queste notizie. forse e’ vero che l’amore puo’ tutto, ma come farlo scendere dal cielo ? come esprimerlo ? come comunicarlo ?
    a volte mi va via la speranza perche’ so che ci sono stati tanti uomini e tante donne che l’hanno trasmesso e continuano a farlo. ma questi sono tempi bui. e duri. nonostante il loro prezioso contributo si respira morte e distruzione.
    il mio cuore sta dalla parte di israele oggi. basta morti.

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  2. Cara Anto,
    laggiù in Israele, sia da parte israeliana che da parte palestinese, c’è anche chi lotta per la pace. Ci sono bambini ebrei e bambini arabi che giocano insieme, si amano come fratelli, e non capiscono la guerra. Quando, in periodi di guerra, o comunque di crisi, di attacchi, di intifada, il buon senso e la sicurezza consigliano che se ne stiano ognuno nella propria zona, non capiscono, soffrono la lontananza, il bambino palestinese del fratello ebreo, e il bambino ebreo del suo fratello palestinese. Si scambiano sms, parlano via internet, si chiedono: “quando possiamo tornare a giocare insieme?”. Quando la tv dà notizie di attacchi kamikaze, o di bombardamenti da parte israeliana, o quant’altro, omette di dire che esistono i fiori del deserto, e che i fiori di quel tormentato deserto mediorientale, sono proprio, principalmente, i bambini. E dietro di loro, ovviamente, uomini e donne, israeliani e palestinesi, che non vogliono la guerra, che sono stanchi della paura, che non vogliono più morti, e non vogliono più orrori. Israele è anche questo: atti d’amore e di solidarietà, lotta per la pace e rispetto per l’altro. Da entrambe le parti.

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  3. vabbè, è assurdo festeggiare la morte di un figlio e su questo credo che a parte qualche migliaio di persone siamo tutti d’accordo sulla faccia della terra (e che cavolo, almeno su questo)

    ma mi vien da chiedere quantoi ne saranno stati uccisi per vendicare quei sei ragazzi? una volta leggevo che per ogni “terrorista” ucciso veniva ucciso un civile (non veniva aggiunta la parola innocente però, quando a morire i civili palestinesi non sono mai innocenti, gli israeliani si: un pò come in irak quando a morire erano i soldati americani). e per questo civile che veniva ucciso nascevano altri tot di terroristi che volevano vendicarlo (tu mi uccidi mio fratello mio che faccio ti porto i fiori? eour volendo come faccio visto che mi hai tolto l’cqua anche per bere?)

    purtroppo fin quando chi comanda crede che l’azione militare SIA L’UNICA VIA allora questi avvenimenti saranno l’ovvia quotidianità. che CI piaccia o no.

    ps. quando sciaron (non so come si scrive) ha avuto l’ictus o cosa cavolo ha a vuto lui, io mi sono sentito contento; dovrei vergognarmi di questo? si, dovrei farmi schifo per questo..ma non è così. perchè?

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    • Sneo, non riesco a risponderti adesso che è una giornata pressante, cercherò di informarmi su quello che mi dici.

      ci sentiamo appena possibile.

      Se puoi, mi farebbe piacere avere una tua opinione su quello che ti ho risposto sull’altro post.

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    • Sneo, mentre rammendo una maglietta non riesco a distogliere il pensiero dal tuo commento: per ogni “terrorista” ucciso, veniva ucciso un civile. La parola “terrorista” mi ha fatto venire subito in mente, per associazione di idee “terrorista palestinese”, ma mi pare di aver capito che invece ti riferissi a “terrorista israeliano”. Allora, il governo israeliano avrebbe pronunciato la minaccia di rappresaglia chiamando i propri soldati “terroristi”? Perdonami, non ci credo.

      Comunque mi informerò su quello che dici, ma per ora continuo a pensare alla rivista dal parrucchiere.

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  4. nono, intendevo terrorista palestinese. un generale israeiliano cantando le lodi del suo esercito tempo fa (ma neanche tanto) diceva che si era passati da un rapporti di 1 a 1 (per ogni terrorista un civile) a non so quale rapporto. ovviamente lui è un militare ed è contento di questo, per lui ogni civile ucciso è un incidente di percorso, per me è una persona. e poi è ovvio che i terroristi siamo i palestinesi..mica possono esserlo gli israeliani? in genere i terroristi sono o gli afgani o gli iracheni o gli africani ecc ecc.

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    • @Sneo: perdonami Sneo, ma mi pare che le tue parole siano piene di luoghi comuni, leggende metropolitane, e soprattutto svettano i processi alle intenzioni (per esempio, la tua ultima frase “in genere i terroristi sono o gli afgani o gli iracheni o gli africani ecc ecc.”, mi dici che ci azzecca?). Comunque cercherò di risponderti con calma appena posso, stasera o domani al massimo.

      @Arthur: sì, io sto con tutti quelli, da una parte e dall’altra, che vogliono la pace.

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  5. ok, cerco di spiegare meglo la frase sui terroristi.

    da qualche anno a questa parte si è andata consolidando l’idea che il terrosrista è colui che attacca le forze del bene che esportano la democrazia nei paesi dominati dagli imperi del male. forse è un luogo comune mann posso farci nulla, è così. gli irakeni che attaccano gli invasori americani che sono li per rubare il petrolio sono terroristi, gli afgani che attaccano gli invasori che sono li per rubare petrolio sono terroristi, gli americani del sud che si ribbellan agli stati uniti sono terroristi pericolosissimi..o sbaglio?

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    • Temo di non seguirti, o forse sei tu che segui da poco il mio blog, e magari non hai potuto ancora renderti conti di come la penso e come affronto le questioni. Io non divido il mondo in buoni e cattivi, o forse sì, ma sulla base della singola persona, non certo dei partiti, o della razza, o della religione, o dello stato di provenienza o del colore della pelle, etc.

      Per me il terrorista è uno che intende seminare terrore. Generalmente è uno che attacca civili innocenti in luoghi innocenti, stazioni, mercati, autobus, scuole, metropolitane. Questo perché la gente deve tremare e… e che cosa? Non andare più al mercato, alla stazione, a scuola, a prendere la metropolitana etc.?

      Comunque non mi piace come stai portando avanti questo discorso, non hai risposto a una sola delle argomentazioni che ti ho portato, non hai citato una sola fonte a sostegno delle tue, hai mischiato discorsi (iraq, afganistan, petrolio) che con ciò di cui stiamo parlano c’entrano poco, e mi pare che quello di cui si sta parlando sia un argomento così vasto da non richiedere ulteriori allargamenti, butti là proiezioni (ovvero processi alle intenzioni) del tipo “se questi facessero questo, sicuramente questi altri farebbere quest’altra cosa”: che sei, uno psicologo, un indovino o che?

      Una cosa in questi casi mi chiedo e sarei curiosa di sapere: sei di quelli che quando litigano cominciano da Adamo ed Eva e non solo, tirano in ballo argomenti del tipo “perché tua sorella così, tuo madre colà…”, “perché se tuo zio non avesse i soldi che ha sicuramente farebbe questo”, “perché se la casa non fosse tua tu sicuramente blablabla”?.

      Buon senso e maturità vogliono, caro Sneo, che per arrivare a dirimere una lite in modo costruttivo si parli SOLO della discussione in oggetto, senza divagare in passato presente futuro, secanti, tangenti e collaterali: e cos’è una guerra se non una lite di dimensioni macroscopiche?

      Infine, mi pare che già ci sia materiale sufficiente nel parlare di ciò che le persone fanno, senza lanciarsi in azzardate supposizioni su “cosa farebbero se…” e “cosa vogliono fare secondo me”, argomento che ottiene solo l’effetto di fuorviare, nonché di far sentire l’interlocutore ingiustamento accusato e assolutamente calunniato.

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